Obiezione di coscienza: un diritto pagato col carcere
L'obiezione di coscienza e' un fenomeno in costante diffusione tra i giovani, sempre piu' sensibili alla cultura della pace e della fratellanza universale. Per capire fino in fondo le ragioni dell'obiezione puo' essere utile un viaggio nel tempo attraverso la storia del pacifismo italiano, quando obiettare era ancora reato.
Ogni anno e' in costante aumento il numero di ragazzi che sceglie di svolgere un servizio civile sostitutivo in alternativa al servizio militare armato: i valori e le scelte che portano al rifiuto della divisa sembrano ormai accettati da tutti. Non va dimenticato tuttavia che fino a pochi anni fa il diritto all'obiezione di coscienza non veniva riconosciuto ne' dallo stato ne' tanto meno dalla totalita' della Chiesa, che solo ora sembra essersi avvicinata alle posizioni nonviolente e pacifiste, trascinata quasi a forza dalle grandi testimonianze di Padre Ernesto Balducci e di Don Lorenzo Milani. Nel febbraio '65 Don Milani si scontra con i suoi stessi "colleghi", i cappellani militari, che in un comunicato pubblicato sulla "Nazione" di Firenze "considerano un insulto alla Patria e ai suoi caduti la cosiddetta 'obiezione di coscienza' che, estranea al comandamento cristiano dell'amore, e' espressione di vilta'". La reazione di Don Milani non si fa attendere, e a pochi giorni di distanza dal comunicato critica aspramente la posizione dei cappellani militari con una lunga lettera nella quale il priore di Barbiana afferma che " ... io non ho patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall'altro. Gli uni son la mia Patria, gli altri i miei stranieri. Le uniche armi che approvo io sono nobili e incruente: lo sciopero e il voto". Qualche giorno prima Don Milani scriveva alla madre: "Sto scrivendo una lettera ai cappellani militari ... spero di tirarmi addosso tutte le grane possibili".
Le grane non si fanno attendere: un gruppo di ex combattenti di Firenze sporge una denuncia per apologia di reato: a quei tempi il rifiuto del servizio militare per "imprescindibili motivi di coscienza" non era ancora legale in Italia. Inizia un lungo iter processuale, che si conclude in appello con l'estinzione del reato, dovuta alla morte del priore. Con la stessa sentenza viene condannato a vari mesi di carcere il "complice" di Don Milani: il direttore di Rinascita, l'unica rivista che aveva accettato di pubblicare la lettera ai cappellani militari. La storia di Don Milani e' molto nota, e la stessa Rai, con uno sceneggiato in due puntate, ha provveduto ad addomesticare e ammorbidire la memoria del priore di Barbiana, ricordato dalla televisione di stato piu' per il suo amore per i bambini che per aver toccato i nervi scoperti della chiesa e della societa' del suo tempo.
Risalendo il corso della storia incontriamo un altro personaggio, forse meno conosciuto, ma non meno importante: Pietro Pinna, il primo obiettore del dopoguerra, finito in carcere nel maggio '48 per 10 mesi e nuovamente incarcerato a piu' riprese fino all'esonero dagli obblighi di leva. Prima di affrontare il suo processo, Pinna consegna un memoriale ai giudici: " ... mi si dice che il dovere di ogni cittadino e' innanzitutto quello di servire la patria. Ma io non mi sogno neppur lontanamente di rifiutarmi a questo. Chiedo soltanto che la patria realizzi un servizio in cui i suoi figli non siano costretti a tradire i principi della loro coscienza di uomini". Pinna chiede di servire la patria andando a cercare mine inesplose, ma questa alternativa non convince i giudici che lo condannano ugualmente al carcere.
Un'altro dei "pionieri" dell'obiezione di coscienza e' Giuseppe Gozzini, che nel 1962 accetta di comparire davanti alla corte marziale. Dopo un lungo calvario burocratico Gozzini viene condannato a sei mesi di carcere senza condizionale in base all'art.173 del codice penale militare. Il processo a Gozzini attira l'attenzione della stampa, e perfino il "Times" si interessa a questa condanna. In carcere Gozzini elabora un documento che fa il giro di redazioni e riviste, nel quale afferma che "Ogni volta che un uomo rifiuta di diventare complice di una situazione ingiusta, di eseguire ordini o di compiere azioni contrarie ai suoi principi, si ha obiezione di coscienza"
E' in questo senso che Gozzini indica come obiettori di coscienza anche Jean-Tae-il, l'operaio coreano di un'industria tessile che negli anni '70 si e' dato fuoco col codice del lavoro in mano per denunciare gli orari lavorativi massacranti e l'assenza di una legislazione sociale in Corea, Gabriele Bortolazzo, operaio della Montedison di Porto Marghera, che ha rischiato il posto di lavoro per denunciare l'impiego di sostanze cancerogene e "l'uso strumentale della malattia e della morte operaia nelle lotte di mercato e multinazionali", Giorgio Antonucci, medico che si oppone al TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio), il ricovero coatto che spesso coincide con la segregazione a vita per i cosiddetti "malati di mente", Maurizio Saggioro, licenziato nel 1981 dalla ditta Metalli Pressati Rinaldi per aver rifiutato di costruire dei componenti per mine, richiedendo di essere destinato ad altre mansioni all'interno dell'azienda.
Il numero degli obiettori rimane basso fino al '69, quasi tutti testimoni di Geova con l' eccezione di alcuni anarchici, nonviolenti, socialisti e pochissimi cattolici. Nel 1972, in seguito ai movimento di opinione scatenato dai pionieri dell'obiezione di coscienza, la legge 772 del 15 dicembre stabilisce le "Norme per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza", una legge che pone fine al calvario giudiziario degli obiettori. Fino al 1972, infatti, l'espiazione della condanna al carcere militare non esonerava dal servizio militare. Si creava un circolo vizioso (chiamata alle armi, obiezione condanna, carcerazione, nuova chiamata alle armi ...) che avrebbe potuto proseguire fino al quarantacinquesimo anno di eta'. Nella pratica, dopo due o tre periodi detentivi, gli obiettori venivano riformati per motivi di salute, a volte pretestuosi, a volte reali, in quanto le condizioni di vita nelle carceri militari mettevano effettivamente a repentaglio la salute fisica.
La legge 772, pur rappresentando una conquista di civilta' per il nostro paese, e' stata duramente contestata su vari fronti, per alcuni aspetti controversi: con questa legge l'obiezione di coscienza non rappresentava un diritto inalienabile, come puo' esserlo la liberta' di pensiero o di religione, ma era solamente un beneficio concesso a discrezione dello stato e dell'apposita Commissione nominata dal Ministero della difesa, la durata del servizio civile veniva maggiorata di otto mesi rispetto a quello militare, gli obiettori venivano sottoposti al giudizio del tribunale militare. Il lungo e paziente lavoro di sensibilizzazione delle associazioni di obiettori ha portato vari organi giudiziari (Corte di Cassazione, Consiglio di Stato, TAR, Corte Costituzionale) a dichiarare l'illegittimita' di vari articoli della 772, con delle sentenze che hanno portato alla parificazione della durata del servizio civile a quella dei servizio militare. Senza l'effetto deterrente degli otto mesi in piu', le domande di obiezione di coscienza hanno subito un'impennata, e ogni anno sono sempre di piu' i giovani che scelgono di servire la patria all'interno di associazioni, centri di prima accoglienza, ambulanze o comunita' di recupero.