|
Alcuni
anni fa, agli inizi delle guerre jugoslave, dopo una delle varie
iniziative in cui una carovana di pacifisti occidentali era
stata a visitare i vari paesi dellarea per appoggiare
le forze che in quella zona si opponevano alla guerra e cercavano
forme nuove, ma importanti, per la convivenza tra i diversi
popoli che componevano quel paese, apparve, su "Peace News"
una lettera firmata da vari pacifisti dei vari paesi che componevano
lex-Jugoslavia. In questa si diceva, in modo molto dolce,
ma deciso, qualche cosa di simile:
"Apprezziamo la vostra buona volontà di appoggiare i nostri
movimenti pacifisti ma crediamo che dovreste studiare anche
forme nuove di intervento. Voi venite da noi per una settimana
o due. Durante questo periodo siamo lieti di collaborare con
voi e ci mettiamo in luce come vostri amici. Ma quando ripartite
noi restiamo qui, ed il fatto di essere vostri amici ci mette
molte volte in difficoltà e ci espone alle angherie dei governi
e della gente che è favorevole alla guerra. Dovreste perciò
studiare la possibilità, invece di venire in tanti per pochi
giorni, di venire anche in un piccolo gruppo restando a vivere
qui da noi a lungo in modo da poter comprendere meglio le condizioni
in cui viviamo e da darci una mano, alla pari, con consigli,
sostegni materiali o in altri modi da concordare insieme, per
raggiungere i nostri comuni obbiettivi di pace e di convivenza
tra i popoli".
|
|
Da questa
lettera e dallesperienza acquisita con il Campo della Pace realizzato
nel 1990 a Bagdad, unitamente a ulteriori riflessioni allinterno
di quellarea che aveva dato vita alliniziativa irakena
ed alla Campagna per una Soluzione Nonviolenta nel Kossovo, nacque
la prima idea dellapertura di quella che è stata chiamata lAmbasciata
di Pace di Pristina. Questa si richiama anche alle esperienze di questo
tipo fatte da comunità quacchere in vari paesi in conflitto o dove
il conflitto stava per iniziare, esperienze che hanno portato queste
comunità ad essere tra le più attive, ed anche esperte, nella mediazione
dei conflitti armati. La richiesta di un appoggio a lungo termine
si è ripetuta da parte della popolazione albanese del Kossovo che
stava lottando con la nonviolenza perché gli venissero restituite
le prerogative statuali dellautonomia di cui godeva questa provincia-stato
sulla base della Costituzione del 1974 e che gli sono state tolte,
nel 1989, con la violenza e con la frode. Essa si lamentava che i
governi occidentali capissero solo il linguaggio delle armi e non
quello della nonviolenza e chiedeva aiuto per superare questo stato
di cose e per essere aiutata nella sua lotta nonviolenta e nel far
comprendere le sue ragioni al mondo occidentale, che sentiva sordo
ai suoi problemi. Per questo nel 1993 si è costituita la "Campagna
per una soluzione nonviolenta nel Kossovo", che raggruppava e
raggruppa varie ONG italiane impegnate nella nonviolenza attiva. E
nel 1995 fu deciso, da parte di questa, di aprire una Ambasciata di
Pace a Pristina, resa possibile da un finanziamento della Campagna
Italiana, e di quella Internazionale, per lObiezione di Coscienza
alle spese Militari (OSM). LAmbasciata è restata aperta fino
al 1997, con visite successive fino alla fine del 1998. Ha lavorato
per riaprire la comunicazione tra serbi ed albanesi della Serbia e
del Kossovo, in particolare tra gruppi di base delle due parti; per
appoggiare le poche organizzazioni del Kossovo non soggette alla pulizia
etnica e perciò miste, da noi definite "focolai di pace"
(tra questi, in particolare, le associazioni handicappati); per far
conoscere, con visite studio, mozioni, mostre fotografiche, video,
convegni, libri, articoli econferenze, i problemi di questarea
al pubblico più vasto del nostro paese ed alla nostra classe politica;
per studiare a fondo, ascoltando le ragioni delle due parti, le possibili
soluzioni nonviolente al conflitto, sia elaborate da noi stessi che
da altre organizzazioni nongovernative attive in questa area e presentarle,
in incontri appositi per la mediazione del conflitto cui erano presenti
le due parti (Vienna, Ulqin), al nostro ministero ed al Parlamento
Europeo.
Secondo alcuni critici lesperienza dellAmbasciata di
Pace a Pristina sarebbe fallita perché non è riuscita ad evitare
la guerra in atto. In realtà chi fa questo rilievo non tiene conto
di vari aspetti.
1) I grossi interessi economici e strategici coinvolti tuttora
nella guerra, che portano gli stati più potenti ad investire nella
produzione e nel traffico di armi quantità di risorse ingentissime,
che sperano di riavere o attraverso la vendita di armi "nuove"
o nella ricostruzione del paese distrutto o nellinfluenza
politico-strategica in una zona importante del mondo.
2) Limmenso squilibrio tra le spese investite per fare
la guerra e quelle invece dedicate alla prevenzione dei conflitti
armati. Basti dire, a mo' di esempio, che le spese affrontate per
le attività della nostra organizzazione e di tutte le altre che
hanno lavorato per la prevenzione del conflitto armato nel Kossovo
rappresentano, in totale, allincirca solo il costo di pochi
minuti (al massimo cinque) degli 86.400 da cui fino ad ora sta andando
avanti la guerra (in temini percentuali solo lo 0,006%, ovvero 6
su 100.000 lire). E questo senza tener conto di tutte le spese che
vengono e verranno investite per lassistenza ai profughi provocati,
o stimolati, da questa guerra, senza nemmeno parlare di quanto costerà
la ricostruzione di ciò che la guerra ha distrutto (ma molte vite
umane non saranno "ricostruibili"). Se alla prevenzione
si fossero dedicate più risorse, economiche ed umane, sicuramente
i risultati avrebbero potuto essere più pregnanti.
3) Che quanto ha costruito lAmbasciata non va visto
soltanto dai risultati a breve raggio, ma anche nei suoi effetti
a lungo andare, soprattutto quando, al termine del conflitto armato,
sarà necessario lavorare per la riconciliazione dei popoli che la
guerra ha allontanato ulteriormente, affinché possano continuare
a convivere su uno stesso territorio, cercando forme nuove di organizzazione,
possibilmente a livello confederale, come sotto-area dellEuropa
stessa.
4) Che, nella prospettiva dellevoluzione storica, lesperienza
dellAmbasciata di Pace segna un passo ulteriore nella direzione
del rafforzamento dellincontro tra i popoli e della loro comunicazione
attraverso lo sviluppo di forme di diplomazia popolare, rispondendo
anche alla necessità di superamento degli stati-nazione e dellattuale
assetto delle organizzazioni sovra-nazionali che, per la loro dipendenza
stretta dagli stati più potenti, sono in grande crisi e sullorlo
della stessa dissoluzione. Lo sviluppo, invece, dal basso di forme
di diplomazia popolare (tra cui si inserisce, a buon diritto, lesperienza
delle ambasciate di pace) può aiutare la costruzione di una pace
mondiale che non sia soltanto "assenza di guerra", ma
trasformazione delle relazioni tra i popoli e che fondi la risoluzione
delle controversie sulla prevenzione del conflitto armato nella
ricerca di soluzioni giuste ma pacifiche, piuttosto che sugli equilibri
e le alchimie politico-militari.
Testo redatto da Alberto LAbate
dei Berretti Bianchi
|
|