Un incontro che ha cambiato la vita
Diverse volte mi è capitato di domandarmi che uomo sarei stato se non avessi incontrato sulla mia strada don Peppe Diana; già solo la domanda mi fa capire che molto di quello che sono oggi è frutto di questo incontro. Ho conosciuto don Peppe agli scout: era il mio educatore (in gergo il mio "capo reparto"); avevo 14 anni ed era per me e per tutti i miei compagni una figura di riferimento, una sorta di fratello maggiore, solo che era un sacerdote. Vi dirò che ogni "capo reparto" è per i suoi ragazzi una specie di superuomo, ma la sua vocazione probabilmente lo rendeva ancora più supereroe.
Passata l'età in cui si ha bisogno di miti, la sua vicinanza continuava per me ad essere fonte di crescita, anche se questo probabilmente l'ho capito col passar del tempo.
Erano gli anni del risveglio della società civile: l'impegno di Falcone e Borsellino aveva dato una bella spinta alla speranza: sembrava davvero giunto finalmente il momento della svolta; si respirava ovunque, non solo in Sicilia, una grande voglia di essere protagonisti di questa rivoluzione, nasceva in tutti gli ambienti una forte ribellione alle mafie, si cominciava ad alzare la testa, e soprattutto la voce, contro l'oppressione della criminalità mafiosa. In tutti gli ambienti: dai singoli cittadini, alla politica, le associazioni di volontariato e anche la Chiesa: tutti parlavano di lotta alla mafia! È in questo clima che ha avuto origine il documento "Per amore del mio popolo", messaggio dei sacerdoti della forania di Casal di Principe contro la camorra. Non era esattamente cosa da tutti i giorni parlare di camorra e tanto meno alzare la voce contro di lei e soprattutto non lo era farlo proprio in un luogo dove la camorra era (ed è) temutissima padrona di casa. Ancor di più non lo era per dei sacerdoti la cui vita è tra la gente, tra tutta la gente che vive il territorio. Bisogna fare attenzione: forte può essere la tentazione di rinchiudersi nel proprio cantuccio, nella propria parrocchia, per fare il minimo indispensabile del proprio "dovere sacerdotale" e continuare a chiudere gli occhi all'ingiustizie e alla violenza, celebrare Messa, preparare i bambini ed i ragazzi ai sacramenti, benedire salme, officiare ai Matrimoni... in fondo il dovere di un sacerdote è questo, perche spingersi oltre. Ma non è stato così per tutti... don Peppe Diana, per esempio... in fondo era in una condizione che si potrebbe considerare tranquilla ed agevole per un sacerdote: gli era stata affidata una parrocchia del suo paese, viveva con i suoi genitori, conosceva da sempre i suoi parrocchiani, quella conoscenza che in luoghi come Casal di Principe ti consente di non fare errori e quindi di vivere tranquillo. Questa stessa conoscenza invece spinse don Peppe a rimboccarsi le maniche e, da buon scout qual era, comprese che la prima azione contro la mentalità mafiosa era stare con i giovani e con gli ultimi... poteva stare nella sua parrocchia don Diana, invece no! Nonostante l'amorevole preoccupazione della mamma era sempre in giro con i giovani in particolare; con noi dell'Agesci era spesso in giro anche per i monti per accompagnare i ragazzi nelle loro esperienze di strada e di avventura, dove il messaggio di Cristo ed i valori della Comunità arrivano più facilmente tramite un'esperienza che si può definire diretta; ma anche a Lourdes, e per le strade del suo territorio. Non era un eroe, questo no. Ma ha vissuto la sua vita con semplicità e con pienezza, quella pienezza che proviene dalla partecipazione, dal sentirsi responsabili per quanto accade intorno a te e che ti esorta ad intervenire per operare un cambiamento; chi, come me, è cresciuto con don Peppe ha avuto modo di imparare proprio questo. Non era un messaggio che arrivava subito soprattutto per dei ragazzi che in fondo, proprio per l'età sono proiettati più su loro stessi che sul mondo intorno a loro... ma don Peppe sapeva trasmettere con il suo essere, sapeva avvicinarci con la sua personalità allegra, la sua aria scanzonata, il suo saper coinvolgere.
Fu in quel clima di grande speranza, in cui si avvertiva una sensazione di vittoria, che don Peppe venne ucciso...per noi fu un umiliante e doloroso ritorno alla disperazione, alla triste sensazione di impotenza. Tutto è inutile! Contro di loro non possiamo nulla! Il 19 ed il 20 marzo 1994 oltre a sentire un forte dolore per la perdita di un amico, di un uomo significativo, sentivamo altrettanto fortemente che tutto si spegneva, che non avrebbe avuto senso continuare. Ma... arrivò la primavera e proprio quando ormai credevi che sotto quella neve c'è solo altra neve e che il verde dei prati sui quali era bello passeggiare a piedi nudi resterà solo un ricordo, vedi spuntare il più grande sole che tu abbia mai visto e pian piano dal bianco della neve fa capolino un germoglio frutto di un seme che non ricordavi neanche più di aver piantato. Proprio il 21 marzo 1994, giorno del funerale di don Peppe, la vista di Casal di Principe affollata da circa ventimila uomini e donne, le lenzuola bianche a tutti i balconi del paese furono per noi quel grande sole, il segno che si poteva ancora sperare, anzi che si doveva! Un'altra vittima della camorra era stata necessaria per rianimare, riattivare la gente all'impegno per il cambiamento. E difatti si avvertiva di nuovo un forte attivismo, una grande voglia di stare insieme: le parrocchie si ritrovavano, nascevano associazioni, quelle già esistenti supportavano nuove iniziative, l'Agesci che perdeva uno dei suoi figli migliori, LIBERA che nasceva in quegli anni con i suoi campi antimafia al Santuario della Madonna di Briano...
"Don Peppe Diana è stato ucciso dalla camorra il 19 marzo del 1994"... non si poteva mettere un punto a questa affermazione, non si doveva! Il suo nome, il suo messaggio, la sua vita dovevano essere diffusi, diventare patrimonio di tutti specie in una terra, come la nostra, dove si fa presto a dimenticare chi è morto ammazzato dalla camorra.
Tra le tante associazioni nate nel nome di don Diana nasce anche il Comitato don Diana con l'impegno di fare memoria: chi era, qual era il suo messaggio, come è stato ucciso!
Poi don Peppe, è diventato in qualche modo uno strumento, un mezzo per diffondere il valore della legalità per lanciare nuove idee, nuove suggestioni, parlare di città educative solidali e sane, parlare di benessere sociale, parlare di riuso dei beni confiscati alla camorra.
1994-2008... ne è passato di tempo! Quante attività nel nome di don Peppe, quante iniziative, quante associazioni, quante persone! Ci sono stati momenti di avvilimento, i momenti in cui abbiamo avvertito la spiacevolissima sensazione che l'attenzione era ormai calata; ma anche momenti di nuova speranza, esortazioni a continuare quando qualche nuovo segno di cambiamento iniziava ad essere visibile...quante persone abbiamo incontrato in questi anni, quante altre storie abbiamo appreso e conosciuto, quanto ancora abbiamo la possibilità di fare... le rivoluzioni richiedono tempo, un piede avanti all'altro e la strada si farà!
Valerio Taglione Comitato don Peppe Diana