Bambini dietro le sbarre
Rudo, che in shona significa amore, è una bambina come un’altra, di un anno di età. I suoi capelli sono intrecciati con dei graziosi nastri bianchi e rossi che si abbinano bene al suo vestito a fiori. Porta calze e scarpine che completano l’aspetto di una bambinetta intelligente e sveglia, perfetta partecipante di concorso scolastico per ragazzini. L’unica anomalia è la casa di Rudo. Quattro alte pareti bianche e nude che circondano l’angusto mondo di questa piccola bambina che, solo ogni sei mesi, quando la nonna la viene a prendere, può scoprire ciò che si cela al di là di esse.
Rudo fa parte della grande schiera di bambini che sono incarcerati assieme alle loro madri nelle prigioni dello Zimbabwe. Non esistono, del resto, statistiche disponibili da parte del Dipartimento delle Carceri per sapere quanti bambini vivono nelle prigioni assieme ai loro genitori. Il portavoce del Dipartimento delle Carceri, Frankie Meki, sostiene che il numero di bambini in prigione è in aumento. Nella prigione di Mlondolozi, alla periferia di Bulawayo, dove è incarcerata la mamma di Rudo, ci sono ben undici bambini in compagnia delle loro madri.
Come gli altri, l’unica casa che Rudo conosce è la prigione di Mlondolozi. Non sa neanche di avere quattro fratelli fuori che vivono con la nonna e che quando sarà abbastanza grande per uscire, anche lei rimarrà per molto tempo senza rivedere sua madre. Maria, la mamma, ha detto ad AfricaNews di avere ancora otto anni da scontare e che se la nonna non potrà prendersi cura della bambina non ci sarà altra scelta che lasciarla crescere allo sbando, senza che nessuno si occupi di lei. Maria è stata condannata a dieci anni di prigione per omicidio colposo, accusata di aver ucciso il padre di Rudo che, a suo parere, abusava di lei.
Mlondolozi è, perlomeno in parte, un manicomio criminale per detenute in attesa di perizia psichiatrica ed è in questo contesto carcerario che in una piccola zona del cortile è stato allestito una sorta di asilo nido per i bambini. Il carcere ospita donne incriminate con accuse che vanno dal borseggio all’omicidio e che tengono con sé bambini, anche piccolissimi, di sole tre settimane. Bambini come questi, magari nascono in prigione e vi rimangono con la madre fino allo svezzamento, oppure fino a quando sono abbastanza grandi da poter uscire.
Il bambino più grande ha due anni ed è abbastanza fortunato da poter uscire per la fine dell’anno, perché la madre ha scontato la pena e uscirà di prigione. Questa donna afferma di esser stata arrestata per prostituzione e spera di cambiare vita, una volta fuori. Grazie alla Croce Rossa, in carcere, scontando una pena di un anno, è riuscita a portare a termine un corso di pronto soccorso. La condanna ad un anno per quel reato le era stata comminata in quanto recidiva.
I regolamenti carcerari prevedono che i bambini possano essere lasciati in custodia ai parenti o al Dipartimento degli Affari Sociali, una volta che raggiungono l’età di due anni. Ma, purtroppo, da una parte l’accogliente famiglia estesa africana è un ricordo del passato in questo paese, dall’altra è estremamente limitata la disponibilità delle strutture degli Affari Sociali e degli orfanotrofi che sono affollati oltre ogni limite sotto il carico degli orfani dell’AIDS, per cui l’unica possibilità che rimane aperta è quella di affidarli alle cure di parenti disponibili, quando se ne trova.
Ne consegue che buona parte di questi bambini deve aspettare di vedere il mondo esterno quando le loro madri saranno finalmente libere di uscire. Nancy Kachingwe, madre di un bambino di 16 mesi, in carcere con una condanna a 4 anni per furto con scasso d’appartamento, dice che il suo unico desiderio è che il governo trovi altre forme di punizione, che non consistano nell’imprigionare le madri con i loro bambini. Ed aggiunge che le donne non possono imporre ai loro parenti di tenersi i bambini, considerando le condizioni estremamente difficili in cui vivono. Conclude affermando che se le fosse data la possibilità, preferirebbe piuttosto svolgere un servizio comunitario forzato e badare al contempo al proprio bambino in condizioni più accettabili.
Un’altra donna, di nome Thenjiwe Nkube, madre di una bambina di sole 3 settimane dice di non avere vestiti per la sua neonata, di disporre di un solo pannolino e di non sapere dove sbattere la testa per trovare altro vestiario per lei. Un funzionario del carcere, Lethiwe Ndiweni, afferma che la situazione si fa, a volte, talmente pesante che il personale di custodia stesso si sente in dovere di donare vestiario a queste madri e ai loro bambini “ prigionieri “, in quanto non è previsto dai regolamenti carcerari che venga distribuita alcuna sorta di vestiario infantile.
La situazione si aggrava d’inverno, quando, per difendersi dal freddo, anche i neonati devono rimanere abbracciati alle loro madri, sotto coperte scadenti. Il funzionario Ndiweni spiega che, mentre la prigione offre l’assistenza sanitaria ai bambini in carcere, ne controlla la crescita e provvede alle vaccinazioni, non esiste un servizio di asilo nido e per questo ci si deve accontentare di un angolo del cortile in qualche modo arrangiato ed adibito a questo servizio. Undici madri si dividono una cella destinata ad ospitare solo 4 prigionieri e non esistono spazi separati per far dormire i bambini. Una carcerata fa presente che sarebbe di gran lunga meglio se i bambini potessero dormire in un lettino separato da loro, aggiungendo che i bambini devono dividersi le stesse coperte degli adulti, che non sono certo l’ideale per la loro pelle tanto delicata.
I bambini devono anche affrontare la realtà delle prigioni zimbabweane, che sono state definite delle “trappole mortali” per la presenza di pericolose malattie contagiose, come la tubercolosi. Il Dipartimento delle Carceri è stato finora in grado di provvedere, in qualche misura, ai bisogni dei bambini, distribuendo qualche barra di sapone alle madri. Le madri detenute dicono di ricevere il sapone 2 volte al mese e che è sufficiente per la pulizia dei loro figli, confermando di disporre di cibo adeguato per la nutrizione dei loro figli che vengono alimentati con porridge e burro di arachidi mischiato al latte fornito dalla latteria della prigione.
Meki, il portavoce del Dipartimento Carcerario si scusa, affermando che quando le carceri sono state costruite non sono state previste strutture specifiche per prigionieri coi loro bambini, ma che ora questi bisogni sono stati identificati. Non ci sono però risorse, al momento, per rimediare a queste manchevolezze, alle prese come sono, di questi tempi, con il problema del massiccio sovraffollamento.
Delle nove prigioni dello Zimbabwe, solo la prigione di massima sicurezza di Chikurubi ad Harare, possiede un asilo di infanzia che secondo il portavoce è stato finanziato da dei donatori impietositi dalle condizioni dei bambini dietro le sbarre. Le prigioni dello Zimbabwe, paese di nemmeno 12 milioni di abitanti, hanno una capacità di 16.000 detenuti, ma al momento ne ospitano più di 22.000. Il budget disponibile per le carceri si è andato assottigliando negli ultimi anni, passando da 9,09 milioni di US$ nel 99/2000 a 7,62 milioni di US$ nell’anno finanziario 2000/2001.