Per amore del mio popolo

Don Peppe... l'ho visto in tante foto scattate durante le uscite scout, sorridente con lo zaino, giovane fra i giovani...
23 novembre 2008 - don Luigi Ciotti
Fonte: PNS - 23 novembre 2008


Giornata della memoria e dell'impegno 2007


Tra le poche carte di don Giuseppe Diana ritrovate dopo la morte c'era una copia del Patto Associativo dell'Agesci, e proprio l'Agesci al processo per il suo omicidio ha chiesto la costituzione di parte civile. Giuseppe infatti, oltre che prete, era uno scout.
Si era avvicinato all'associazione durante il seminario, diventando prima Capo Reparto del Gruppo di Aversa poi, dopo l'ordinazione a sacerdote, AE di zona e punto di riferimento importante per tutto il movimento campano.
L'ho visto in tante foto scattate durante le uscite scout, sorridente con lo zaino, giovane fra i giovani, che di lui sapevano cogliere l'autenticità proprio in quei modi schietti e un po' scanzonati che potevano imbarazzare chi fosse troppo attento alle forme e al protocollo.
I suoi ragazzi di allora lo raccontano come una persona disponibile, aperta al confronto e con un talento speciale per motivare, provocare e coinvolgere. Per tutti era semplicemente Peppe, uno di loro.
Le due dimensioni del suo impegno - il sacerdozio e lo scoutismo - don Diana le fondeva in un progetto di vita ambizioso e coerente. «La spiritualità scout - si legge negli appunti per un incontro di formazione - si apre a tutta la vita della Chiesa e a tutte quelle forme di vita vissuta dove lo Spirito alimenta l'ascolto e il servizio. Lo scoutismo celebra le Beatitudini, che Gesù ha annunciato come modo di vivere nel suo Regno.»
A Casal di Principe nell'Aversano, dove don Diana era parroco, erano però i clan camorristici a regnare. Ciò nonostante, Peppe non ha avuto dubbi nel decidere a quale legge obbedire: quella della responsabilità, la legge del Vangelo. È a causa del suo aver fame e sete di giustizia che il 19 marzo 1994, mentre si preparava a celebrare la messa, quattro proiettili della camorra l'hanno ucciso nella sacrestia della chiesa. Chi l'ha colpito voleva mettere a tacere, una volta per tutte, quella voce franca e scomoda di sacerdote e di cittadino.
Per amore del mio popolo non tacerò, titolava un documento del 1982 col quale, per la prima volta, la Chiesa campana aveva esortato i parroci a condannare senza ambiguità la camorra e i suoi metodi. Per amore del suo popolo e di una terra bella e amara, don Diana faceva ogni giorno della Parola uno strumento straordinario di annuncio e di denuncia.
Lui, che non amava essere etichettato come prete coraggio, credeva fosse dovere di un sacerdote «parlare chiaro nelle omelie ed in tutte quelle occasioni in cui si richiede una testimonianza
coraggiosa». Sapeva che il suo ministero gli offriva strumenti adatti per contrastare la camorra soprattutto sul piano culturale, della mentalità. Dall'altare, ma non solo, denunciava la logica dei clan: organizzazioni che concedevano come favore ciò che spettava come diritto, tenendo la comunità sotto il giogo di un potere all'apparenza invincibile.
Don Peppe non era uno sprovveduto, conosceva i rischi ai quali andava incontro schierandosi dalla parte della giustizia contro la criminalità organizzata. Se lo ha fatto, è anche perche sarebbe stato più duro per un uomo della sua integrità morale sopportare il peso del silenzio, dell'incoerenza, dell'irresponsabilità, dello smarrimento di se'.
«Se la camorra ha assassinato il nostro paese - aveva scritto in un articolo - ''noi'' lo si deve far risorgere, bisogna risalire sui tetti e riannunciare la ''Parola di Vita''». Proprio in quel noi sta la chiave dell'impegno, del nostro sentirei - prima che preti o scout - comunità di cittadini, custodi ognuno dei diritti dell'altro, capaci di parlare tutti con una sola voce.
La vostra, di voce, spero di ascoltarla presto, insieme a quella di migliaia di altri giovani. Libera - con i suoi tanti volti e realtà - sarà a Casal di Principe il 19 marzo prossimo, nel 15° anniversario della morte di don Diana, tappa preparatoria della quattordicesima "Giornata della memoria e dell'impegno" che quest'anno si terrà a Napoli il primo giorno di primavera.
L'etica libera la bellezza. Riscattare la bellezza, liberarsi dalle mafie è il titolo scelto per questa edizione. Bellissima è la lettera che ci ha scritto la mamma di don Peppe per invitarci nella sua terra. «Non dobbiamo lasciare spegnere la speranza - ci esorta Iolanda Diana - e proprio nei momenti più difficili occorre unirci per dare il meglio di noi e cambiare il nostro mondo, senza paura. So che ci sarete. »
Sono 720 le vittime delle mafie che ricorderemo il 21 marzo: molte, come don Diana, sono state uccise anche dalla solitudine in cui sono state lasciate. Facciamo in modo che non debba succedere più. Realizziamo ciò che è scritto sulla pietra dietro cui riposa don Peppino: «Dal seme che muore fiorisce una messe nuova di giustizia e di pace».

d. Luigi Ciotti