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Swaziland

Ci vuole la proprietà privata

Nonostante la presenza di tanti fiumi e torrenti lo Swaziland si trova sempre sull’orlo della siccità e della fame a causa della sua terra povera e delle politiche di gestione delle risorse idriche. Un grande freno poi è costituito dalla tradizione secondo la quale nessuno può possedere la terra che è statale.
James Hall

La stranezza di questo piccolo regno dell’Africa meridionale senza accesso al mare consiste nella sua incapacità di irrigare la terra seminata in un paese ricco di corsi d’acqua. Due dei fiumi che attraversano lo Swaziland, il Grande Usuthu ed il Komati, sono talmente grossi che il governo, insieme a Sud Africa e Mozambico, intende imbrigliarli con dighe destinate a creare degli invasi per la produzione principale con tanto di villaggi turistici sulle sponde.

Una situazione assurda in cui l’acqua è disponibile, ma poco utilizzata ha preso una tragica piega con un’ondata di siccità che all’inizio di quest’anno ha devastato i raccolti e porterà da dicembre un quarto della popolazione a soffrire la fame. Il Times of Swaziland ha commentato in questo modo la grave situazione: "il problema è la mancanza d’acqua, ed allora perché non si mette mano ad un progetto di irrigazione su vasta scale che potrebbe salvare migliaia di vite? Perché non si può canalizzare una parte del fiume Komati fino alle zone colpite dalla siccità?"

Per la verità esiste già uno schema di canalizzazioni per dirottare l’acqua dalla diga di Maguga alimentata dal fiume Komati; si tratta del lavoro più grosso realizzato in Swaziland, co finanziato dal Sud Africa. Grazie a questo dispositivo l’acqua fluirà direttamente nelle zone a rischio. Il problema quindi non è la mancanza d’acqua, ma piuttosto la terra povera e le politiche concernenti la gestione delle risorse idriche. Gli esperti di agricoltura e quelli di soccorso nei disastri prevedono che fino a quando non si affronteranno le questioni fondamentali inerenti l’uso della terra e dell’acqua si verificheranno ciclicamente delle crisi produttive dovute all’influenza della siccità sui raccolti.

Ronnie Mhlongo, un sociologo dell’Università dello Swaziland ritiene che per affrontare questo problema si debba superare uno stato di inerzia culturale. L’80% degli Swazi vive al comando di capi tradizionali in terre di proprietà statale, la cosiddetta Swazi Nation Land. Si tratto di un sistema sociale basato sulla terra a disposizione delle aziende agricole per coltivare ed allevare bestiame in cambio di fedeltà al capo. Un sistema che non permette la capitalizzazione necessaria per affrontare problemi come la siccità e la mancanza d’acqua.

Agli agricoltori non vengono dati titoli di proprietà della terra su cui lavorano, in osservanza ad una vecchissima tradizione per cui nessuno può possedere la terra, mentre ha il diritto di sfruttarne la parte che usa. Questo sistema è andato bene per secoli, ma con un solo limite, periodiche carenze alimentari. Lo Swaziland ha uno dei tassi di crescita della popolazione più alti del mondo, un fattore che l’ha fatta aumentare enormemente, nonostante gli effetti dell’AIDS sul paese. La carestia costituisce da sempre una gravissima minaccia nelle terre statali della cosiddetta Swazi Nation Land.

La carestia incombe quasi ogni anno sulla torrida e secca regione orientale di Lubombo. Proprio a causa della mancanza di irrigazione in questa area è stata creata un’unità di emergenza nazionale di intervento nei disastri che ora è diventata un’istituzione permanente. Ben Nsibandze che dirige l’unità afferma: "la nazioni donatrici non esitano ad aiutarci e noi lavoriamo col servizio meteorologico per prevedere e combattere le condizioni di siccità che possono portare alla carestia."

I contadini non dispongono d’altro che della pioggia per bagnare i loro campi, questo anche in aziende lungo i fiumi le cui acque potrebbero essere raccolte per l’irrigazione. Invece quando smette di piovere o piove troppo poco esplodono i problemi di sicurezza alimentare. Il limite strutturale, secondo le organizzazioni che lavorano sullo sviluppo, risiede nella mancanza del titolo di proprietà della terra che impedisce alla stragrande maggioranza dei contadini di accumulare il capitale necessario per fare investimenti strutturali sulla loro terra.

Il responsabile dei prestiti di una banca di Manzini, il maggior centro commerciale del paese, sostiene che gli Swazi non possedendo terra non la possono usare come garanzia per ottenere prestiti dalle banche. Senza prestiti non si possono fare investimenti nell’irrigazione, anche se c’è la consapevolezza della necessità di farli. Il ciclo perenne di fallimento dei raccolti, seguito dagli aiuti alimentari dei donatori, ha prodotto nei contadini una sorta di assuefazione e rassicurazione che i loro problemi e le loro necessità se ne fa carico in un modo o nell’altro il governo.

Ma la gravità della crisi idrica ed alimentare di quest’anno è tale che per la prima volta una parte della popolazione Swazi rischia la carestia. Thuli Ndludlu, un responsabile dei soccorsi nella regione di Lubombo dalle parti del confine mozambicano afferma che: "le richieste di cibo sono numerosissime e la rete di salvataggio della società tradizionale che vuole che ad ogni membro di una famiglia si provveda in qualche modo da parte degli altri è ormai sfilacciata e da certe parti scomparsa per sempre."

Lion Mahlalela, un contadino della città di confine di Mananga, possiede una fattoria a solo 100 metri dal fiume Komati che è largo 20 metri durante l’estate e non si secca mai neanche nei mesi invernali senza pioggia. Così ci spiega come stanno le cose, dicendo: "vorrei pompare acqua dal fiume per l’irrigazione, ma non ho soldi. Una volta coltivavo granoturco, ora cotone che resiste molto di più alla siccità. Vendo cotone al mercato e sto risparmiando per comprare la pompa ed i tubi, ma questo richiede moltissimi anni."

In Swaziland sono disponibili solo pompe elettriche o a gasolio. Le pompe a pedale che richiedono solo forza muscolare e si stanno dimostrando tanto utili in Asia e in tante parti dell’Africa, non sono ancora state introdotte in questo paese. Il governo ha una sua idea sulla questione dell’acqua: deve essere messa a disposizione delle cooperative. Il Ministro dell’Agricoltura Roy Fanourakis afferma che le cooperative sono la soluzione, mentre le piccole aziende agricole non sono certamente efficienti nell’utilizzo della terra o nel generare profitti dalla coltivazione di prodotti agricoli da destinarsi all’esportazione.

La spinta alla riforma terriera, per dare la proprietà della terra ai contadini che l’hanno coltivata per generazioni continua a rafforzarsi, sostenuta dalla Swaziland Law Society e da diversi altri gruppi che lavorano per i diritti umani. Conclude il contadino Mahlalela: "se avessi un titolo di proprietà della mia terra potrei avere già domani un prestito dalla banca e scaverei subito un pozzo. Tutti i miei vicini lo farebbero e ciò comporterebbe la fine della crisi idrica, semplice!"