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Proposte del Comitato di solidarietà Palermo- Bukavu.


La crisi della regione dei Grandi Laghi rischia di incancrenirsi dopo le catastrofi che l'hanno coinvolta.

Il Papa, in modo pressante, ha condannato l'impassibilità degli organismi internazionali che continuano ad assistere, sottomessi come sempre ai diktat USA, al massacro di un popolo e alle tragedie mass-mediate.

Emma Bonino, commissario per gli esteri dell'UE, ha gridato allo scandalo contro la diplomazia internazionale che, dopo interminabili lungaggini, ha deciso il non-intervento delle forze multinazionali e il non invio di aiuti umanitari.

Gli interessi nordamericani hanno prevalso su tutte le ragioni di ordine umanitario e politico e soprattutto sugli ambigui interessi della politica francese, che spudoratamente continua ad offrire il suo appoggio a Mobutu per una soluzione armata del conflitto.

E' chiaro il tentativo da parte degli USA e dei loro alleati inglesi di sostituirsi, nella zona dei Grandi Laghi, all'influenza francofona (Francia e Belgio).

In Burundi continua lo stillicidio di massacri, all'interno del paese, tra hutu e tutsi. L'embargo, decretato dall'ONU in seguito al colpo di stato dello scorso luglio, sta ulteriormente penalizzando la popolazione che sopravvive, ormai da oltre due anni, nella paura e nel terrore.

In Rwanda, dopo il ritorno forzato dei profughi, si stanno avviando, con molta lentezza e incertezza, i processi ai responsabili dell'ultimo genocidio (ma ricordiamo, a questo proposito, che le responsabilità dei vari genocidi sono da ripartire fra tutti gli attori di questo dramma); e il tribunale internazionale, con sede ad Arusha (in Tanzania), ha cominciato a funzionare solo adesso.

Intanto più di 80.000 prigionieri nelle carceri del Rwanda, tra cui donne e bambini, aspettano da due anni un regolare processo.

I massacri operati dai vincitori, di cui il più clamoroso è quello di Kibeho, non sono messi in conto.

Il futuro del paese è ancora molto incerto a causa delle profonde ferite subite, al di là delle differenze etniche, da tutto il popolo rwandese.

Lo Zaire sta attraversando uno dei momenti più critici della sua recente storia, dall'indipendenza ad oggi.

Le milizie zairesi sono totalmente allo sbando, in tutto il paese compiono rappresaglie e soprusi sulla popolazione. L'inflazione (oltre 10.000 (diecimila!) % l'anno) impoverisce rapidamente la popolazione che sopravvive in condizioni pietose. L'assenza dello Stato è totale. Nel sud-Kivu, al confine con il Rwanda, i ribelli tutsi di origine zairese, col sostegno delle armi nordamericane, dopo aver bombardato i campi profughi, hanno conquistato il Kivu e respinto le sbandate truppe dell'esercito zairese, sempre più ridotto ad un fantasma.

L'Uganda ha invaso i territori zairesi con essa confinanti.

Mobutu ha assoldato più di 3.000 mercenari per tentare, con le armi e con l'aiuto dei francesi, di riconquistare i territori invasi dalle truppe straniere o dai ribelli.

L'ONU, in tutto questo, appare sempre più come un grande baraccone diplomatico a servizio degli interessi dei più forti, in questo caso a favore degli interessi degli USA.

In questo quadro tragico esistono ancora degli spazi di manovra per un intervento a favore dei diritti umani e della popolazione, così pesantemente penalizzata?

E' possibile fermare questa folle e crudele "logica" di Stato al cui altare è permesso sacrificare intere popolazioni?

Qual è la leva su cui tentare un ribaltamento di questa perversa logica delle armi?

In Paesi in cui si avvicendano dittatori e colpi di Stato, crediamo che un ruolo fondamentale sia riservato alla società civile organizzata, legittimata democraticamente dalla popolazione.

Nello Zaire, nonostante 30 anni di dittatura cleptocrate e sanguinaria, sopravvivendo a persecuzioni e repressioni cruente, si é sempre più rafforzata la società civile organizzata, che gode di un ampio riconoscimento da parte dell'opinione pubblica del paese. Il Cnong (Consiglio Nazionale delle ong) e il Crong (comitato regionale delle ong del Sud-Kivu) costituiscono due grandi realtà in grado di assumere decisioni e linee politiche fondate sul rispetto dei diritti umani e della democrazia (principi tante volte proclamati dall'ONU e molto spesso da essa stessa calpestati).

Il martirio del vescovo di Bukavu, mons. Christophe Munzihirwa, ucciso il 30 ottobre 1996 per il suo impegno instancabile e coraggioso a favore dei diritti umani e della pace, è una delle tante testimonianze di una società che crede in questi ideali.

Per meschini interessi di parte, é stata umiliata la volontà dei popoli che si esprime in modo democratico e diretto attraverso i rappresentanti della società civile.

Anche in Rwanda e in Burundi esistono rappresentanti significativi e riconosciuti dalla società per le loro profonde convinzioni pacifiste e solidaristiche.

Quale legittimità possono avere attualmente i governi impostisi con la forza delle armi, attraverso un colpo di Stato, o la dittatura di Mobutu, universalmente riconosciuta come tale?

Chi trae giovamento da questa incalcolabile catastrofe umana?

Certamente i mercanti di armi e tra questi anche l'Italia, che non è estranea a lucrosi affari, riguardanti in modo particolare la vendita delle mine.

Non c'è dubbio che vi sono in gioco interessi strategici da parte degli USA che vogliono assicurarsi un cordone militare per stanare e respingere il terrorismo islamico fondamentalista che sembra abbia la sua base in Sudan. Pare che, attraverso il controllo del Rwanda, dell'Uganda e dello Zaire sia possibile, per i nordamericani, operare un più rigoroso controllo del Sudan.

Tutto ciò comporta un cambio di guardia con la Francia che, sino a questo momento, ha controllato economicamente e militarmente la zona.

C'è infine la questione dello Zaire: Mobutu, che sino ad oggi ha goduto dell'appoggio delle potenze occidentali salvaguardandone gli interessi delle multinazionali, colpito oggi da un male incurabile, senza eredi che possano garantire gli interessi occidentali, è abbandonato al suo destino.

Soltanto la Francia ha interesse ad appoggiarlo per tentare di non farsi "scippare" dai nordamericani questo grande e ricco paese che costituisce l'ago della bilancia di tutta l'Africa Centrale.


Che cosa possiamo fare noi, come rappresentanti di una parte della società civile organizzata, in Italia?

Intanto, abbiamo il dovere morale e civile di solidarizzare con le forze più significative che lottano per una affermazione dei diritti umani di un popolo massacrato da una guerra intestina innescata sino alle sue più tragiche conseguenze da logiche ed interessi di parte.

Cosa fare di fronte ad interessi tanto forti e contrari ai diritti umani più elementari?

Ci si può ancora appellare all'ONU in nome di quegli stessi diritti che esso stesso calpesta?

O, invece di fare appello soltanto ai diritti umani, occorre ragionare in termini di real-politik e far capire agli stessi potenti che è più conveniente seguire una strada di mediazione pacifica, anche a vantaggio dei loro stessi interessi politici, economici e militari?

Gli USA non rischiano forse di creare una situazione che può precipitare in un caos tale da diventare incontrollabile ad essi stessi?

Occorre che la società civile organizzata si appelli ai motivi di ordine etico che debbono essere ulteriormente affermati senza esitazione di fronte alla spregiudicatezza della politica internazionale e all'indifferenza dell'opinione pubblica mondiale.

Non ci è consentito di restare inermi di fronte a tanta sofferenza.

Ma occorre anche appellarsi ad una real-politik del buon senso che dimostri come questa immane sofferenza sia non solo scandalosa, ma persino dannosa per gli stessi interessi che i nordamericani e i francesi vogliono perseguire, sulla pelle degli africani.

 


 

Proponiamo pertanto:

 

1) di promuovere in diverse città d'Italia dei gemellaggi con altrettante città della regione dei Grandi Laghi;

 

2) di costituire un Comitato pro regione dei Grandi Laghi, per affrontare in maniera specifica questa questione internazionale;

 

3) di realizzare un incontro del Comitato con il Ministero degli esteri italiano per promuovere attraverso la cooperazione italiana:

a) un intervento di emergenza a Bukavu a favore della popolazione;

b) dei progetti che mirino a sviluppare percorsi di pace e di democrazia che prevedano la partecipazione della popolazione;

 

4) di promuovere un incontro con il commissario degli esteri Emma Bonino, alla presenza dei rappresentanti della società civile della regione dei Grandi Laghi per fermare questa guerra;

 

5) di chiedere la revoca immediata dell'embargo al Burundi e di proporre una mediazione di pace, con tutti gli strumenti possibili.

 

L'Italia non può restare indifferente di fronte al dolore delle popolazioni martoriate. Non può rifiutarsi di prestare soccorso alla popolazione dello Zaire e in modo particolare alla popolazione del Sud-Kivu, sol perché questo urterebbe la suscettibilità della Francia o dell'America.

E tutti noi, sensibili a questa questione, noi, società civile, chiediamoci se non abbiamo ancora fatto tutto ciò che avremmo dovuto.


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