I
CONTATTI
Dan
e Ivana Hess
Ho
incontrato questa coppia di americani che resterà a Belgrado fino
a settembre. Prima di qui sono stati 6 mesi a Tirana, prima ancora
in Russia. Uno dei compiti di Ivana e Dan é creare una rete degli
operatori che lavorano nei Balcani per la pace e la riconciliazione.
I primi contatti, oltre che a Belgrado, sono, per ora, a Pristina,
a Tirana e a Skopie. I principi della rete sono in accordo con quelli
dei Berretti (nonviolenza, riconciliazione) e vedremo come evolverà
la cosa.
Il
Savet
Il
Centro di Consulenza delle donne in cui lavoro, di cui ho parlato
in una precedente relazione, non ha ottenuto nessuna forma di finanziamento
dall'inizio del bombardamento e sta esaurendo le proprie risorse
economiche. Il centro ha bisogno di cira 800 DM al mese (450 DM
se ne vanno solo per l'affitto, poi ci sono le bollette, le spese
di cancelleria, le spese per le avvocatesse che richiedono documenti
per le donne...). Forse possiamo spargere la voce e trovare qualche
gruppo, magari femminile, interessato a dare il proprio aiuto.
I profughi di Chardak
Domenica 5 dicembre ho visitato il campo profughi di Deliblatska
Peshchara, non lontano da Panchevo. Il nome del campo é "Omladinsko
Naselje Chardak" (Campo della gioventù Chardak): prima di ospitare
i profughi era un campo estivo in una zona molto particolare dal
punto di vista naturale, al limitare di un bosco con una zona lagunare
(in serbo peshchara vuol dire terreno sabbioso). Ho dovuto affittare
una macchina perché il campo è completamente isolato (arrivati al
campo, la strada diventa un sentiero che si perde nel bosco) e chiedere
l'accompagnamento di un fotografo professionista, abituato a lavorare
in situazioni del genere. Emotivamente non è stato semplice visitare
il campo, anche perché per me era la prima esperienza del genere
e la presenza del fotografo è stata molto importante.
Nel campo vivono adesso 756 persone (all'incirca 200 famiglie),
di cui quasi 150 minorenni (20 sono i bambini al di sotto dei tre
anni e 50 quelli che frequentano le scuole elementari). Circa la
metà di questi profughi sono arrivati qui dalla Croazia e dalla
Bosnia-Herzegovina tra il 1992 e il 1994, gli altri sono arrivati
quest'anno dal Kosovo. Alcuni di questi sono 'doppi profughi', cioè
persone arrivate in Serbia dalla Bosnia o dalla Crozia, 'dislocate'
in Kosovo dal governo serbo e costrette adesso a lasciare di nuovo
tutto per la seconda volta.
In particolare ho conosciuto la famiglia di Milka Rekic, con il
marito, il figlio Sava, la nuora Ranka e la nipotina Morana. Provengono
dal paese di Daruvar, nella Slavonia (Croazia). Erano contadini,
abbastanza benestanti e Milka mi ha racccontato che fino a 10 anni
fa ogni tanto andava a Trieste a comprare degli oggetti per la sua
casa, alla quale teneva molto. Daruvar era abitato solo da serbi
ed é stato raso al suolo. Quando sono scappati la nuora era incinta
e nella fuga il marito di Milka é stato ferito ad un occhio. Nel
campo, per i primi 4 anni hanno vissuto in 6 in una stanza: Milka,
il padre, il marito, il figlio, la nuora e Morana, la nipotina,
che é nata nel campo. Quattro anni fa sono andate via alcune famiglie
e Milka, il padre e il marito si sono trasferiti in un'altra stanza;
poi il padre é morto e da allora Milka e il marito hanno una stanza
tutta per loro. Adesso la situazione é diventata di nuovo più difficile,
per l'arrivo dei nuovi profughi. Nel campo ci sono sei palazzine
di due piani ciascuno e dieci stanze per piano. Per ogni piano c'é
un solo bagno, con tre lavandini in comune, un servizio per le donne
e uno per gli uomini e delle docce, che ormai sono quasi tutte fuori
uso. Nella palazzina di Milka per lavarsi usano delle tinozze; nella
palazzina dove ci sono solo profughi del Kosovo nei bagni non c'è
acqua corrente. Dove funzionano, i bagni sono l'unico posto in cui
arriva l'acqua e quindi anche stoviglie e vestiti vengono lavati
lì. C'é un'infermeria, con una infermiera ma senza dottore e senza
medicine, disinfettanti, cerotti,...
Il campo é completamente isolato: c'é solo lo scuola-bus, che porta
gli studenti al paese più vicino, Deliblat, a 7 km. A Deliblat c'é
solo la scuola elementare, gli studenti più grandi devono proseguono
per Kovin, a 17 km. dal campo. Per gli studi superiori bisogna andare
a Panchevo, ma senza macchina é impossibile andare avanti e indietro
in giornata e così gli studenti hanno dovuto affittare delle stanze
a Panchevo, in cui abitano anche in 6; quando tornano il venerdì
sera spesso devono fare a piedi i 7 km da Deliblat al campo.
La gente che vive a Chardak non ha nessuna prospettiva. Ogni giorno
é uguale al precedente. Ranka mi ha raccontato che la mattina si
alzano e l'unica cosa che possono fare è pensare a cosa mangeranno
quel giorno. In qualche modo sono prigionieri del campo, perché
lì almeno hanno un tetto, elettricità, acqua e (abbastanza spesso)
riscaldamento gratuiti. Sarebbe molto difficile trovare da vivere
altrove, anche per i più giovani, considerando le attuali condizioni
economiche della Serbia. Gli unici lavori saltuari per la gente
del campo sono la raccolta delle mele e lavori di manutenzione dei
campi (canali, argini, steccati,...). Fino all'anno scorso alcuni,
per esempio Sava e Ranka, andavano in Montenegro a lavorare per
la stagione turistica, ma quest'anno neanche questo é stato possibile,
per via dei bombardamenti. Nel tempo, alcune organizzazioni hanno
visitato il campo e fatto foto, ma solo una volta i profughi hanno
ricevuto aiuto (10 DM per bambino da parte di una NGO olandese,
alcuni anni fa). Questo é quello che hanno detto pure a me: "Hai
fatto le tue foto e adesso te ne vai e a noi, come sempre, non ci
aiuterà nessuno."
Le richieste principali dei profughi sono: cibo, medicinali, prodotti
igienici, vestiti, scarpe, materiale scolastico per i figli. Porterò
in Italia le foto scattate nel campo. Penso che 'Bread of Life'
sarebbe il partner ideale per questo progetto, che deve essere condotto
con una certa flessibilità, perché probabilmente ogni famiglia avrà
necessità diverse, a meno che non si vogliano semplicemente distribuire
direttamente i soldi alle famiglie. L'altra parte del progetto sarebbe
trovare una scuola, un gruppo, un'istituzione per scambi culturali
con i ragazzi minorenni del campo. La situazione psicologica di
questi ragazzi é molto difficile: hanno trascorso più della metà
della loro vita in questa situazione. Le ragazze arrivate a maggio
dal Kosovo mi hanno detto che é non é semplice fare amicizia con
i coetanei che sono nel campo da più tempo, che questi ragazzi non
dimostrano nessun interesse per lo studio, perché non hanno nessuna
speranza in un futuro diverso: non riescono più a vedere che può
esserci una vita al di fuori del campo.
Saluti,
Francesca
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