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Tanzania e Africa

Chi dice donna, dice persecuzione

In tutto il mondo le terribili condizioni in cui si vengono spesso a trovare le donne, maturano già, generalmente, sin da quando sono bambine. In Africa, le giovanette sono soggette alla mutilazione genitale, alla violenza domestica e alla discriminazione, sia a scuola che al lavoro.
Zephaniah Musendo

In tutte le parti del mondo, dalla casa al posto di lavoro, donne e ragazze sono soggette ad un certo grado, variabile, di molestie sessuali, sfruttamento e discriminazione. Lo stesso Kofi Annan, Segretario Generale delle Nazioni Unite, fa notare che:" La violenza contro le donne è forse la più vergognosa violazione dei diritti umani e probabilmente la più diffusa e dilagante. Non conosce frontiere di carattere geografico, culturale o di ceto."

Dappertutto le donne vivono correndo il rischio di subire danni fisici ad un livello che non può minimamente essere paragonato a quello dell’uomo. Noeleen Hiyzer è la direttrice del Fondo per le Donne delle Nazioni Unite (UNIFEM), un fondo fiduciario creato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1965 per sviluppare azioni finalizzate all’eliminazione della violenza contro le donne. Afferma che:" In ogni nazione la violenza o la minaccia della violenza riduce l’ampiezza delle scelte che donne e ragazze possono permettersi di fare, limitando le loro opportunità in quasi tutta la sfera della vita pubblica o privata."

Aggiunge che 60 milioni di donne in tutto il mondo, che dovrebbero essere oggi vive ed attive, mancano all’appello, a causa di azioni e pratiche di discriminazione sessuale. La mutilazione genitale femminile (FGM), la violenza domestica e la discriminazione nelle aule scolastiche e sul posto di lavoro sono le piaghe più gravi che affliggono le donne e le ragazze, in particolar modo nel continente africano. Due milioni di donne e ragazze, specialmente in Africa, sono soggette ogni anno all’FGM. In Tanzania, per esempio, questa pratica è tuttora profondamente radicata nei valori socio culturali locali. Nonostante sia vietata dalla legislazione in vigore, centinaia di ragazze di Arusha, Dodoma, Mara, Kilimandjiaro e Singida vengono sottoposte di nascosto all’FGM, lontano da occhi indiscreti, trasferendosi a volte perfino al di là del confine, in Kenya, dove l’intervento è più sicuro.

Naturalmente, sono i valori sociali tradizionali che si pongono alla base di tale pratica e, potremmo dire, la pretendono. Si crede infatti che le ragazze che non vengono mutilate non possono essere buone mogli, in quanto troppo aggressive, sensibili e reattive sul piano sessuale. Wankyo Matiku, una donna che pratica l’FGM in un villaggio del distretto settentrionale di Serengeti nella regione Mara, ci dice: “ L’obiettivo dell’intervento è quello di far crescere donne mature e coraggiose le cui qualità sono sostanzialmente proprio il frutto della circoncisione."

Secondo Rhoda Mtoka, funzionario del Servizio di Sviluppo Comunitario della Regione Mara, ci sono anche alcune ragazze che si danno da fare personalmente per farsi operare, con l’intenzione di ottenere un riconoscimento e guadagnarsi i favori della comunità. Ma, purtroppo, nei fatti, questa pratica si è dimostrata molto più devastante e pericolosa che utile, per loro. Dalle 20 alle 25 ragazze che ricorrono all’FGM muoiono annualmente di emorragie ed infezioni, solo nel distretto tanzaniano di Tarime.

La violenza domestica è un’altra grave violazione dei diritti umani che colpisce donne e ragazze. Un fenomeno che trae origine semplicemente dal fatto che gli uomini ritengono di avere il diritto di punire a loro piacimento le proprie mogli. Disgraziatamente, i casi di violenza contro le donne sono in aumento, anno dopo anno, e in Tanzania i casi riportati sono saliti da 45 nel ’95 a 281 nel ’98, secondo ricerche condotte dall’Associazione delle Donne Tanzaniane dei Media (TAMWA).

Donne e ragazzine sono anche sfruttate nel mondo del lavoro. Nel mondo, non meno di 110 milioni di ragazze fra i 4 e i 14 anni sono impiegate come lavoratrici domestiche, pagate estremamente poco, una miseria.

Dal 10 al 23 luglio ’99 la TAMWA ha condotto una ricerca in sei regioni tanzaniane da cui proviene la maggior parte dei lavoratori domestici del paese. Si è così venuti a sapere che le domestiche vanno incontro a molestie, abusi sessuali, gravidanze indesiderate, stipendi non pagati e percosse. Le domestiche più giovani sono esposte a sfruttamento, discriminazione e brutalizzazione, essendo costrette a lavorare per un sacco di ore a salari da fame. Con questo studio si è potuto constatare, oltre al resto, che non solo i padroni capo famiglia, ma anche i loro parenti e i figli spadroneggiano e maltrattano le povere domestiche bambine.

La TAMWA è stata, fra le altre cose, protagonista di un programma di reinvio al domicilio di giovani domestiche, ricondotte da Dar es Salaam ai loro rispettivi villaggio natali. In pochi mesi ne sono state rintracciate e rispedite al villaggio più di 500. L’iniziativa ha riguardato i villaggi di Kiponzelo, Tanangozi, Ilula, Izazi e Migori che si trovano nel distretto meridionale di Iringa. I principali obiettivi erano, quello di prevenire il reclutamento di altre giovani domestiche, migliorare la consapevolezza degli effetti negativi del lavoro minorile fra le potenziali domestiche bambine, ma anche spingere ad un rinnovamento legislativo e di visione politica generale per rendere il governo più sensibile alla protezione delle giovanette e alle loro possibilità d’emancipazione .

Nelle scuole, le ragazze sono messe da parte o quantomeno prese in scarsa considerazione, col risultato che se ne ostacolano fortemente i risultati negli studi. Secondo la professoressa Verdiana Masanja, Coordinatrice Nazionale dell’Istruzione Matematica Femminile in Africa ( FEMA ), i risultati scadenti delle ragazze in matematica, scienze e materie tecnologiche, per esempio, vengono erroneamente attribuiti a fattori di genere, piuttosto che ai condizionamenti e all’impossibilità, per loro, di affrontare seriamente queste materie. Nelle aule si permette che le ragazze vengano intimidite dai loro colleghi maschi, mentre dagli insegnanti vengono prese in giro, piuttosto che essere incoraggiate a fare meglio.

Ali Ibrahim, direttore dell’ILO ( Organizzazione Internazionale del Lavoro ) per l’Africa Orientale, spiega, infine, che il livello di partecipazione della donna nel lavoro dipendente ed il tipo stesso di lavoro che svolge sono influenzati dal loro limitato grado d’accesso alle risorse produttive, quali terra e capitale. Ma, anche dalla professionalità ed esperienza, dalla struttura del mercato del lavoro e dalle remunerazioni offerte dall’economia di mercato. Ibrahim afferma che a fronte di questi formidabili problemi che riguardano la vita sociale e il mondo produttivo, ci sono un sacco di cose che i governi dovrebbero fare insieme ai partner sociali per promuovere ed offrire opportunità di lavoro dignitoso sia agli uomini che alle donne. Il direttore dell’ILO conclude sostenendo, infine, che: " Lavoro dignitoso significa un’attività che viene svolta in condizione di libertà, uguaglianza, sicurezza e dignità umana."