[19] Gli Antichi Recinti D'africa

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http://mir10.mir.it/mani/Quotidiano-archivio/06-Dicembre-1998/art72.html

Gli antichi recinti d'Africa

Zimbabwe, Congo, Sudafrica. L'eredità di guerra del colonialismo

La guerra civile in Congo s'alimenta del conflitto tra i coloni bianchi e i coltivatori africani nella ex Rhodesia

- GIAMPAOLO CALCHI NOVATI -

N on c'è niente in Robert Mugabe che ricordi Cecil Rhodes. Cent'anni fa, al culmine dello Scramble for Africa, la Rhodesia e il patrimonio personale e societario di Rhodes nella sua duplice veste di uomo politico e magnate dell'industria erano al servizio dell'imperialismo inglese: la posta, l'enorme ricchezza che all'improvviso, con la scoperta di diamanti e oro, si era dischiusa nelle già derelitte e isolate repubbliche boere. Oggi il Sudafrica è fuori della portata di Zimbabwe, l'ex-Rhodesia. Eppure è sempre la rivalità fra i due prodotti della colonizzazione e del trapianto dei bianchi nella parte meridionale del continente a dettar legge. Formalmente sono due governi "neri" a confrontarsi, di Cecil Rhodes restano in piedi tutt'al più alcune statue, ma sullo sfondo si muovono i grandi capitali e al centro di tutto ci sono le miniere, del Congo se non del Transvaal, e il Congo, si sa, è un altro luogo deputato dell'imperialismo trionfante.

Che cosa ha convinto Robert Mugabe a spedire le truppe a duemila chilometri dai confini non minacciati di Zimbabwe per parare l'offensiva dei "ribelli" Banyamulenge? A fianco del nuovo presidente del Congo ci sono i soldati di altri paesi, di Angola e Namibia anzitutto. I nemici di Laurent Kabila, sull'altro fronte, sono sostenuti, armati e coordinati da reparti di Ruanda e Uganda. Il vero conflitto però è quello che oppone Zimbabwe e Sudafrica: è stato Mugabe che la scorsa estate, mentre in Congo si stava profilando la ripetizione della lunga marcia che un anno prima aveva portato al potere Kabila sulle rovine del regime di Mobutu (a rovescio perché questa volta era il regime di Kabila ad andare in pezzi), ha cambiato il corso della guerra civile in Congo disobbedendo a Mandela, che patrocinava il "non-intervento". I militari di Zimbabwe in Congo ora sono 13 mila e se la benigna egemonia del Sudafrica in Africa non è più incontrastata, ciò si deve all'impennata di orgoglio o di appetito dell'ex-guerrigliero imbevuto di marxismo che governa, con metodi molto simili a un potere assoluto, l'ex-Rhodesia.

Il problema cruciale di Zimbabwe dall'indipendenza, proclamata nel 1980, si chiama terra. Per qualche anno il programma di riscatto delle terre "bianche" è stato ritardato dalle clausole degli accordi con l'Inghilterra, incorporate nella Costituzione, che tutelavano i diritti, anche di proprietà, dei coloni e penalizzavano gli espropri con pesanti condizioni economiche. La situazione di disparità era lampante: metà delle terre utili appartenevano a 4 mila aziende di bianchi o imprese commerciali di europei e sull'altra metà vivevano 750 mila famiglie di africani. La guerra di liberazione era stata alimentata dalla rabbia dei contadini neri e il governo indipendente della Zanu non poteva tradire impunemente le loro attese. In effetti, entro il primo decennio d'indipendenza, pur fra mille difficoltà, 52 mila nuclei familiari sono stati sistemati con titoli diversi su 2,6 milioni di ettari.

A parte i limiti pattizi che avevano regolato il passaggio dal governo bianco all'indipendenza, la distribuzione delle terre dei bianchi fra gli africani senza terra era rallentata da un pregiudizio: la riforma avrebbe giovato alla giustizia ma nuociuto alla produzione, intaccando la grande agricoltura capitalistica. Considerati i mezzi finanziari e tecnici a disposizione delle farms dei bianchi, il declino poteva anche essere probabile. Ma i dati non suffragano affatto la fosca predizione: l'agricoltura africana dopo l'indipendenza è in pieno boom. Gli assegnatari hanno l'obbligo di coltivare anche prodotti per l'esportazione e non solo per l'autoconsumo. Forte dell'approccio tecnocratico con cui è stata realizzata la riforma, il governo ha tenuto testa alle obiezioni dei potenziali finanziatori e si è spinto oltre.

Anche nel tentativo di risalire un po' la china della popolarità, Mugabe ha varato un programma decisamente ambizioso che gli ha attirato puntualmente l'accusa di irrealismo e demagogia. L'obiettivo del nuovo Land Acquisition Act è di requisire 5 milioni di ettari, la metà circa delle residue terre dei bianchi, e di dividerli in lotti per 150 mila famiglie di coltivatori africani. Il costo relativo è valutato in 2,2 miliardi di dollari. Troppi? Ci si può aspettare che i paesi occidentali e gli organismi finanziari internazionali collaborino a demolire definitivamente lo zoccolo duro del potere dei bianchi rimasti nella colonia fondata da Rhodes?

Con la sua storia personale, Mugabe è portato naturalmente verso le soluzioni dirette. Ma i tempi sono cambiati anche per lui. Nel suo radicalismo ormai c'è più tattica che rigore ideologico o passione per i poveri. L'immagine di sé che la Zanu preferisce trasmettere è intonata a "pace, ordine e buon governo". Lo spirito riformatore è vieppiù oscurato dall'accaparramento di terre da parte di esponenti della nomenklatura del partito e dello stato. La disinvoltura - o la corruzione - dei dignitari della Zanu (attenti a sfruttare in questo senso anche la guerra in Congo) non basta tuttavia a smentire l'urgenza di provvedimenti intesi a saziare almeno in parte la fame di terra dei contadini e ad alleggerire una protesta sociale che all'inizio dell'anno è sfociata in veri e propri "moti del pane".

La minaccia con cui deve confrontarsi il governo non vale tanto a livello politico-elettorale quanto a livello di consenso. Dopo l'incorporazione della Zapu nella Zanu vige una specie di sistema monopartitico. Al vertice dello stato c'è posto solo per lui, Robert Mugabe (i suoi 75 anni stanno accendendo la lotta per la successione entro la Zanu), e la disgrazia politica dell'ex-presidente Canaan Banana è finita in pochade sotto l'accusa di "immoralità". Alle elezioni del 1995 l'opposizione più accreditata ha rinunciato a presentare propri candidati ritenendo che la consultazione fosse viziata in sé. Mugabe non ha mai fatto mistero delle sue preferenze per il partito unico e, a parte gli abusi, l'ha dimostrato anche politicamente agendo sul suo eterno compagno-rivale Joshua Nkomo per la confluenza fra i due tronconi del movimento di liberazione, che avevano combattuto insieme il potere bianco, ancorché con piattaforme ideali, alleanze internazionali e un sostegno etnico differenti (la maggioranza Shona con la Zanu e i Ndebele con la Zapu).

La tendenza della Zanu e personalmente di Mugabe a prevaricare non ha facilitato il funzionamento del pluralismo. La società ha un'articolazione che non trova un riscontro nei partiti, nel voto e nel parlamento. Importanti forze sociali sono prive di rappresentanza. Per contenere l'azione sindacale una norma recente ha proibito gli scioperi per sei mesi. Lo scopo è sempre quello di evitare il consolidamento di centri di potere alternativi nel paese. Più della democrazia, a Mugabe sta a cuore tenere oliati i meccanismi del neopatrimonialismo a favore dei "clienti" della Zanu, che non sono pochi e che per ciò stesso assicurano al regime una base tutt'altro che fittizia o episodica.

A torto o ragione, gli spazi immensi della regione dei Grandi Laghi, una res nullius nell'era della globalizzazione quasi come nell'Ottocento, debbono essere apparsi a qualcuno nelle alte sfere di Harare un rimedio insperato ai mali interni. Alla base c'è il desiderio di Zimbabwe di affermare una sue personalità, in grado di fare ombra al Sudafrica del dopo-apartheid invece di accomodarsi alla sua ombra. Ma il Congo è un affare indigesto per tutti e Zimbabwe non fa eccezione. Ruanda e Uganda, che hanno dovuto ammettere alla fine il loro coinvolgimento nella guerra, hanno padrini in Africa e nel mondo ben più autorevoli. Gli Stati Uniti hanno fatto sapere di disapprovare l'intervento armato di Zimbabwe. Lo stesso Sudafrica non si è ritirato dalla competizione: quella militare per il controllo del regime a Kinshasa e quella economica per inserirsi nello sfruttamento delle risorse minerarie e idriche dell'antico "tesoro" di Mobutu.

Sullo slancio dell'intervento armato che per ora ha "salvato" Kabila, compagnie di Zimbabwe hanno strappato contratti lucrativi in Congo per un impianto di cobalto e una miniera di rame, e si parla anche di commesse militari. I nomi dei beneficiari, per vie di parentela o collegamenti meno formali, portano fra gli altri al ministro della Giustizia e al capo di Stato maggiore. Il business reso possibile dal rapporto speciale con Kabila è un punto a favore di un piccolo nucleo di impresari e mediatori, ma è più che dubbio il vantaggio che la popolazione di Zimbabwe, già tartassata dai contraccolpi dei piani di aggiustamento, può ricavare da un conflitto che uccide i suoi figli (il conto delle vittime è segreto) e malgrado tutto dilapida risorse. Metà dei ministri di Mugabe si sarebbero espressi contro la guerra. Il costo delle operazioni militari è valutato intorno ai 400 mila dollari al giorno. Anche se può essere pretestuoso in bocca a chi pratica per suo conto la guerra per motivi di sicurezza e di influenz a, guadagna adepti l'argomento che Zimbabwe non ha più diritto agli aiuti internazionali necessari per il resettlement visto che il governo conduce una politica così esposta addirittura fuori dei confini.

Gli storici non sono d'accordo sulle funzioni delle mura ciclopiche e degli edifici in pietra le cui rovine presso Masvingo costituiscono una meta turistica e il simbolo stesso dell'ex-Rhodesia. Zimbabwe significa appunto recinto o recinto reale. Quella costruzione, che il razzismo latente dei cultori della cosiddetta "ipotesi hamitica" ha esitato ad attribuire a una classe dirigente o a una popolazione autenticamente africana, ipotizzando chissà quale intrusione dall'esterno, è la prova di un'organizzazione statuale che ricorreva alla monumentalità per rafforzare la propria autorità e che aveva le possibilità di mobilitare tante energie per un'opera dinastica o religiosa. A suo tempo, i fasti mitizzati del passato aiutarono a suffragare la richiesta di autodeterminazione dei neri contro gli abusi dei settlers, autori della famosa Udi (Unilateral Declaration of Independence) per perpetuare il razzismo e non applicare i principi del majority rule che il governo di Londra voleva far valere per completare il pr ocesso di decolonizzazione in atto nei possedimenti africani. Finita l'epopea della liberazione, la Zanu dovrebbe forse dotarsi di un'altra strategia: non sarà certo con la guerra e le sfide al suo potente vicino che Zimbabwe potrà occupare il posto a cui pensa di avere diritto anche per onorare quel passato da cui ha tratto il suo nome.



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