Notizie,
testimonianze, informazioni
30 gennaio 2003
Refusenik:
Danya, 19 anni |
Giovedì,
30 gennaio 2003
|
Sento per telefono Danya mentre è
sull'autobus per venire da Tel Aviv a Gerusalemme, ha un poco di
influenza e per questo ha preso qualche giorno di riposo dal servizio
civile per tornare a casa sua, poco fuori Gerusalemme.
Ci risentiamo in serata ed è contenta di ricevermi il giorno
dopo verso mezzogiorno.
Le chiedo se c'è stato un particolare evento che l'ha spinta
all'obiezione di coscienza, quali siano le ragioni del suo rifiuto
e se questo ha cambiato la sua vita quotidiana all'interno della
società israeliana.
"Non ci sono stati eventi particolari che mi hanno convinto
della necessità del rifiuto, ho sempre pensato di non voler
fare il servizio militare, ma non c'è una ragione precisa
che possa esprimere con una parola, non è facile spiegare
per quale motivo non voglio andare sotto le armi.
In Israele c'è un grande consenso nei confronti dell'esercito,
fin dall'asilo il soldato viene presentato come un eroe, qualcuno
da cui prendere esempio, qualcuno da omaggiare e di cui avere grande
rispetto.
Sapevo fin da bambina che avrei dovuto andare nell'esercito, perché
è una tappa obbligata della vita di ogni israeliano, finita
la scuola superiore si fa il servizio militare poi, magari, un giro
intorno al mondo e quindi l'università che introduce alla
vita di ogni giorno, al futuro.
Quando avevo sedici anni mio padre mi disse che non voleva che io
entrassi nell'esercito, io rimasi assolutamente scioccata da questa
sua richiesta, perché mio padre è stato molto tempo
nell'esercito e ha combattuto molte guerre in prima linea e per
questo io lo adoravo.
Non avrei mai pensato che potesse chiedermi qualcosa del genere,
anche perché non c'erano ragioni politiche alla base della
sua richiesta. Comunque, passato lo shock, ci ho pensato su per
un paio di giorni, sapevo di non voler fare il servizio militare
ma non riuscivo a spiegarne le ragioni, non era solo per mio padre,
questa cosa ce l'avevo in testa già da qualche tempo.
Così pensai di parlarne con la mia migliore amica, ma quando
cercai di spiegarle i miei sentimenti, lei si arrabbiò moltissimo,
mi disse che non nutriva più alcun rispetto per me, che io
non avevo più nessun valore per lei e che non voleva più
parlarne, mi considerava una specie di traditrice della patria.
Allora cominciai a cercare risposte e a chiedermi perché
non volevo entrare nell'esercito. Iniziai ad andare alle manifestazioni
contro l'occupazione dei territori palestinesi e a parlare con molte
persone e questo mi ha aiutato a capire quei motivi che fino ad
allora erano solo istintivi dentro di me.
Un giorno dopo l'altro ho scoperto che ero pacifista e per questo
mi rifiutavo di indossare l'uniforme, di imbracciare il fucile o
di collaborare con l'esercito israeliano.
Poi accaddero un paio di eventi che confermarono le mie convinzioni.
Tra i sedici e i diciassette anni prestavo servizio volontario sulle
ambulanze di Gerusalemme e in quel periodo ho avuto molte occasioni
di guardare in faccia la morte quando con l'ambulanza mi recavo
sui luoghi degli attacchi terroristici a Gerusalemme e ogni volta
rimanevo molto impressionata da quello strazio.
Mi ci è voluto molto tempo per farmene una ragione e non
vorrei mai più vedere queste stragi per nessuna delle due
parti in conflitto.
Comunque sia, mentre prestavo il mio servizio di volontariato presso
l'unità traumatologica dell'ospedale di Gerusalemme, ho avuto
l'occasione di incontrare uno dei palestinesi sopravissuto all'esplosione,
il quale era stato ricoverato nell'unità traumatologica.
Durante l'attacco, era stato ferito il mio tutore di quando, da
bambina, frequentavo i boy scout.
Quel giorno vidi i dottori che si affacendavano intorno a lui e
sentii dire che era un terrorista, così chiesi alla capo
infermiera se quello era un terrorista, ma lei mi rispose durissima
di chiudere il becco, che lì in quel reparto non esistevano
terroristi e che se avevo dei problemi a fare il mio lavoro allora
avrei potuto prendere le mie cose e andarmene per sempre.
Be', io rimasi un poco offesa da quella reazione così drastica,
seppur prefettamente giusta, ma io non avevo nessuna intenzione
di rifiutarmi di assisterlo, ero solo incuriosita dal fatto che
quel ragazzo fosse un vero terrorista.
Comunque, più tardi lo avvicinai perché dovevo portarlo
a fare i raggi e scoprii che era un ragazzo molto dolce, tranquillo,
mi chiese una gomma da masticare. Mi sentivo confusa e provavo compassione
per lui, era così patetico e indifeso.
Il giorno dopo, a scuola, raccontai alla mia amica del terrorista
che avevo accompagnato a fare i raggi e lei mi disse che era immorale
prestare assistenza e cure a un terrorista, risposi che non volevo
e non potevo decidere io di quando e come un uomo dovesse morire.
In seguito partecipai ad un viaggio scolastico in Polonia per visitare
i campi di sterminio nazisti, dove tanti ebrei avevano perso la
vita. Tutti i miei compagni erano assolutamente nazionalisti, camminavano
per i campi con le bandiere israeliane, parlavano tra loro con entusiasmo
del giorno in cui si sarebbero arruolati nell'esercito, dicevano
che Israele era l'unico posto al mondo dove si sentivano accettati.
Io invece provavo sentimenti esattamente opposti ai loro e probabilmente
ero l'unica del gruppo. Mi chiedevo come fosse possibile che gli
israeliani fossero diventati così razzisti e facessero cose
così orribili ai palestinesi, nonostante tutto quello che
gli ebrei avevano subito sotto i nazisti.
Fu un viaggio orribile.
Alla fine venne il giorno in cui fui chiamata dall'esercito, allora
contattai l'associazione New Profile che mi diede buoni consigli
su come comportarmi per portare avanti la mia obiezione di coscienza.
Scrissi una lunga lettera all'esercito spiegando tutte le motivazioni
che mi spingevano a rifiutare il servizio militare.
Poi venne il giorno in cui dovetti presentarmi davanti alla commissione
femminile per le obiettrici di coscienza, pensavo che sarei stata
interrogata a lungo e che avrei avuto modo di spiegare le mie ragioni,
ma l'incontro durò solo sette minuti, dopodicché mi
esonerarono dal servizio con l'obbligo di prestare servizio civile
a Tel Aviv.
Quando uscii ero felice, mi sentivo meglio.
La mia famiglia mi sostiene e mi aiuta, specialmente mio padre,
mia madre meno ma comunque mi capisce, e mio fratello si appresta
anche lui a rifiutare il servizio militare. Ma i miei amici delle
scuole superiori mi hanno abbandonato, la mia migliore amica non
mi vuole neppure parlare e neanche sua madre.
Tutti i miei amici adesso sono in servizio nei territori occupati
e fanno cose orribili di cui poi vanno fieri. Io non riesco a capirli,
forse mi sbaglio, ma proprio non ci riesco.
Oggi svolgo il mio servizio civile a Tel Aviv, aiuto gli anziani
e altre cose di questo genere e sono contenta. Ma solo le donne
hanno questo privilegio, anche se sarebbe riservato solo a quelle
religiose, oggi sono molte le donne laiche a scegliere il servizio
civile per obiezione di coscienza a quello militare.
Questa scelta ha pesato molto sulla mia vita quotidiana, oggi i
miei unici amici sono gli altri obiettori come me. E la scelta rimane
una scelta difficile, con molte domande ancora aperte. Nella società
israeliana l'obiettore di coscienza è visto come un estremista,
un traditore che rifiuta di difendere la patria e tutti sono molto
critici verso questo tipo di scelta.
Qualche volta frequento un'associazione di donne, Women for Human
Rights, con loro vado ai check-point di Gerusalemme con la West
Bank, quello di Kalandia e quello di Abu Dis e insieme a loro osservo
come si comportano i soldati, parlo con la gente ecc ...
Spesso dico a me stessa che tutto questo rovello per aver rifiutato
l'esercito che ha complicato la mia vita nella società in
cui vivo non è così grave come quello che vedo con
i miei occhi. Eccoli lì davanti a me l'occupazione e l'esercito,
e tutto quello che ho rifiutato improvvisamente diventa chiaro e
non nutro più alcun dubbio a causa delle mie scelte.
Non credo che questa terra appartenga solo agli israeliani, questa
terra è di entrambi i popoli, credo che dovremmo vivere insieme
in un unico stato, ma se questo non fosse possibile allora occorre
una soluzione che permetta ai due popoli di vivere in due stati
diversi, ognuno a casa sua, anche se non è un idea che mi
soddisfi completamente.
Alle elezioni di ieri (28/01/2003) ho votato per il Partito Comunista
Arabo."
Saluti
Curzio
|
|
|
|
|
|
|