| 
 1) Kossovo 
              e Sudafrica: c'è qualcosa in comune tra di loro?
  "Verità senza vendetta" è il titolo 
              del bel libro di Marcello Flores, docente di storia contemporanea 
              all'Università di Siena, dedicato all'analisi dell'esperienza sudafricana 
              della "Commissione per la Verità e la Riconciliazione". Esso, dopo 
              un'introduzione generale, riporta una vasta selezione dei documenti 
              originali della Commissione. E' importante analizzarlo a fondo per 
              vedere quali insegnamenti si può trarre da quell'esperienza per 
              la situazione kossovara.Anche qui esisteva una forma di apartheid abbastanza simile a quello 
              del Sudafrica, con una minoranza di meno del 10% della popolazione, 
              di etnia serba, che con la violenza, e grazie ad una legge definita 
              di "emergenza" (esattamente il nome di quella che nel Sudafrica 
              manteneva in vita l'apartheid), ma che era in realtà una vera e 
              propria "legge marziale", di guerra, controllava la situazione ed 
              imponeva le sue regole alla maggioranza albanese (quasi il 90% della 
              popolazione). L'apartheid era emerso inizialmente per volontà del 
              governo serbo ma era stato, di fatto, subìto e accettato (fino a 
              farne il punto di partenza della propria lotta nonviolenta) dalla 
              popolazione albanese.
 Infatti, ad esempio, per quanto riguarda il settore scolastico, 
              il governo serbo in un primo tempo aveva messo fuori dalle strutture 
              pubbliche gli studenti e gli insegnanti albanesi, ma avrebbe preferito, 
              in seguito, rinserirli al loro interno a patto che riconoscessero 
              come valide le modifiche costituzionali da esso imposte con la forza 
              e con la frode nel 1989, ed accettassero di studiare in lingua serba 
              (almeno nei gradi superiori dell'insegnamento) e secondo i programmi 
              del ministero dell'educazione serbo. Ma gli albanesi si sono rifiutati 
              di farlo ed hanno dato vita ad un sistema scolastico parallelo, 
              in lingua albanese e con programmi che riprendevano, grosso modo 
              (tranne per l'insegnamento della lingua serba che veniva cancellata 
              dal programma sostituendola con quella inglese), quelli vigenti 
              prima delle modifiche costituzionali su citate (1989/90). Lo stesso 
              è avvenuto per quanto riguarda il governo. Non accettando le modifiche 
              costituzionali su citate, che erano state fatte in un modo del tutto 
              "incostituzionale", gli albanesi del Kossovo si sono rifiutati di 
              partecipare alle elezioni, e di utilizzare l'autonomia restante 
              (deprivata delle caratteristiche statuali che avevano in virtù della 
              Costituzione del 1974), mettendo in vita un proprio sistema di governo 
              parallelo, con proprie elezioni, considerate illegali dal governo 
              serbo, ma cui partecipava la stragrande maggioranza della popolazione 
              albanese (ed anche altri di etnie diverse come i turchi ed i gorani). 
              E dei progetti legge del governo serbo, non ancora realizzati, prevedevano 
              per questa zona, come in Sudafrica, sia a livello politico che amministrativo, 
              un doppio sistema di organi politici-amministrativi separati, da 
              una parte gli albanesi, dall'altra i serbi e le altre etnie, ma 
              con poteri uguali, in modo che nessuna decisione potesse essere 
              presa, nè a livello amministrativo, nè politico, dalla maggioranza 
              albanese, senza l'accordo degli altri gruppi etnici. Come si vede 
              perciò le simiglianze tra i due sistemi erano abbastanza notevoli 
              ed anche qui nel Kossovo, come è stato sottolineato da vari studiosi, 
              esisteva un sistema di "apartheid". Ed in ambedue i paesi, le persone 
              torturate, uccise, maltrattate, dalle rispettive polizie sono state 
              numerosissime. E sia in Sudafrica che nel Kossovo la polizia, ed 
              i gruppi paramilitari da questa assoldati e protetti, ha commesso, 
              per mantenere il gruppo subordinato sotto il giogo e non fargli 
              rialzare troppo la testa, crimini inauditi ed efferati. Ma la prima 
              grande differenza è stata nel tipo di lotta portata avanti dalla 
              maggioranza della popolazione. Il movimento principale dei neri 
              sudafricani (l'African National Congress, ANC) anche se in un primo 
              tempo aveva portato avanti anche azioni di tipo nonviolento, aveva 
              scelto, in definitiva, una strategia di lotta armata. Infatti, nel 
              dicembre 1948, quando il neo Presidente del Sudafrica, De Klerk, 
              ha avuto un primo incontro con Mandela, in carcere da 27 anni, gli 
              ha proposto la liberazione in cambio della dichiarazione unilaterale, 
              da parte dell'ANC, della fine della lotta armata (Flores, p. 15), 
              Mandela ha rifiutato questo scambio.
 Il movimento kossovaro invece, compatto, contro la violazione costituzionale 
              che ha declassata questa area a semplice provincia della Serbia 
              (1989) ha deciso di portare avanti una lotta nonviolenta, anche 
              se con opinioni diverse, tra partiti e movimenti, sulle modalità 
              con cui realizzarla. Alcuni raggruppamenti (come, ad esempio, il 
              Partito Parlamentare, il secondo in ordine di grandezza nelle elezioni 
              del 1992) avrebbe desiderato una lotta nonviolenta più attiva (occupazione 
              di fabbriche e scuole, manifestazioni di massa, ecc.) che rendesse 
              più visibile l'insoddisfazione della popolazione albanese del Kossovo 
              per le proprie condizioni. Il Partito di Rugova, invece, maggioritario 
              (LDK) temeva che questo tipo di azioni potessero trasformarsi, a 
              causa di una risposta violenta della polizia serba, in uno scontro 
              a fuoco ed in una lotta armata aperta, ed ha preferito limitarsi 
              a portare avanti la strategia nonviolenta del governo parallelo, 
              senza azioni dirette. Ma l'accordo sulla strategia nonviolenta è 
              stato totale fin verso il 1997 quando, soprattutto dopo le stragi 
              di Drenica e Racak, portate avanti dai paramilitari serbi, è emersa 
              come strategia di fondo del popolo albanese del Kossovo la lotta 
              armata portata avanti dall'UCK.
 Questa diversità tra Sudafrica e Kossovo ha fatto sì che nel primo 
              paese il numero di morti e di vittime anche da parte dei sostenitori 
              del regime (non solo bianchi ma anche neri loro collaborazionisti, 
              come i membri dell'IFP) fosse molto più elevato che nel Kossovo 
              in cui, per moltissimo tempo, le vittime delle violazioni di diritti 
              umani (uccisioni, maltrattamenti, imprigionamenti abusivi; sequestri, 
              ecc.) erano quasi esclusivamente gli albanesi del Kossovo. Questo 
              fatto spiega anche certi passaggi della relazione della commissione 
              del Sudafrica che dà atto, in vare occasioni, del fatto che abusi 
              e violazioni dei diritti umani erano stati commessi da ambo le parti, 
              e non solo da parte del governo bianco.
 L'altra grande diversità è nel modo in cui si sono superati i due 
              sistemi di "apartheid". In Sudafrica si è arrivati alla decisione 
              di superare l'apartheid e di andare verso un sistema democratico, 
              consensualmente, per volontà delle due parti. Nel 1989 il Presidente 
              eletto De Klerk apre un periodo di disgelo liberando un certo numero 
              di prigionieri politici e dando inizio a colloqui con Nelson Mandela, 
              il capo dell'ANC. Nel febbraio del 1990 De Klerk si esprime "per 
              l'abbandono della violenza invitando a raccogliere la lezione che 
              veniva dal crollo dei paesi comunisti" (Flores, p. 16) e mette le 
              prime pietre per una transizione verso la democrazia, revocando 
              la legislazione di emergenza e liberando, senza condizioni, Mandela. 
              Toglie anche il bando all'ANC (African National Congress, il partito 
              di Mandela) e ad altri movimenti politici od associazioni fino ad 
              allora proibite. Nel 1993 De Klerk e Mandela raggiungono un accordo 
              "per una costituzione provvisoria che prefigura una democrazia non 
              razzista e pluripartitica, una carta dei diritti ed una divisione 
              amministrativa in nove province" e viene loro assegnato, congiuntamente, 
              il premio Nobel per la Pace (Flores p. 17). Malgrado molte violenze 
              provocate soprattutto da un partito di neri collaborazionisti del 
              precedente governo (IFP) che cercano di ricreare un clima di guerra 
              e di rottura, si arriva nel 1994 alle elezioni che vedono il partito 
              di Mandela avere la maggioranza assoluta ed il controllo di sette 
              delle nove province. Nel maggio 1994 Mandela viene eletto Presidente. 
              Nel dicembre 1995 istituisce la "Commissione per la Verità e la 
              Riconciliazione", "per dare attuazione a quanto previsto dalla Legge 
              nazionale di unità e riconciliazione che era stata approvata nel 
              luglio di quello stesso anno" (Flores, p. 17). Nel Kossovo i tentativi 
              di accordi e di decisioni consensuali sono falliti, per ragioni 
              varie che qui non è il caso di analizzare, cui ho dedicato altri 
              miei scritti, ed il superamento del regime di "apartheid" è avvenuto 
              attraverso una guerra che ha visto atroci episodi di violenza subìti 
              soprattutto dagli albanesi. E' vero che molti di questi episodi 
              sono avvenuti dopo l'inizio della guerra, e perciò come reazione 
              dei serbi al fatto di essere vittime delle bombe Nato, dal momento 
              che i serbi sentivano le bombe della Nato come direttamente volute 
              dagli albanesi, il che era vero. Ma per il cittadino comune albanese, 
              che si è visto scacciare dalla propria casa mentre questa veniva 
              data alle fiamme, che ha visto molte volte uccidere uno o più figli 
              maschi, ed in alcuni casi violentare le figlie femmine, e si è visto 
              spinto fuori dal proprio paese per andare a vivere in campi di raccolta 
              in cui le condizioni di vita erano spesso tutto fuorché "civili", 
              malgrado la buona volontà degli organizzatori, il collegamento tra 
              le bombe Nato e quanto veniva fatto a loro era difficilmente comprensibile. 
              E naturalmente ne ha tratto odio e rabbia, ed è molto poco disposto 
              a perdonare, e soprattutto a riconciliarsi. Ed i casi simili sono 
              talmente numerosi da mettere in dubbio seriamente che gli albanesi 
              del Kossovo siano disposti a riconciliarsi soprattutto con i membri 
              di quei gruppi paramilitari organizzati da Arkan o da Secelj che 
              hanno commesso la maggior parte di quei crimini. E piuttosto che 
              perdono e riconciliazione chiedono giustizia.
 E questo anche se nel 1990 c'è stato nel Kossovo un bellissimo movimento 
              della riconciliazione che ha visto "rimettere il sangue" e perdonarsi 
              a vicenda circa 1250 famiglie che erano fino ad allora legate tra 
              loro da un patto di vendetta, per rivalorizzare il principio del 
              perdono e della riconciliazione che facevano parte della stessa 
              legge, ma che erano stati messi in secondo piano. Ma non si può 
              dimenticare che la stragrande maggioranza dei casi di riconciliazione 
              erano tra membri della stessa etnia albanese che si "perdonavano 
              il sangue" perchè ambedue vittime dello stesso oppressore, il governo 
              e la polizia serba. Purtroppo le notizie che arrivano ogni giorno, 
              ora che è ritornata la pace e le truppe KFOR sono stanziate nella 
              regione, di persone serbe o rom considerate criminali di guerra, 
              o di albanesi "collaborazionisti" e perciò ritenuti traditori, uccise 
              da civili albanesi, o da persone che indossano la divisa dell'UCK 
              - molte volte non è dato sapere se sono soldati regolari o irregolari 
              - o le notizie delle case dei serbi bruciate, oppure occupate abusivamente 
              da famiglie albanesi, o della bomba messa alla Chiesa Ortodossa 
              in costruzione nel campus universitario di Pristina, mostrano come 
              la legge della vendetta sia ancora viva ed attuale, e come il cammino 
              di una eventuale riconciliazione sia lungo e difficile.
 Può l'esperienza della Commissione per la Verità e la Riconciliazione 
              del Sudafrica darci qualche suggerimento ed aiuto a superare questo 
              stato di cose? Personalmente ritengo di si, e cercherò di dimostrare 
              questa tesi nel proseguo di questo articolo. Il primo elemento in 
              positivo è stato quello che tutte le commissioni, del genere di 
              quella del Sudafrica (presentate in un quadro sinottico in appendice), 
              che hanno cercato di far emergere i crimini del passato, non tanto 
              per rinfocolare gli odi ma piuttosto per "rendere più umana la nostra 
              società ... [e] far comprendere l'idea di responsabilità morale" 
              (Flores, p. 18), come scrive uno dei promotori della commissione 
              sudafricana, oppure per "aiutare il nostro paese ad accettare il 
              suo passato così da poter aspirare ad un nuovo futuro", come scrive 
              il vescovo anglicano Desmond Tutu, premio Nobel per la Pace nel 
              1984 e Presidente della Commissione su citata, nella sua introduzione 
              alla relazione finale della Commissione (Flores, p. 68), sono nate 
              e si sono costituite dopo il superamento di una dittatura e nel 
              passaggio verso un regime democratico. E questo può valere anche 
              per il Kossovo dato che il crollo della dittatura miloseviciana 
              sul territorio del Kossovo pone le premesse dell'organizzazione 
              di un vero e proprio regime democratico, finora inficiato dalle 
              difficili condizioni in cui venivano portate avanti le elezioni, 
              dai dissidi interni trai vari partiti albanesi (che hanno portato 
              molti di loro a boicottare le elezioni del marzo 1998), e dalla 
              reale mancanza di potere del governo alternativo kossovaro. Ma il 
              quadro storico presentato in appendice mostra anche le difficoltà 
              che si sono incontrate nelle varie zone per portare avanti le attività 
              di queste commissioni che, in due casi, quello del Salvador e dell'Argentina, 
              sono servite quasi esclusivamente all'approvazione, da parte del 
              Parlamento, di un'amnistia generale per tutte le persone che avevano 
              commesso queste violazioni, e che, nella maggioranza degli altri 
              casi, hanno avuto la vita grama, o per mancanza di fondi (che dimostrano 
              la volontà dei nuovi governi di insabbiare questi lavori), o per 
              minaccie e pressioni da parte delle persone indagate. Pressioni 
              queste che spesso hanno portato all'interruzione dei lavori della 
              commissione o alla necessità, per portarli avanti lo stesso, di 
              sostituire una gran parte dei suoi componenti. Il problema si pone 
              soprattutto se la commissione non si limita ad indagare le violazioni 
              dei diritti umani dei passati regimi, come ha fatto ad esempio quella 
              nominata nella Germania Unificata nella sua indagine sulla Stasi, 
              la polizia comunista della Germania Orientale, ma cerca di far emergere, 
              come ha fatto quella del Sudafrica, le violazioni portate avanti 
              anche dalle opposizioni, che sono nel frattempo diventate la forza 
              al potere. Un esempio di queste difficoltà sono le critiche dellANC 
              alla Commissione Sudafricana ed i suoi tentativi di ostacolarne 
              i lavori impedendo ai suoi membri di testimoniare, lavori che sono 
              potuti continuare solo grazie alla minaccia di dimissioni del suo 
              presidente Tutu, ed all'appoggio di Mandela.
 inizio della pagina Ma prima di vedere se e come l'esperienza 
              sudafricana può essere utile per la situazione del Kossovo sarà 
              bene fare un'analisi, sempre sulla base del libro su citato di Flores, 
              delle attività di questa Commissione, denominata appunto, come già 
              detto "per la Verità e la Riconciliazione".2) L'esperienza della 
              Commissione per la Verità e la Riconciliazione in Sudafrica
 "Compito principale della Commissione era ricostruire, nel modo 
              più completo possibile, il quadro della natura, delle cause e della 
              diffusione delle gravi violazioni dei diritti umani compiute tra 
              il 1 marzo 1960 [data della strage di Sharpville in cui la polizia 
              aveva ucciso 69 partecipanti ad una manifestazione dell'opposizione 
              e che era stata seguita dalla messa al bando delle organizzazioni 
              antiapartheid] e la fine del 1993; offrire alle vittime la possibilità 
              di rivelare e raccontare gli abusi di cui erano state oggetto; garantire 
              l'amnistia alle persone che avessero reso piena confessione di ogni 
              fatto rilevante legato ad azioni compiute per obiettivi politici; 
              intraprendere misure di risarcimento, riabilitazione e ripristino 
              della dignità umana e civile; rendere noti alla nazione i risultati 
              raggiunti; suggerire raccomandazioni finalizzate ad impedire che 
              in futuro si potessero ripetere le medesime violazioni dei diritti 
              umani" (Flores, p. 19).
 La Commissione, che è stata nominata - dopo una lunga selezione 
              che aveva coinvolto molti organismi, sotto gli occhi dei media e 
              lo scrutinio dell'opinione pubblica - sulla base dei meriti civili 
              e delle competenze professionali ed umane, si è organizzata in tre 
              sottocommissioni:
 
              Data la vastità del territorio (1,2 
              milioni di chilometri quadrati) e la diversità delle aree, si è 
              strutturata regionalmente in un ufficio centrale, uno interregionale, 
              ed altri quattro uffici regionali. Questo è servito a ridurre le 
              difficoltà logistiche di svolgere udienze, verbalizzare le deposizioni, 
              compiere le indagini. Le principali modalità di raccolta delle informazioni 
              sono state: il comitato per la violazione 
                dei diritti umaniil comitato per lamnistiail comitato per il risarcimento 
                e la riabilitazione 
              La commissione, per garantirsi che nelle deposizioni delle vittime 
            fossero contenuti il massimo numero possibile di informazioni di rilievo, 
            aveva messo a punto un "protocollo" in base al quale strutturare e 
            sistematizzare le prove offerte da ogni vittima. Questo doveva servire 
            anche a promuovere l'uniformità e la coerenza del modo con cui venivano 
            verbalizzate le deposizioni delle vittime. Molta importanza è stata 
            data alla verbalizzazione delle testimonianze, molte delle quali si 
            sono svolte sotto i riflettori della TV e gli occhi della stampa, 
            e che dovevano servire, non solo a raccogliere informazioni sulle 
            violazioni, ma anche ad aiutare le vittime a scaricare i loro sentimenti 
            di frustrazione e di dolore attraverso la compartecipazione delle 
            persone che le ascoltavano. Per i casi più gravi e per un aiuto ad 
            esprimere questi sentimenti repressi era previsto anche un servizio 
            di aiuto psicologico. Subito dopo venivano cercate le conferme alle 
            deposizioni raccolte attraverso la ricerca di strumenti di corroborazione, 
            come ad esempio le registrazioni dei tribunali, i documenti d'indagine, 
            i certificati di morte, i ritagli di giornali, ecc.. Oppure ricercando 
            nelle biblioteche o sul campo per mettere a fuoco i conflitti politici 
            che avevano avuto luogo nelle aree dove erano avvenute delle gravi 
            violazioni dei diritti umani. Particolarmente approfondite sono state 
            le ricerche portate avanti dalla Commissione per l'amnistia. Questa 
            ultima era infatti condizionata all'aver fatto una completa rivelazione 
            dei fatti ed all'aver agito per fini esclusivamente politici, e non 
            personali, ed ha portato a notevoli approfondimenti sui motivi ed 
            i punti di vita di coloro che avevano commesso tali abusi ed a raccogliere 
            importanti prove per determinare chi avesse autorizzato queste violazioni. 
            La commissione ha potuto verificare (ma il dato, come essa stessa 
            dice, è sicuramente in difetto, perchè molte persone non hanno avuto 
            il coraggio o la voglia di venire a testimoniare) 21.000 casi di violazione 
            dei diritti umani. Il 90% delle persone che hanno dichiarato di aver 
            subìto abusi dei loro diritti facevano parte della comunità nera. 
            Nella relazione finale la Commissione scrive, tra l'altro: "La maggior 
            parte delle gravi violazioni dei diritti umani è stata commessa dal 
            precedente stato attraverso i suoi apparati di sicurezza e le strutture 
            di applicazione della legge. Inoltre lo stato sudafricano nel periodo 
            compreso tra la fine degli anni '70 e dei primi anni '90 è stato coinvolto 
            in attività di natura criminale quando, tra le altre cose, consapevolmente 
            pianificò, condusse, accettò, nascose azioni illegali, comprese le 
            esecuzioni extra-giudiziali di oppositori politici e altre persone, 
            dentro e fuori il Sudafrica. (...) Le prove portate alla Commissione 
            indicano (...) che dalla fine degli anni 70 i poliziotti di più alto 
            grado - così come i comandanti della polizia, dei servizi segreti 
            e dell'esercito - svilupparono una strategia per trattare con gli 
            oppositori del governo. Questa strategia comprese, tra l'altro, gli 
            omicidi extragiudiziari, dentro e fuori dal Sudafrica, di persone 
            che si riteneva rappresentassero una sfida all'autorità dello stato." 
            (Flores, p.224). In complesso la Commissione ritiene che lo stato 
            abbia commesso, sia all'interno che all'esterno del Sudafrica, le 
            seguenti violazioni dei diritti umani: torture; rapimenti; maltrattamenti 
            (compresi gli abusi sessuali, il deliberato rifiuto di cure mediche, 
            la distruzione di case ed uffici con incendi e sabotaggi, mutilazioni 
            ); l'uso ingiustificato di forza eccessiva in situazioni dove misure 
            meno forti sarebbero state sufficienti per controllare manifestazioni 
            o arrestare persone sospette; la deliberata manipolazione delle divisioni 
            sociali con l'intenzione di mobilitare un gruppo contro un altro, 
            provocando, in questo modo, a volte, scontri violenti; l'armamento, 
            il finanziamento e l'addestramento di stranieri per azioni militari 
            contro altri governi sovrani della regione; le incursioni oltre i 
            confini sudafricani con l'intenzione di uccidere o rapire oppositori 
            che vivevano al di fuori del paese; le esecuzioni di oppositori politici; 
            le esecuzioni extra-giudiziali sotto forma di omicidi pianificati 
            ed eseguiti dallo stato, tentati omicidi, sparizioni, rapimenti, imboscate; 
            l'addestramento clandestino, l'armamento o il finanziamento di gruppi 
            paramilitari o squadroni della morte da mettere in azione all'interno 
            del paese contro gli oppositori del governo (Ibid. pp. 224/225). Ma 
            molte pagine del rapporto sono dedicate anche all'analisi delle violazioni 
            fatte da membri dell'opposizione, in particolare dal Club di Calcio 
            Mandela, guidato dalla ex-moglie del Presidente facente parte dell'ala 
            militare dell'ANC, che ha commesso gravi violazioni dei diritti umani, 
            con la creazione in certe zone di un "regno del terrore" con rapimenti, 
            aggressioni, gravi pestaggi delle persone considerate traditrici della 
            causa dei neri, mutililazioni, tentata uccisione o uccisioni di alcuni 
            di loro. In particolare alcuni passaggi sono dedicati alla descrizione 
            dell'uso, da parte degli stessi neri contro altre persone della stessa 
            razza sospettate di tradimento o di spionaggio, del cosiddetto "collare 
            di fuoco", e cioè il mettere loro al collo un copertone di bicicletta, 
            cospargelo di benzina e dargli fuoco, con atroci sofferenze e spesso 
            con la morte delle persone prese di mira.le udienze (delle vittime; per 
                eventi specifici; per categorie speciali - donne, ragazzi e bambini, 
                militari; delle istituzioni; dei partiti politici) le indagini, per corroborare le 
                testimonianze, verificarne la validità ed integrarle con altre 
                informazioni le ricerche, attraverso la costituzione 
                di un vero e proprio dipartimento apposito, per aiutare l'analisi 
                e la contestualizzazione dell'enorme ammontare di dati, prove 
                ed informazioni ricevute  Ma tre aspetti particolari del lavoro di questa Commissione meritano 
            una trattazione più approfondita, e cioè
 
              l'amnistiail risarcimento e la riabilitazionela riconciliazione inizio della pagina  2.1) Amnistia Ecco quello che dice D. Tutu, nella 
            sua introduzione, rispondendo alle critiche su questo aspetto. "Quanti 
            si sono preoccupati del futuro del nostro paese hanno temuto che le 
            clausole dell'amnistia, tra le altre cose, potevano incoraggiare l'impunità 
            dal momento che sembravano sacrificare la giustizia. Riteniamo sbagliata 
            questa idea. Chi chiede l'amnistia deve ammettere di essere responsabile 
            degli atti per i quali chiede di essere amnistiato, ed in questo modo 
            viene affrontata la questione dell'impunità. Inoltre, salvo circostanze 
            eccezionali, l'esame della richiesta di amnistia avviene in udienze 
            pubbliche. Chi chiede l'amnistia deve perciò fare le proprie ammissioni 
            alla luce del sole. Proviamo ad immaginare cosa significa tutto ciò. 
            Spesso questa è la prima volta che la famiglia di chi presenta domanda 
            di amnistia, o la comunità cui appartiene, scoprono che quello che 
            in apparenza era una brava persona, era per esempio un torturatore 
            incallito o un membro degli squadroni della morte che assassinarono 
            numerosi oppositori del passato regime. Insomma c'è un prezzo da pagare, 
            per l'amnistia. Le rivelazioni pubbliche portano ad un'umiliazione 
            pubblica e talvolta un matrimonio finisce per diventare a sua volta 
            un'altra povera vittima.... Certamente, l'amnistia non può essere 
            considerata giustizia se pensiamo alla giustizia solo in termine di 
            punizione e di castigo. Ma noi crediamo vi sia un altro genere di 
            giustizia - una giustizia risarcitoria che non è tanto preoccupata 
            della punizione quanto della correzione degli squilibri, della ricostituzione 
            dei rapporti - attraverso la cura, l'armonia e la riconciliazione. 
            Una tale giustizia si concentra sull'esperienza delle vittime, e da 
            ciò deriva l'importanza del risarcimento" (Flores, pp. 72/73). E, 
            su questo stesso argomento, parlando del caso dell'amnistia concessa 
            ad uno dei più noti ed orgogliosi tortutatori della polizia sudafricana, 
            questo è il commento del curatore del libro, Marcello Flores: "I dubbi 
            iniziali, da sempre presenti in occasioni di amnistie promosse o effettive, 
            rimangono: premiare chi ha il coraggio di raccontare il malfatto può 
            essere una scelta giusta, ma resta la sensazione che il crimine, una 
            volta riconosciuto, venga anche accettato. L'amnistia concessa dalla 
            TRC (in inglese "Truth and Reconciliation Commission"), tuttavia, 
            non è automatica. Non lo prevede la legge istitutiva anche se, a dispetto 
            della convinzione di autorevoli commentatori, non vi è bisogno di 
            pentimento, costrizione o del perdono delle vittime perchè possa venir 
            garantita. Ma non lo è soprattutto se si guardano i numeri delle amnistie 
            concesse rispetto a quelle richieste, quelle negate per carenza di 
            motivazioni politiche e quelle per carenza di confessione dell'intera 
            verità" (Flores, p. 53). Ed effettivamente questi numeri confermano 
            una notevole rigidità della commissione. Al dicembre 1998 erano state 
            presentate 7124 domande. Di queste sono state poi ritirate 48; rifiutate 
            per mancanza di motivazione politica 2686; rifiutate per obiettivo 
            personale 45; rifiutate per colpa negata 160; rifiutate per non piena 
            confessione 91; rifiutate per mancanza di motivazione politica e per 
            obiettivo personale 300; rifiutate per mancanza di motivazione politica 
            e colpa negata 212; non applicabile per assoluzione 1; non applicabile 
            per offesa non specificata 127; non applicabile perchè fuori giurisdizione 
            299; non applicabile perchè presentata fuori scadenza 565; amnistie 
            concesse 216; decisioni in corso 337. Decisioni prese complessivamente 
            5111; in attesa 2013 (Flores, p. 63). Ma malgrado il rischio accennato di accettazione della criminalità, 
            anche qualche volta efferata, come fatto normale, non punibile, il 
            Flores dà un giudizio in sostanza molto positivo del lavoro della 
            Commissione. Scrive infatti: "La TRC non è solo, come è stato detto 
            polemicamente, una sorta di pubblico confessionale dove in cambio 
            di una piena confessione - ma non del pentimento - si ottiene la garanzia 
            della propria immunità.... Quella che la TRC è riuscita a mettere 
            in piedi è una sorta di circolo virtuoso in cui s'intrecciano ed alimentano 
            a vicenda paura ed espiazione, rimorso e penitenza, minaccia e ricompensa 
            e il cui scopo prioritario è di rintracciare il massimo di verità 
            possibile.... La scelta di puntare sulla verità invece che sulla giustizia 
            come cornice del processo di rivisitazione del passato vuol dire lasciare 
            all'amnistia un ruolo importante ma non centrale e tantomeno unico, 
            a dispetto delle polemiche che si concentrano su di essa; e valorizzare, 
            invece l'esperienza vissuta, la percezione introiettata, la verità 
            incardinata nelle singole narrazioni e il mito nascosto nella memoria 
            comunitaria" (Flores, pp. 54/55). Ed un filosofo attivista dei diritti 
            umani cileno, che ha fatto parte della Commissione per la Verità e 
            la Riconciliazione del suo paese ed ha collaborato alla fase costituente 
            di quella del Sudafrica dice: "Talvolta è necessario scegliere tra 
            verità e giustizia. Noi scegliamo la verità. La verità non riporta 
            alla vita i morti, ma li libera dal silenzio.... L'identità è memoria. 
            Le identità forgiate su mezzi ricordi o false testimonianze facilmente 
            commettono trasgressioni" (Ibid. p. 55). "Osservatori internazionali 
            - continua Flores a commento del lavoro della Commissione - hanno 
            concordato che non si era mai visto al termine di alcun conflitto 
            precedente - né in processi né in commissioni analoghe - un numero 
            così alto di responsabili di crimini di entrambe le parti in lotta 
            ammettere gli abusi commessi e raccontare in dettaglio il modo in 
            cui li avevano compiuti" (ibid. p. 54). Come ha detto una studiosa 
            di questo fenomeno in una conferenza a Washington: "Unita alle udienze 
            dedicate alle vittime, questa onda continua di rivelazione, pena e 
            occasionale richiesta di scusa sta avendo un impatto tremendo sulla 
            società e mutando fondamentalmente la maniera con cui il paese comprende 
            la propria storia" (Ibid.). Ed a conclusione di questo paragrafo sembra 
            opportuno citare le parole di Tutu nella sua introduzione al rapporto 
            della Commissione: "'Coloro che dimenticano il passato sono condannati 
            a ripeterlo' sono le parole che campeggiano all'entrata del museo 
            del campo di concentramento di Dachau. Sono parole che faremo bene 
            a tenere in mente. Per quanto possa essere un'esperienza dolorosa, 
            non possiamo permettere che le ferite del passato arrivino a suppurazione. 
            Devono essere aperte. Devono essere pulite. Devono essere spalmate 
            di balsamo perchè possano guarire. Questo non significa essere ossessionati 
            dal passato. Significa preoccuparsi che il passato sia affrontato 
            in modo adeguato per il bene del futuro" (Flores, p. 71).
 
 inizio della pagina  2.2) Risarcimento 
              e riabilitazione E' questo un altro argomento che volevamo 
            analizzare più a fondo prima di passare a vedere se e come l'esperienza 
            del Sudafrica potrebbe essere utile anche per il Kossovo. La relazione 
            della Commissione, nel capitolo dedicato a "La politica di risarcimento 
            e riabilitazione", inizia così: "Nel periodo esaminato alla maggioranza dei sudafricani erano negati 
            i diritti fondamentali, compresi il diritto di voto e il diritto ad 
            avere adeguata istruzione e abitazione, il diritto ad un sistema sanitario 
            accessibile e il diritto ad un'igiene adeguata. Chi si opponeva all'apartheid 
            fu soggetto a diversi tipi di repressione. Numerose organizzazioni 
            e individui che si opposero al precedente stato vennero messi fuori 
            legge o esiliati, le marce di protesta furono disperse, la libertà 
            di parola venne inibita e migliaia di persone furono imprigionate. 
            Tutto ciò ha provocato una terribile frustrazione e rabbia tra coloro 
            che erano privati dei diritti fondamentali. Presto, ogni azione repressiva 
            dello stato determinò un reciproco atto di resistenza e il conflitto 
            sudafricano si trasformò in una spirale incontrollabile, con conseguenti 
            orribili azioni violente e abusi sui diritti umani commessi da tutti 
            coloro che parteciparono al conflitto. Nessuna parte della società 
            sudafricana è sfuggita a quelle azioni e abusi"(Flores, p. 219).
 Da questa premessa la Commissione fa scaturire l'indispensabilità 
            di un risarcimento: "Le vittime degli abusi sui diritti umani hanno 
            patito una molteplicità di perdite e per questo hanno diritto al risarcimento. 
            Senza adeguate misure risarcitorie e di riabilitazione, non ci può 
            essere guarigione o riconciliazione ... il risarcimento è essenziale 
            per controbilanciare l'amnistia. La concessione di amnistia impedisce 
            alle vittime di intentare un processo civile contro chi ha violato 
            i loro diritti umani. Per questo il governo deve accettare la responsabilità 
            del risarcimento ... senza adeguate misure di risarcimento e riabilitazione 
            non sarà possibile alcuna guarigione o riconciliazione né a livello 
            individuale né a livello comunitario. Per restaurare il benessere 
            fisico e mentale delle vittime dovranno essere applicate misure più 
            generali di risarcimento" (Ibid. p.220).
 Le forme in cui prende forma questo risarcimento sono:
 1) risarcimento temporaneo urgente: una forma di assistenza per le 
            persone che sono in condizione di bisogno per garantire loro laccesso 
            a strutture e servizi adeguati;
 2) sussidi di risarcimento individuale: la commissione raccomanda 
            che chiunque sia stato vittima di gravi violazione dei diritti umani 
            riceva un sussidio finanziario, determinato in base a diversi criteri 
            e pagato per un periodo di sei anni;
 3) risarcimento simbolico / misure amministrative legali: le prime 
            sono misure per agevolare il processo collettivo di memoria e per 
            commemorare le sofferenze e le vittorie del passato (ad esempio con 
            memoriali o apertura di musei appositi) e quelle legali amministrative 
            per assistere gli individui in una serie di pratiche (ad esempio per 
            lottenimento di certificati, lassistenza legale, ecc.)
 4) programmi di riabilitazione comunitaria: la commissione propone 
            che il governo organizzi strutture adeguate, anche dopo che essa abbia 
            terminato i suoi lavori e sia stata sciolta, per promuovere lascolto 
            delle vittime delle violazioni e per la guarigione ed il recupero 
            degli individui e delle comunità che siano state colpiti da gravi 
            violazioni dei diritti umani;
 5) riforma istituzionale: sono misure legali, amministrative e istituzionali 
            destinate a prevenire il ripetersi di abusi sui diritti umani. La 
            relazione prosegue dando indicazioni precise su chi ha diritto queste 
            forme di risarcimento.
 
  2.3) Riconciliazione 
              Nelle conclusioni dei suoi lavori, 
            oltre a dire quanto abbiamo già riportato sulle responsabilità dello 
            stato negli anni analizzati, la commissione si preoccupa di capire 
            le condizioni ambientali e istituzionali che hanno reso possibili 
            quegli abusi: e cioè il clima di guerra fredda e della lotta ad oltranza 
            contro il comunismo; il contesto dellapartheid e della politica 
            coloniale portata avanti dal partito allora al potere; lideologia 
            del razzismo, che ha teso a vedere "laltro", la persona 
            di colore, come diverso, meno capace ed intelligente, necessitante 
            perciò di uno "sviluppo separato". Ma questo non tanto per 
            giustificare le violazioni dei diritti umani, ma per distinguere la 
            responsabilità individuale da quella collettiva. "Se le violazioni 
            di diritti umani - si dice nella relazione finale - possono essere 
            considerate come demoniache, è controproducente considerare necessariamente 
            demoniaco chi ha commesso quelle violazioni. Se dovesse essere sostenuta 
            questa posizione, il lavoro della Commissione a favore della riconciliazione 
            sarebbe del tutto inutile" (Ibid. p. 230). Questo significa che 
            la commissione ha ritenuto che ci sia stata la possibilità che, almeno 
            in alcuni casi, i responsabili delle violazioni potessero essere considerati 
            anche delle vittime, che si sono lasciate trascinare a fare quello 
            che hanno fatto a causa dellinfluenza di quei fattori ambientali 
            su accennati. Anche se in questo tentativo di comprendere le ragioni 
            di coloro che hanno commesso dei gravi abusi dei diritti umani ci 
            sono già le premesse per una successiva riconciliazione, questa risulta 
            soprattutto dalle raccomandazioni finali del rapporto della Commissione. 
            Queste, nel capitolo sullimpegno alla riconciliazione ed allunità 
            nazionale, recitano così: "La Commissione, convinta che la riconciliazione 
            sia un processo vitale e necessario per una pace duratura e per la 
            stabilità, invita tutti i sudafricani a: - accettare il nostro bisogno di guarire; avvicinarsi agli altri sudafricani 
            con spirito di tolleranza e di comprensione; impegnarsi a costruire 
            ponti per superare le differenze di lingua, credo e storia; sforzarsi 
            costantemente, nel processo di trasformazione, di essere sensibili 
            alle esigenze di quei gruppi che sono stati particolarmente svantaggiati 
            in passato, soprattutto le donne e i più giovani;
 - incoraggiare la cultura del confronto così che, insieme, si possano 
            risolvere le questioni impellenti della nostra epoca;
 - dare vita a programmi di azione nelle nostre sfere di interesse 
            e influenza, che siano listruzione, la religione, gli affari, 
            il lavoro, le arti o la politica, così che il processo di riconciliazione 
            possa essere sviluppato a partire dalla base;
 - affrontare la realtà dellesistente discriminazione razziale 
            e lavorare per una società non razziale;
 - chiedere ai leaders locali, provinciali e nazionali di porre lobiettivo 
            della riconciliazione e dellunità in cima ai rispettivivi programmi" 
            (Flores, p. 235).
 La Commissione propone poi di organizzare, entro la fine del 1999, 
            una Conferenza Nazionale sulla Riconciliazione per valutare le sue 
            raccomandazioni e per garantire il massimo coinvolgimento in questa 
            direzione da parte dei rappresentanti di tutti i settori della società.
 Affrontando poi la critica che le era stata fatta di aver lavorato 
            più per la verità che per la riconciliazione, essa replica che "se 
            non sempre la verità può portare alla riconciliazione, non ci può 
            essere una sincera e durevole riconciliazione senza verità" (Flores, 
            p. 236). Ma che per arrivare alla riconciliazione - proseguono le 
            raccomandazioni - cè bisogno dellimpegno di tutto il popolo, 
            è necessario che si sviluppi una forte cultura dei diritti umani, 
            che il governo elabori un progetto per far sì che coloro che hanno 
            tratto profitto dallapartheid contribuiscano ad alleviare la 
            povertà, ad esempio con una tassa sulla ricchezza, che cè anche 
            bisogno di una lotta alla criminalità, basata su un controllo su base 
            comunitaria, e la predisposizione di particolari archivi che proteggano 
            dalla distruzione e dallincuria tutto il materiale già raccolto 
            o altro raccoglibile. La commissione prende infine in esame lo strumento 
            dellepurazione per coloro che si sono macchiati di violazione 
            dei diritti umani e cioè la dequalificazione della persona per certe 
            cariche e impieghi pubblici o il suo allontanamento da un certo ufficio, 
            come era stato fatto in altri paesi. Dopo aver valutato il pro ed 
            i contro essa non lo raccomanda "perché ha ritenuto che sia uno 
            strumento inappropriato per il contesto sudafricano" (Flores, 
            p. 237). Ma ritiene comunque importante che prima di fare una nomina, 
            od una segnalazione per un incarico, i partiti politici e gli organismi 
            statali "dovrebbero tenere in considerazione le rivelazioni derivate 
            dal lavoro della Commissione" (dalla prefazione del Presidente 
            della Commisione, D. Tutu, a pag. 68 del libro di Flores). Vengono 
            poi riportati alcuni esempi positivi di riconciliazione. Il primo 
            tra due città vicine i cui abitanti erano stati coinvolti in aspre 
            lotte reciproche. Limpegno alla riconciliazione è partito da 
            una grande funzione interreligiosa durante la quale gli abitanti delle 
            due città si sono impegnati alla riconciliazione ed alla coesistenza 
            pacifica, cerimonia che è stata linizio di un processo attraverso 
            il quale gli abitanti dei due centri hanno raggiunto un livello di 
            accettazione del passato e di tolleranza reciproca considerato soddisfacente. 
            Il secondo in una Facoltà di Scienze della Salute di una Università 
            del Sudafrica. In questa è stata istituita una Commissione per la 
            Riconciliazione (Cir) con lo scopo di documentare le modalità con 
            cui la Facoltà, in passato, era stata coinvolta nei processi di emarginazione 
            razziale, ma anche i tentativi di resistenza a questa politica da 
            parte di alcuni docenti, e di come per questo fossero stati discriminati. 
            Lo scopo finale era quello di aprire la strada ad un processo interno 
            di riconciliazione sia tra docenti che con gli studenti. Per chiudere 
            questa analisi mi sembra importante riportare le conclusioni della 
            relazione, nel capitolo, appunto, sulla "Riconciliazione". 
            "Il lavoro della Commissione dissolve il mito che le cose 
            possono essere fatte con la bacchetta magica, e invece riunisce le 
            persone così che possano lavorare insieme. Ci sono stadi successivi 
            di riconciliazione.
 In questo capitolo sono state evidenziate le seguenti fasi.
 - La riconciliazione non si raggiunge facilmente, richiede tempo e 
            costanza.
 - La riconciliazione si basa sul rispetto per lumanità.
 - La riconciliazione coinvolge una forma di giustizia restaurativa 
            che non vuole vendetta, non dà impunità. Nel restituire lesecutore 
            alla società è necessario che emerga una condizione sociale al cui 
            interno lo stesso possa contribuire a costruire la democrazia, una 
            cultura dei diritti umani e la stabilità politica. La piena rivelazione 
            della verità e la comprensione del perché sono avvenute le violazioni 
            incoraggia il perdono. Egualmente importante è la disponibilità ad 
            assumersi la responsabilità per le violazioni dei diritti umani compiute 
            in passato.
 - La riconciliazione non cancella la memoria del passato. E 
            invece motivata da una forma di memoria che sottolinea il bisogno 
            di ricordare senza eccessive sofferenze, amarezze, sete di vendetta, 
            paura o colpa. La riconciliazione comprende limportanza vitale 
            di imparare dal passato e di affrontare le passate violazioni per 
            il bene del nostro presente e del futuro dei nostri figli.
 - La riconciliazione non comporta necessariamente il perdono. Implica 
            un minimo desiderio di coesistere e lavorare per affrontare in modo 
            pacifico le reciproche differenze.
 - La riconciliazione richiede che tutti i sudafricani accettino la 
            responsabilità morale e politica di nutrire una cultura dei diritti 
            umani e della democrazia nella quale i conflitti politici e socioeconomici 
            siano affrontati in modo serio e non violento.
 - La riconciliazione richiede un impegno, soprattutto da parte di 
            coloro che hanno avuto benefici dalle passate discriminazioni e continuano 
            ad averne, per la trasformazione delle ineguaglianze e della disumanizzante 
            povertà." (Ibid. p. 243)
 
 inizio della pagina 3) Kossovo 
              e Sudafrica: c'è qualcosa da imparare?
  Vorrei subito togliere un dubbio 
              al possibile lettore di queste note. Quello cioè che io stia cercando 
              di dare delle lezioni al popolo kossovaro su ciò che deve fare nella 
              circostanza attuale di ritorno della libertà e della democrazia. 
              Non credo che né io né altri possiamo dare loro delle lezioni. Le 
              bellissime lotte nonviolente dei kossovari per resistere contro 
              lillegale eliminazione dei diritti che avevano sulla base 
              della Costituzione del 1974, o quelle degli studenti albanesi del 
              Kossovo per riavere le strutture universitarie che avrebbero dovuto 
              essere loro restituite sulla base dellaccordo tra Milosevic 
              e Rugova facilitato dalla Comunità di Sant Egidio di Roma, 
              non applicato per più di un anno, ed infine il bellissimo movimento 
              della riconciliazione per il superamento della tradizione della 
              vendetta e per la rivalorizzazione invece del principio del perdono 
              e della riconciliazione, che facevano parte della stessa Legge, 
              ma che erano stati emarginati, mostrano una notevole e costante 
              volontà di pace e di nonviolenza di questo popolo. E mostrano anche 
              una sua grande capacità di organizzare manifestazioni di massa nonviolente, 
              anche con una notevole inventiva; basti ricordare, nel 1988, il 
              digiuno dei minatori di Trepça contro il progetto serbo di eliminazione 
              delle prerogative statuali della costituzione del Kossovo; o, lanno 
              dopo, la presa in giro del coprifuoco, dai terrazzi e dalle finestre 
              delle case, attraverso i rumori dei barattoli battuti dalle chiavi, 
              a significare che la maggioranza della popolazione era albanese 
              e che prima, o dopo, avrebbe avuto lei il diritto di aprire la porta; 
              o la marcia a fila indiana, di unora tutti i giorni, degli 
              operai del sindacato del Kossovo licenziati dai loro impieghi, con 
              lo slogan "Noi siamo per il dialogo, e voi?"; ed il bellissimo 
              funerale della violenza (1991) per stimolare tutti gli abitanti 
              della Jugoslavia a cercare formule pacifiche per la convivenza delle 
              varie nazionalità che la componevano e per la soluzione dei problemi 
              generali del paese, senza ricorrere ad una guerra "fratricida"; 
              o più recentemente, alla fine del 1997, la bellissima manifestazione 
              nonviolenta organizzata dal sindacato studenti universitari di Pristina 
              per chiedere la reale applicazione dellaccordo sulle scuole 
              firmato più di un anno prima da Milosevic e Rugova, ma mai implementato, 
              con la lettura, da parte degli studenti, di un "decalogo" 
              di comportamento nonviolento che è considerato, a livello internazionale, 
              uno dei più belli e maturi mai elaborati da studenti universitari 
              di qualsiasi paese; oppure la notevole originalità ed inventiva 
              delle manifestazioni nonviolente delle donne kossovare, nel marzo 
              1998, come, ad esempio, quella del foglio bianco per chiedere che 
              il gruppo di contatto prendesse delle decisioni serie sul Kossovo, 
              o la marcia del pane, per portare da mangiare alla popolazione della 
              Drenica assediata dalle truppe e dalla polizia serba. Ed il fatto 
              che la Comunità Internazionale, invece, per occuparsi realmente 
              dei problemi della zona, abbia aspettato che si superasse la lotta 
              nonviolenta e che si arrivasse a scontri armati tra le due parti 
              in lotta, mostrano invece, da parte di questa, una scarsa sensibilità 
              alla prevenzione del conflitto armato, ed una sua non comprensione 
              del linguaggio della nonviolenza. Mi viene sempre in mente la frase 
              - che cito a memoria sicuro di tradire le sue esatte parole ma non 
              certamente il senso del discorso - dettami da un noto intellettuale 
              albanese, mio amico, in una intervista fattagli alla fine del 1995. 
              "Noi stiamo lottando da anni con la nonviolenza per i nostri 
              diritti. Ed abbiamo ancora energie per portare avanti questa lotta 
              per un certo tempo. Ma se la Comunità internazionale non ci ascolta 
              e dimostra di capire solo il linguaggio delle armi e non quello 
              della nonviolenza, saremo costretti anche noi a prendere le armi 
              anche se questo, dati gli squilibri di forze tra noi e i serbi, 
              potrà forse portare alla distruzione del nostro popolo". La 
              distruzione totale non cè stata ma quante persone del Kossovo 
              hanno perso la vita, le case, o i loro parenti o amici, a causa 
              di questa insensibilità e di questi ritardi della Comunità Internazionale? 
              Per questo non credo che qualcuno possa dare delle lezioni ai kossovari 
              che possono trovare nella loro storia e nelle loro tradizioni la 
              forza e le abilità per superare lattuale situazione di ritorno 
              alla libertà ed alla pace, ma anche di notevole confusione, situazione 
              che amici kossovari definiscono così : "Siamo come nel Texas, 
              vince chi è più forte ed ha meno scrupoli". Ma questo lavoro 
              nasce anche su invito di alcuni di questi amici che sono stati attivi 
              nel movimento della riconciliazione guidato dallindimenticabile 
              Anton Cetta - movimento che abbiamo cercato di far conoscere anche 
              nel nostro paese - che ci hanno chiesto una mano per rivalorizzare 
              questa esperienza storica in questa particolare situazione in cui 
              la guerra ha rinfocolato gli odi reciproci ed in cui la possibilità 
              di convivenza e coesistenza interetnica è ridotta al minimo ed il 
              desiderio di vendetta, da parte dei Kossovari che si vedono finalmente 
              liberati dagli oppressori, è invece altissimo. Lesperienza 
              del Sudafrica ci è sembrata particolarmente interessante ed istruttiva, 
              date le simiglianze dei due sistemi di "apartheid". Ma 
              per lasciare agli stessi kossovari il compito di trarne i possibili 
              insegnamenti, ho dato molto spazio alla sua analisi ed alla sua 
              illustrazione, per spiegarne le ragioni, le modalità di lavoro, 
              i risultati raggiunti ed i limiti. Quello che segue vuole essere 
              solo, da sociologo, un modesto contributo ad una analisi comparativa 
              tra le due situazioni per cominciare a vedere quanto di questa può 
              essere utile nella situazione attuale del Kossovo. Abbiamo già visto 
              alcune somiglianze ed alcune differenze. Rivediamole insieme. Le 
              principali somiglianze sono quelle che ambedue i paesi hanno avuto, 
              per molti anni, un regime di "apartheid" che ha visto 
              commettere dalla polizia e dagli apparati dello stato o dai gruppi 
              paramilitari da questo coperti (controllati dalla minoranza, bianca 
              nel Sudafrica, serba del Kossovo) crimini notevoli e continue violazioni 
              dei diritti umani. E che ambedue i paesi hanno superato questa situazione 
              (sia pur con modalità diverse) e si sono trovati, nel caso del Sudafrica, 
              o si troveranno, nel caso del Kossovo, a fare i conti con questo 
              passato, per farlo emergere completamente alla luce e per cercare 
              delle forme di riparazione dei crimini e delle violazioni di diritti 
              umani perpetrati. La soluzione raggiunta nel Salvador e nellArgentina, 
              con una amnistia generale, sarebbe una beffa totale per la persone 
              uccise, torturate, private della casa, per le donne violentate, 
              ecc. ecc. Quindi si pone il problema di come affrontare i crimini 
              commessi, se non si vuole continuare il trend attuale che sembra 
              essere quello dellincriminazione di tutta la popolazione serba 
              e rom e del riemergere della tradizione della vendetta, superata 
              qualche anno fa dal bel movimento di Anton Cetta. Una vendetta senza 
              regole contro queste minoranze che sta provocando, da parte di queste, 
              per una paura non del tutto ingiustificata, dati i frequenti episodi 
              di uccisioni e sequestri, la fuga quasi in massa da questo territorio. 
              Certo che se lobiettivo degli albanesi del Kossovo fosse quello 
              della pulizia etnica rovesciata - prima erano i serbi che la portavano 
              avanti ora sarebbero gli albanesi - questo non sarebbe un problema 
              ma una soluzione. Ma i politici albanesi di questa regione hanno 
              sempre rifiutato un tale obiettivo ed hanno sempre sostenuto di 
              volere un Kossovo multietnico. Ed anche la Comunità Internazionale 
              non sembra disposta ad accettare questa pulizia etnica rovesciata. 
              Quindi il problema della ricerca di una giustizia senza vendetta 
              è allordine del giorno.Ma qui vengono anche alla luce le differenze 
              tra il Sudafrica ed il Kossovo. Due di queste le abbiamo già viste: 
              - il fatto che la maggioranza oppressa abbia portato avanti, in 
              Sudafrica, una strategia prevalentemente armata, nel Kossovo invece 
              una nonviolenta, che rende ancora più atroci gli abusi commessi 
              dagli oppressori; - la seconda, la modalità con cui è stato superato 
              il regime dell"apartheid" - in Sudafrica attraverso 
              un processo consensuale, nel Kossovo attraverso una guerra in cui 
              sono stati commessi altri, e forse ancora più gravi, crimini, rispetto 
              a quelli delle fasi precedenti ed in cui lintervento della 
              Comunità Internazionale è stato determinante. Ed unaltra differenza 
              tra i due paesi è legata a questo diverso processo. Nel Sudafrica 
              è prevalso, sulle differenze, il senso di appartenenza allo stesso 
              paese e quindi un forte senso di unità nazionale che ha aiutato 
              molto il processo di ricerca della verità e di riconciliazione, 
              mentre nel Kossovo questo non esiste. Quasi nessun kossovaro è disposto 
              ad accettare quellautonomia interna alla Serbia, sia pur transitoria, 
              che era prevista negli accordi di Rambouillet che la delegazione 
              albanese ha sottoscritto. E tutti loro considerano valido, per la 
              fase transitoria, non tanto lautonomia, quanto il regime di 
              protettorato internazionale che si è venuto ad instaurare nel dopo 
              guerra. Ed unaltro elemento importante che ha caratterizzato 
              il processo in Sudafrica, sottolineato dalle stesse parole del presidente 
              della Commissione che parla dellimportanza, per la riparazione 
              dei crimini, della deposizione in piena luce davanti alla televisione 
              vista da tutti i parenti e conoscenti, è il fatto che nel Sudafrica, 
              malgrado i tanti dialetti, la lingua ufficiale accettata da tutti, 
              ed in cui veniva trasmessa la TV, era linglese. Nel Kossovo 
              non cè mai stata una lingua ufficiale unica, tranne nel tentativo 
              dei serbi, dopo le modifiche costituzionali del 1989/90, di imporre 
              come tale il serbo nella versione cirillica, tentativo però mai 
              accettato dalla maggioranza albanese. Perciò manca qui il collante 
              di una lingua unica e tali dichiarazioni, per poter avere leffetto 
              avuto in Sudafrica, dovrebbero essere fatte ad una televisione bilingue 
              e vista ugualmente dai serbi e dagli albanesi, il che è ancora da 
              fare. Inoltre in Sudafrica le persone, se volevano restare, dovevano 
              accettare di deporre davanti alla Commissione e confessare pubblicamente 
              i propri crimini (se aspiravano allamnistia), altrimenti avrebbero 
              dovuto accettare lesilio od una eventuale incriminazione giudiziaria. 
              Nel Kossovo i primi ad autoesiliarsi sono stati proprio quei gruppi 
              della polizia, o delle squadre paramilitari, e dei profughi di altre 
              zone costretti a venire nel Kossovo, che sono stati spesso armati 
              ed inquadrati tra i gruppi paramilitari e che hanno commesso la 
              maggior parte dei crimini perpetrati. E questi non hanno certo intenzione 
              di tornare nel Kossovo per essere sottoposti ad interrogatori quali 
              quelli portati avanti da una Commissione per la Verità e la Riconciliazione. 
              Quindi una soluzione del genere si potrebbe avere solo con un cambiamento 
              totale di governo a Belgrado, con una reale democratizzazione anche 
              di quel paese e con un accordo bilaterale tra il nuovo governo e 
              quello del Kossovo per portare avanti, insieme, un processo di scoperta 
              della verità e di riconciliazione. Ma di questo cambiamento non 
              sembrano esserci le premesse né a Belgrado, né nel Kossovo. In questo 
              paese, infatti, la popolazione albanese considera chiusa la propria 
              esperienza di convivenza con il popolo serbo. Cè un altro 
              problema che sottolinea le differenze. E cioè il fatto che in Sudafrica, 
              proprio per quelle ragioni di unità rispetto alle differenze, si 
              è privilegiata la verità rispetto alla giustizia. Il racconto del 
              torturatore incallito della polizia sudafricana che svela, quasi 
              con orgoglio, tutti gli aspetti del proprio comportamento senza 
              dimostrare alcun pentimento reale e che viene amnistiato per essere 
              stato sincero, fa sorgere grossi dubbi su procedimenti che privilegiano 
              la verità sulla giustizia; ed hanno fatto prendere le distanze, 
              di cui abbiamo già parlato, allo stesso curatore del volume che 
              pure parla di questa esperienza con estrema positività (Flores, 
              p.53). Daltra parte, nel Kossovo, per alcune di queste stragi, 
              come quella di Drenica, si è già cominciato ad interessare il Tribunale 
              dellAia per i Crimini di Guerra nella Ex-Jugoslavia, che pure 
              ha messo sotto processo importanti ispiratori o protagonisti di 
              questi crimini, come Milosevic ed Arkan. Quindi la strada della 
              "giustizia" si è già messa in moto ed è giusto che veda 
              avanti. Ma è sufficiente? E basta questa a soddisfare il bisogno 
              di vendetta dei Kossovari vittime dei crimini e dellingiustizie? 
              E non rischia questa di essere quella che Tutu definisce la "giustizia 
              del vincitore" (Flores, p. 70), che tiene conto solo dei crimini 
              commessi dai vinti e non di quelli, pur sicuramente meno numerosi, 
              degli stessi vincitori, siano degli albanesi del Kossovo e del suo 
              UCK (o di frangie di questo uscite dal controllo della sua leadership), 
              sia della stessa Nato? Ed è sufficiente, in queste circostanze, 
              ricorrere eslusivamente alla giustizia "punitiva" senza 
              tener conto della necessità di avere anche una giustizia "riparativa", 
              che tenga conto anche delle singole situazioni di quelle che sono 
              state le vittime delle gravi violazioni dei diritti umani? Sono 
              questi alcuni dei problemi che si pongono ed a cui cercheremo di 
              dare una prima, sia pur provvisoria, risposta, in attesa che su 
              questo si apra un dibattito tra gli stessi kossovari e tra le O.G. 
              che controllano questa zona. E certo che, parlando con gli 
              albanesi vittime dei soprusi, essi non si accontentano di questa 
              giustizia: per loro è troppo lenta, ci mette anni prima di prendere 
              delle decisioni, si concentra solo su alcuni casi, lasciando fuori 
              tutti gli altri, tante volte dà delle condanne che loro trovano 
              illusorie ed inadeguate, nei confronti dei crimini commessi, condanne 
              che spesso, per lirreperibilità del condannato, non vengono 
              nemmeno eseguite. Per questi motivi molti di loro ci hanno espresso 
              il desiderio di farsi giustizia da soli, come, del resto, si era 
              soliti fare nel leggendario Texas. Una critica sensata della giustizia 
              dei vincitori viene anche da Flores, il curatore del volume esaminato, 
              nella sua introduzione. Egli scrive: "I risultati complessivi 
              della giustizia dei vincitori sono stati, tranne forse che sul piano 
              simbolico, largamente deludenti: il numero dei responsabili dei 
              crimini che ha pagato il proprio conto con la giustizia è stato 
              così esiguo da apparire ridicolo, a dispetto di norme che spesso 
              intendevano colpire categorie molto ampie di persone; le vittime 
              non si sono sentite risarcite mentre i persecutori si sono sentiti 
              perseguitati più del lecito; la società è stata apparentemente pacificata 
              ma ha lasciato divisioni che sono periodicamente riemerse con risentimenti, 
              lacerazioni e desideri di vendetta...... I tempi lunghi e spesso 
              lunghissimi per procedimenti giudiziari e lattribuzione della 
              giustizia a una magistratura rimasta sostanzialmente la stessa dei 
              regimi che era chiamata a giudicare sono stati dovunque i fattori 
              che più hanno contribuito a ridimensionare e deludere le aspettative 
              indotte dalla giustizia dei vincitori" (Flores, pp. 21/22). 
              "Scegliere la via giudiziaria non ha favorito la costruzione 
              incontrovertibile della verità storica, come del resto dimostrano 
              i processi che si sono avuti negli ultimi anni..... - continua Flores 
              - La scelta giudiziaria, anche quando è storicamente possibile la 
              giustizia dei vincitori, rende protagonisti in modo prevalente i 
              criminali e i giudici, relegando a un luogo marginale le vittime.... 
              gli imputati hanno il diritto alle garanzie previste per la difesa 
              in uno stato di diritto, che si concretizzano spesso in rinvii, 
              attenzione alle formalità procedurali più che alla sostanza delle 
              accuse, possibilità di chiamare a testimoniare le vittime con modalità 
              che nella maggior parte dei casi servono solo a porle in posizione 
              subordinata e passiva e a rinnovare le passate sofferenze" 
              (Ibid. pp.22/23). Queste sono alcune delle ragioni che portano Flores 
              a riconoscere limportanza e la novità del lavoro della Commissione 
              Sudafricana, che ha posto al suo centro proprio le voci delle vittime 
              e dei loro familiari, che sono state ascoltate in ogni parte del 
              paese per sei mesi prima di lasciar parlare anche i loro carnefici 
              di fronte alla Commissione per lamnistia (Flores, p. 24).Da quanto detto finora potrebbe farsi strada una proposta, e cioè 
              quella di non considerare la giustizia del Tribunale dellAia 
              e la verità raccolta da una commissione appositamente costituita 
              come alternative luno allaltra, ma piuttosto come complementari. 
              Di mantenere aperta la giustizia del Tribunale per gravi e sistematici 
              crimini e violazioni dei diritti umani, commessi da persone che 
              difficilmente sono restati nel Kossovo e che dovranno essere cercati 
              e perseguiti in Serbia od in altri paesi del mondo suoi alleati. 
              E di aprire invece una Commissione per la Verità e la Giustizia 
              nel Kossovo, cui partecipino membri del Consiglio per i Diritti 
              Umani e della Libertà di Pristina, che tanto ha lavorato in questi 
              anni per raccogliere le testimonianze delle vittime dei soprusi 
              della polizia e dei paramilitari serbi, e del il Fondo per la Legge 
              Umanitaria di Belgrado che ha raccolto anche, oltre ai primi, dati 
              sui soprusi fatti alla minoranza serba o di altre nazionalità nel 
              Kossovo. Ma a questa commissione dovrebbero partecipare anche personalità 
              del mondo internazionale, come ad esempio membri di associazioni 
              come Amnesty International o HCA, che già in passato si sono occupate 
              di tali violazioni e delle Organizzazioni Governative che si occupano 
              di questi temi, in particolare l'UNCHR. Questa Commissione dovrebbe 
              ascoltare le testimonianze delle tante vittime, non solo di una 
              parte ma anche dellaltra, e individuare criteri per un'eventuale 
              amnistia individuale, e non collettiva, per coloro che hanno commesso 
              dei crimini minori e che abbiano solo agito credendo di fare il 
              proprio dovere, che accettino di testimoniare e che desiderino restare, 
              o ritornare, in questa stessa regione in cui spesso sono nati o 
              in cui hanno vissuto per tanti anni. E una proposta assurda? 
              La mia è una provocazione aperta alle confutazioni, alle discussioni 
              od a proposte alternative che non siano quelle di lasciare le cose 
              come sono attualmente (il rischio di anni di vendetta generalizzata 
              e di mantenimento del clima da Texas è grande) o di dare tutto nelle 
              mani di un Tribunale allAia che potrà ragionevolmente perseguire 
              solo un ristretto numero di criminali, e non gli altri, lasciando 
              nella popolazione comune un grande senso di frustrazione e di rabbia 
              ed il desiderio, perciò, di ricorrere alla giustizia personale.
 
 Pristina, 9 agosto 1999
 ALBERTO L'ABATE
   |