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Uganda

Rifugiati e inoltre perseguitati

Un nuovo rapporto di Human Rights Watch (l’Osservatorio dei Diritti Umani, HRW), accusa il governo dell’Uganda e l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) di violare i diritti dei profughi che vivono nel paese. L’assistenza è scarsa e sovente la polizia tormenta gli esuli di certe nazioni in attrito con l’Uganda.
Zachary Ochieng

Human Rights Watch e altre organizzazioni internazionali hanno via via documentato, nel corso degli anni, i casi di repressione politica, conflitto armato o d’altro genere d’abuso dei diritti umani che si sono verificati in Burundi, Repubblica Democratica del Congo, Etiopia, Rwanda, Somalia e Sudan. Casi ed eventi che hanno spesso prodotto masse di rifugiati. In Uganda, addirittura, quelli dell’HRW non hanno fatto in tempo ad arrivare che hanno riscontrato il doppio dei problemi che si aspettavano; il loro rapporto sulla situazione afferma che gran parte di coloro che chiedono asilo o sono rifugiati non sanno proprio come fare a soddisfare i bisogni essenziali e, nella maggior parte dei casi, l’UNHCR non provvede assolutamente l’assistenza necessaria di cui è responsabile.

InterAid, un’organizzazione ugandese che gestisce sul campo le attività per conto dell’UNHCR, provvede servizi sociali, un minimo d’assistenza sanitaria e crea attività generatrici di reddito per un piccolo numero di rifugiati. Qualche ONG e alcune organizzazioni della Chiesa intervengono solo quando coloro che chiedono asilo sono in attesa che venga verificato il loro status di profughi. Una volta che sono riconosciuti come tali, questi individui sono costretti a firmare una dichiarazione in base alla quale garantiscono di poter vivere "autosufficientemente" a Kampala. Mantenere questa promessa è però assai difficile, dovendo vivere in una città dove perfino i cittadini ugandesi soffrono mancanza d’impiego e grave indigenza.

Subito, appena arrivati, i rifugiati devono fare i conti con il problema dell’alloggio; a Kampala molti dei nuovi arrivati dormono all’addiaccio e passano la giornata nei pressi del comando di polizia di Kampala Vecchia. Questo Commissariato, dove sono interrogati i nuovi venuti, si trova proprio voltato l’angolo dalla sede d’InterAid, ma, nonostante ciò, questi disgraziati devono affrontare da soli il grave problema di come sbarcare il lunario. Viene loro concesso di condividere con i prigionieri del Commissariato l’unica razione giornaliera di cibo che viene distribuita, ogni rifugiato adulto riceve così una porzione dei pasti destinati ai prigionieri, donato dalle associazioni caritatevoli di Kampala. Le madri devono a loro volta condividere le povere razioni con i propri figli. Trovare rifugio per la notte è un altro grosso problema. Alcuni fortunati se la cavano rivolgendosi ad amici e conoscenti, facendosi accogliere presso qualche famiglia ospitale o in alloggi messi a disposizione dalla Chiesa. Altri, smarriti, avendo difficoltà a muoversi, rimangono in giro per Kampala Vecchia, vicino al Commissariato e ad InterAid, dormendo all’aperto. Alcuni rifugiati hanno spiegato che, prima della visita di Human Rights Watch, gli era stato permesso di dormire dentro un autobus scolastico semidistrutto che è stato parcheggiato vicino alla stazione di polizia, dilungandosi a decantare il riparo e il calore che provvidenzialmente il bus garantiva loro. Si da il caso però che l’autobus sembra sia stato tirato via quando si è saputo che i giornalisti volevano scrivergli sopra una storia.

Per non parlare degli affitti: trovare i soldi per pagarli è un’impresa disperata per i rifugiati di Kampala. Affittare una stanza costa dai 5 ai 17 $, per cui i rifugiati più fortunati vivono uno sopra l’altro in stanzoni rettangolari costruiti con blocchetti di cemento. Un quartiere dove si sopravvive in questo modo è quello di Kiseny-Mengo, visitato da HRW e popolato da parecchi rifugiati somali. Il rapporto, scaturito dalla visita, fa presente che in una stanza di pochi metri sono stati contati una decina di materassi sul pavimento e ognuno di questi apparteneva ad una famiglia; un uomo con dieci figli ha spiegato che erano costretti a dormire a turno sull’unico materasso disponibile per tutti loro.

Alcuni profughi, generalmente donne e ragazze, trovano un rifugio lavorando come domestiche, senza salario, in cambio di vitto e alloggio, esponendosi naturalmente a molti rischi di violenza sessuale e sfruttamento d’ogni genere. Una rifugiata congolese ventenne di nome Zola R. ha spiegato di aver trovato lavoro come domestica presso una signora algerina, di aver quattro bambini ed essere senza marito. La padrona di casa le fornisce il vitto ed un letto dove dormire, lavorando ogni giorno dalle cinque del mattino a mezzanotte. Non riceve alcuna paga, solo il vitto ed il posto dove dormire il suo breve sonno.

Il rapporto di Human Rights Watch, intitolato: "Nascosto, in Piena Vista: il Problema dei Rifugiati che Vivono a Kampala" spiega che l’UNHCR è riluttante a continuare ad assistere anche quei pochi rifugiati di cui si occupa a Kampala; ad una conferenza stampa l’Agenzia delle Nazioni Unite ha spiegato senza peli sulla lingua quale politica intende attuare. Per bocca del suo rappresentante in Uganda ha comunicato ai media che per loro è più facile occuparsi dei rifugiati nei campi allestiti, piuttosto che in città, dove prevedono perfino di sospendere il contributo per il pagamento degli affitti. Si raccomanda quindi ai rifugiati di restare o andare nei campi d’accoglienza, perché solo lì potranno ricevere assistenza dall’Agenzia mondiale la cui missione è proprio quella di prendersi, in ogni circostanza, cura di loro!

Coloro che chiedono asilo a Kampala non possono ricevere assistenza medica gratuita dalle ONG, devono viceversa recarsi al Mulago Hospital, uno degli ospedali pubblici della città, per cercare di essere curati. Alcuni di loro si rivolgono alle cliniche private a pagamento dove le cure sono prestate immediatamente e si possono acquistare le medicine. La gran parte, naturalmente, è costretta a rinunciare a questo tipo di assistenza onerosa, semplicemente perché non può permettersela.

Ma, i casi più tristi riguardano le vittime della tortura, che a Kampala non ricevono assistenza adeguata. Il rapporto fa notare che ciò è in totale contraddizione con la missione e le linee guida dell’UNHCR, ma anche con il fatto che l’Agenzia stessa riconosce letteralmente che "I costi personali, sociali ed economici di un mancato intervento a favore delle vittime della violenza estrema sono devastanti".. Quando HRW ha indagato sull’assistenza prestata alle vittime di tortura o violenza sessuale, l’UNHCR ha dichiarato di disporre di un sistema d’affidamento dei rifugiati vittima di tali efferatezze ad un’ONG denominata Organizzazione Transculturale Psicosociale (TPO). Ma, il suo direttore ha spiegato che a Kampala la sua organizzazione non provvede alcun’assistenza psicoterapeutica alle vittime della tortura, bensì solo nei campi rifugiati del paese.

I rifugiati che vivono a Kampala soffrono anche loro della povertà e della violenza che affliggono molti ugandesi; anche se il governo permette ad alcuni rifugiati di lavorare regolarmente e concede loro accesso agli ospedali pubblici, lo sforzo delle autorità potrebbe e dovrebbe essere molto maggiore. Per esempio, l’opposizione del governo alla presenza di rifugiati sudanesi nella capitale ha fatto sì che per loro la disponibilità di assistenza sia ancora più ridotta di quanto non lo sia per gli altri rifugiati appartenenti ad altre nazionalità.

Esistono casi caratterizzati da gravi molestie procurate ai rifugiati da parte delle forze di polizia. Risulta, infatti, che, considerato il ruolo geopolitico dell’Uganda nella regione, le autorità governative ugandesi lavorano occasionalmente insieme alla Polizia per creare strumentalmente problemi ai rifugiati. In alcuni casi, per esempio, i rifugiati sono accusati di esseri responsabili, solo per il fatto di essere congolesi, dell’uccisione di soldati ugandesi nella Repubblica Democratica del Congo.

Secondo il rapporto, il coinvolgimento dell’esercito ugandese nella guerra nella RDC ha fatto sì che i soldati, una volta rientrati in Uganda, abbiano tentato di intimidire dei congolesi ritenendoli oppositori della loro presenza militare (terminata a fine settembre 2002) nella RDC. Da tutto ciò è scaturito che l’esercito ugandese è stato implicato in diversi incidenti che hanno coinvolto proprio dei rifugiati congolesi.

La polizia ugandese, a sua volta, è stata accusata di violenze contro i rifugiati. A volte, costoro non costituiscono un obiettivo specifico e la violenza che subiscono in prigione non è diversa da quella che colpisce i cittadini ugandesi, ma, ci sono casi in cui, invece, la violenza della polizia sembra essere legata a problemi politici del governo nei confronti di certe specifiche nazionalità cui appartengono i profughi. Coloro che chiedono asilo ed i rifugiati rischiano di venir trattenuti in custodia dopo essere stati arrestati individualmente, ma, più frequentemente, vengono imprigionati dopo essere stati presi nel corso di retate del servizio di immigrazione ugandese.

Quanto descritto fin qui conferma che gli abusi continuano a verificarsi, implacabilmente, nonostante che a coloro che chiedono asilo e ai rifugiati, riconosciuti come tali sulla base della specifica Convenzione, debbano essere garantiti diritti umani fondamentali specifici. Sulla base della ricerca e a giudizio di Human Rights Watch i diritti che ai rifugiati in Uganda vengono più frequentemente fatti mancare sono: la libertà di parola, il diritto di non essere sottoposti a tortura, la libertà di movimento e la non arbitrarietà della detenzione, nonché il diritto alla sicurezza personale.

La sicurezza dei rifugiati è invece spesso minacciata, poiché, eccetto che per personaggi di alto profilo affidati direttamente all’UNHCR affinché venga trovata loro una sistemazione, il governo ugandese è riluttante ad assumersi la piena responsabilità della protezione dei rifugiati a rischio che si trovano a Kampala. Piuttosto, preferisce criticare a sua volta l’UNHCR che non si prenderebbe sufficientemente cura di quei casi la cui sicurezza è a rischio più elevato.

I rifugiati non riescono ad avere accesso all’ufficio dell’Agenzia per denunciare percosse o altro genere di violenze e molestie e, perfino le Associazioni locali che si occupano di diritti umani, fanno fatica ad interloquire con l’Agenzia oppure a convincerla ad intervenire presso il governo ugandese per conto dei rifugiati in difficoltà. L’ufficio ugandese dell’UNHCR non ha del resto abbastanza personale per visitare i rifugiati detenuti o intervenire con le autorità nei casi ordinari, tranne quelli che coinvolgono personaggi conosciuti e di alto profilo.

Per cercare di risolvere i problemi legati alla segregazione nei campi, bisognerebbe consentire libertà di movimento ai rifugiati, sulla base dell’Articolo 26 della Convenzione dei Rifugiati e dell’Articolo 12 dell’ICCPR. Ma, fin quando non si riuscirà a rispettare questi provvedimenti, il governo ugandese dovrebbe per lo meno permettere, adottando un nuovo regolamento amministrativo "ad hoc", a certe categorie di rifugiati di lasciare i campi su base volontaria. Queste categorie dovrebbero includere individui afflitti da gravi problemi di sicurezza nei campi, persone bisognose di cure mediche disponibili solo nei centri urbani, persone che si assumono la responsabilità di essere autosufficienti o, infine, individui che sono già rimasti nei campi per oltre tre anni e per i quali non si riesce a intravedere alcuna soluzione permanente nel prossimo futuro.

La polizia ugandese, al fine di assicurare un adeguato meccanismo di denuncia e persecuzione dei problemi di sicurezza che affliggono i profughi nel paese, dovrebbe a sua volta migliorare il processo di gestione ed archiviazione dei rapporti ufficiali di polizia che riguardano tutti coloro che richiedono asilo o sono rifugiati. Copie di questi rapporti dovrebbero essere inviate all’UNHCR di routine, per migliorare in tal modo la protezione e l’assistenza.