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28 gennaio 2003
Mustafa
Barghouti e Yasser Arafat |
Martedì,
28 gennaio 2003
|
Ieri è stata una giornata
intensa, ci siamo alzati molto presto per lasciare Nablus, insieme
ad Alberto e ad Eva, una ragazza islandese che si era unita a noi.
Sembrava che i check point fossero completamente chiusi, per questa
ragione ci siamo arrampicati sul pendio che conduce al monte Jarsim,
dove ero già stato il giorno precedente senza riuscire a
passare accanto all'accampamento militare che lo presidia.
Questa mattina, invece, il taxi ci ha scaricato accanto ad una villa
faraonica e, a mio avviso, decisamente sfacciata, che sorge in cima
ad un colle e guarda la valle di Nablus. Lì ci attendevano
due ragazzi e due asinelli, che ci hanno guidati lungo il percorso
di una mulattiera che evita la strada su cui si affaccia l'accampamento
militare israeliano e, aggirandolo, permette di passare oltre e
di raggiungere il villaggio in cima al monte Jersim, dove abitano
anche un gruppo di ebrei samaritani che hanno costruito lì
la loro sinagoga, nella convinzione che quello sia il monte dove
Mosé ha ricevuto le tavole della legge dal Padre Eterno.
Questi ebrei vivono tranquilli insieme ai palestinesi con documenti
dell'autorità palestinese e lavorano negli uffici amministrativi
di Nablus senza mai avere alcun conflitto con i palestinesi.
Questi ebrei non hanno nessun interesse per lo stato di Israele
e nessun desiderio di essere protetti o di andare a vivere da qualche
altra parte. Praticano la loro religione senza restrizioni e vivono
in pace e i palestinesi con loro.
Nel villaggio dei samaritani abbiamo preso il pulmino del taxista
che camminava insieme a noi e siamo scesi verso il check point,
superandolo senza intoppi, perché la strada che scende dal
monte non viene bloccata dai soldati.
Il check point era deserto, non c'erano taxi in attesa né
da una parte nè dall'altra, solo due pullman attendevano
un centinaio di pellegrini in viaggio verso la Mecca: questo periodo
dell'anno è, infatti, il tempo dedicato al pellegrinaggio
nel primo luogo Santo dell'Islam.
Arrivati a Ramallah senza problemi, la giornata si è improvvisamente
ingrigita.
Ramallah era isolata dagli altri villaggi e non appariva così
chiassosa e affollata come al solito. Anche il check point di Kalandia
era pressoché deserto.
Stanco e decisamente sporco, sono andato a casa del nostro contatto
di Ramallah per lavarmi e lì ho incontrato una delegazione
napoletana degli Enti Locali per la Pace, composta dal Vice Presidente
della Provincia di Napoli Nicola de Luca (SDI), dall'Assessore alle
Relazioni Internazionale del Comune di Napoli Raffaele Porta (DS),
da due rappresentanti di Forza Italia e da altri quattro rappresentanti
dei DS.
Mi sono unito a loro che sono stati ricevuti da Mustafa Barghouti
nella sede del Medical Relief di Ramallah.
Il fondatore del Medical Relief ha detto, tra l'altro, alcune cose
molto chiare.
Le elezioni sono necessarie per due motivi precisi.
Il primo è di rinnovare il Parlamento dell'Autorità
Nazionale Palestinese.
Il secondo motivo è che le elezioni sono un atto di resistenza
all'occupazione dei territori e una sfida alla comunità internazionale
a fare pressioni sul Governo Israeliano per indurlo ad accettare
osservatori internazionali che controllino e garantiscano il libero
e regolare svolgimento delle elezioni stesse.
Alla domanda di un rappresentante di Forza Italia, su quali provvedimenti
prenderebbe se lui fosse Presidente dell'ANP, il Dottor Barghouti
ha risposto così:
"La prima cosa che farei sarebbe di convocare un Governo di
Unità Nazionale composto da tutti i gruppi rappresentati
nel Parlamento dell'ANP, insieme ai quali decidere una possibile
strategia comune sulla quale possano convergere tutte le diverse
forze politiche presenti nel Governo stesso.
In secondo luogo indirei immediatamente le elezioni politiche in
modo che il popolo palestinese possa scegliere liberamente i propri
rappresentanti.
In terzo luogo andrei alla radio e alla televisione palestinese
per parlare alla popolazione ed informarla delle decisioni prese
in comune alle altre forze politiche.
Una volta formato il nuovo Governo manderei in pensione tutti gli
attuali Ministri e metterei al loro posto persone competenti, capaci
e autorevoli che possano prontamente dare inizio alle riforme di
cui i palestinesi hanno bisogno."
Di ritorno alla casa del nostro contatto abbiamo atteso invano una
telefonata dal Muqada, il Quartier Generale dove il Presidente Arafat
è forzatamente rinchiuso dalla Pasqua del 2002, che avrebbe
dovuto consentirci di incontrarlo.
L'incontro, però, non ci è stato concesso oggi, ma
è stato rimandato a questa mattina.
Sono ormai le undici quando entriamo nel Muqada e saliamo le strette
scale, affollate di militari in armi e di altri palestinesi in borghese,
che ci conducono nella sala riunioni dove ci attende il Presidente
Arafat che abbraccia con grande spontaneità i leader della
delegazione napoletana.
Dopo il discorso del vice presidente della Provincia di Napoli e
dell'assessore del Comune, è Arafat a prendere la parola,
sollecitato dalle domande di una giornalista dell'Unità,
che fungeva anche da interprete.
"Siamo molto preoccupati per il pericolo incombente dell'attacco
americano all'Iraq, sappiamo che questo attacco non potrà
avvenire prima della fine del tempo dedicato al pellegrinaggio alla
Mecca, tempo che terminerà intorno al 15/20 febbraio.
Ma quando verrà il momento, se gli USA decideranno di scatenare
la guerra all'Iraq e tutti i riflettori dei media internazionali
saranno puntati su quel tragico evento, qui in Palestina gli israeliani
avranno la mano libera per iniziare una nuova e tragica escalation
di violenze ai danni della popolazione palestinese.
Temiamo il trasferimento, o meglio la deportazione, di centinaia
di migliaia di persone, forse nel nord dell'Iraq.
Inoltre questa guerra ingiustificata segnerà l'inizio di
un nuovo assetto geopolitico del Medio Oriente, verranno delineati
nuovi confini geografici e politici, per la prima volta dopo la
spartizione franco-britannica che seguì la prima guerra mondiale.
In questo contesto, l'Europa potrebbe giocare un ruolo chiave nel
perseguire una politica di freno alle bellicose intenzioni statunitensi,
promuovendo il dialogo e la soluzione diplomatica di questa serissima
crisi.
Ma se, alla fine, non fosse possibile impedire la guerra anglo-americana,
allora tutto il Medio Oriente verrebbe seriamente destabilizzato
e piomberebbe in un pericolosissimo caos, producendo instabilità
economica agli stati coinvolti, così come all'Europa, che
ha molte relazioni economiche con il Medio Oriente.
Inoltre le popolazioni civili subirebbero un periodo di totale insicurezza,
in particolare quella israeliana, così come i palestinesi
che, inermi, si troverebbero ad affrontare una escalation di violenza
senza precedenti.
E non dimenticate che la banda di fanatici criminali che siede al
Governo dello stato di Israele è anche la diretta responsabile
dell'assassinio di Yzak Rabin, mio partner nel processo per la Pace
dei Coraggiosi, meglio conosciuto come accordo di Oslo.
Questi fanatici criminali sono gli stessi che hanno ordinato le
stragi di Gaza di questi ultimi giorni e che hanno fatto bombardare
la Chiesa Anglicana di Gaza City e l'ospedale Anglicano che gli
sorge accanto.
Non dimenticate che questi fanatici criminali sono gli stessi che
hanno distrutto la Chiesa di Santa Barbara e che hanno assediato
la Basilica della Natività a Betlemme.
Essi sono gli stessi che stanno giudaizzando Gerusalemme ed Hebron
e che perseguono il sogno della Grande Israele.
La situazione è molto seria e tutti noi auspichiamo che l'Europa
possa impedire la catastrofe che ci attende dopo l'inizio di questa
ingiustificata guerra all'Iraq."
La giornata finisce su di un taxi insieme ad un corrispondente norvegese
che mi conferma l'idea che la coppia Sharon-Bush sia la peggior
cosa che potesse capitare a questa umanità indifesa, inerme
e anche per buona parte indifferente a ciò che si sta preparando
per il futuro di tutti noi.
Saluti
Curzio
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