(da "Ruanda, una tragedia africana che si ripete" di R. Minani, T. Kubya, N. Rocca, Edizioni della Battaglia, Palermo 1996)
Una tragedia africana che si ripete
di
Rigobert Minani Bihuzo
ORIGINE IMMEDIATA DELLA CRISI
Il Ruanda
La guerra nel Ruanda e nel Burundi è sempre stata ciclica. Quando si affronta la questione ruandese oggi vanno citate alcune date. Il periodo prima del 1959 è considerato dalla maggioranza degli Hutu come un periodo del regno della monarchia Tutsi, braccio esecutivo di una politica coloniale dove la grande massa degli Hutu era buona solo per lo schiavismo e le co~vé. Nel 1959 la massa contadina si ribellò contro la monarchia che all'indomani dell'indipendenza voleva recuperare il potere. A questa rivoluzione del 1959 seguì la caccia ai Tutsi e la spoliazione dei loro beni. Seguì quindi più di un quarto di secolo di esilio dei Tutsi davanti ai regimi successivi sempre più esclusivisti, dittatoriali ed etno-regional-clientelari. L'opinione pubblica nel Ruanda si formò attorno a idee che andavano dall'estremismo all'opportunismo dei membri delle due etnie antagoniste.
"Tutto il potere politico a noi, niente agli altri" era la tesi degli estremisti Hutu e Tutsi. Costi quel che costi, a qualsiasi prezzo e con qualsiasi mezzo, essi volevano conquistare e conservare il potere. Gli Hutu parlavano delle conquiste della rivoluzione del 1959 e i Tutsi del ritorno al vecchio ordine. I pianificatori dei genocidi erano in mezzo a questi.
I Tutsi di questa tendenza affermavano di essere stati creati per dirigere e di non accettare alcuna divisione equa del potere. Questa tesi veniva difesa dai nostalgici inveterati del regime monarchico che non avevano mai mandato giù il fatto che gli Hutu fossero al potere. Già all'indomani del 1959 essi tentarono, con incursioni armate, di riprendere il potere. Questa tendenza si trova ancora tra alcuni attuali animatori del FPR (Fronte Patriottico Ruandese). Essi ne costituiscono l'ala dura che detiene l'effettività del potere. Fin dalla loro presa del potere a Kigali si preparano alla guerra. Hanno sempre rifiutato una soluzione negoziata pacificamente, malgrado l'insistenza della comunità internazionale e le proposte delle organizzazioni della società civile subregionale.
Dall'altra parte ci sono i vecchi detentori ruandesi del potere che sono andati in esilio non solo nello Zaire, ma anche in molti altri paesi africani. Tra di essi ci sono i pianificatori del Genocidio. Questi non hanno rinunciato alla conquista del potere, nonostante la morsa che fin dal principio si è chiusa su di loro. Essi si sono attivati per destabilizzare il nuovo potere Tutsi con incursioni portate dallo Zaire o con gruppi di resistenti all'interno.
Il grosso della popolazione ruandese è in mezzo a questi due gruppi. Essa reclama da sempre un potere in grado di rispondere ai suoi bisogni fondamentali. Oltre alla fine della guerra e, appunto, all'applicazione degli accordi negoziati, la popolazione ruandese chiede solo la pace, da mangiare e da bere, l'accesso all'acqua potabile, il vestiario, il miglioramento delle abitazioni, le cure sanitarie, ecc.
Essa attende dei politici che esaltino l'amore tra etnie, la tolleranza e l'unione degli sforzi, da un lato per mettere in minoranza gli estremisti di ogni parte, e dall'altro per aiutarla a riconciliarsi con se stessa e con la sua storia. Da qui vengono le migliaia di donne e bambini che popolano fino al 70% i campi dei rifugiati nello Zaire e in Tanzania. E milioni di altri all'interno del Ruanda.
L'atteggiamento della comunità internazionale di fronte a questa crisi è sempre stato irresponsabile. Dopo l'attacco al Ruanda da parte del FPR a partire dall'Uganda, nell'ottobre 1990, la comunità internazionale, che aveva fin lì ignorato il problema dei rifugiati ruandesi di etnia Tutsi, si è risvegliata. Si è subito messo in moto un balletto diplomatico. Dopo tre anni di una guerra costosa e mortale, che ha provocato più di un milione di profughi interni, la comunità internazionale ha imposto ai belligeranti un accordo, i famosi accordi di Arusha, firmati dai contendenti il 4 agosto 1993. Solo la comunità internazionale crederà a questo documento, che da una parte e dall'altra verrà trattato come "carta straccia". Il seguito è noto... Assassinio del presidente ruandese, massacri, genocidi, vittoria del FPR, catastrofe umanitaria, rifugiati. E la storia continua...
Come la crudeltà della monarchia ha provocato gli awenimenti del 1959, così il regime di Habyarimana, che per lungo tempo ha confinato i Tutsi nella condizione di cittadini di secondo ordine, vietando anche a molti di loro il ritorno a casa, non poteva tenere per molto. Purtroppo il potere attuale di Kigali è anch'esso awiato su questo cammino maledetto dei massacri, del genocidio, degli assassinl, delle guerre, dell'esclusione e della marginalizzazione.
L'attuale guerra era dunque prevedibile, e ormai lo Zaire, cominciando dal Sud e dal Nord Kivu, ne paga lo scotto.
Il Burundi
Il Burundi è in guerra civile dall'ottobre del 1993. Per spiegare la situazione caotica del suo paese, Silvestre Ntibatunganya, presidente hutu rovesciato nel giugno scorso dal putsch tutsi, diceva in un discorso: "Il colpo di stato del 21 ottobre 1993 ha colpito la speranza. E stato un attacco dell'inquietudine contro la speranza. Ma la conseguenza è che oggi l'inquietudine è generallzzata " .
Gli esperti della questione burundese propongono che i tragici awenimenti del Burundi dell'ottobre 1993 vengano esaminati tenendo conto del contesto storico, politico, economico e sociale che ha prevalso in quel paese, soprattutto dopo il suo accesso all'indipendenza nel 1962, e in cui il fattore etnico ha giocato un ruolo determinante, avendo come sfondo la paura dell'altro e una mancanza totale di fiducia tra le etnie.
Questo contesto è segnato da una serie di avvenimenti sanguinosi tra cui il genocidio di più di 300.000 hutu nel 1972 e dei colpi di stato che hanno assicurato e consolidato il dominio della minoranza etnica Tutsi sulla maggioranza Hutu, praticamente esclusa dalla gestione del potere. Il 1972 segnò per il Burundi una svolta importante. L'esecuzione della quasi totalità degli intellettuali, fino al livello delle scuole elementari e medie, non sarebbe passata inosservata per quelli che erano riusciti a fuggire.
Costretta a fare una scelta tra la sottomissione, la rassegnazione, l'esilio o la sparizione fisica, la maggioranza Hutu venne pervasa da sentimenti di frustrazione e odio, di ostilità e vendetta, mentre la minoranza Tutsi viveva continuamente nella insicurezza e nell'ossessione di essere schiacciata, o addirittura sterminata, da questa maggioranza una volta al potere. La costituzione di un esercito esclusivamente tutsi e super equipaggiato fu la garanzia temporanea di questa sicurezza.
Quando il vento della democrazia cominciò a soffiare sull'Africa, il potere tutsi del Burundi fu costretto dai suoi partner occidentali a organizzare delle elezioni. La doppia vittoria alle elezioni presidenziali e legislative (1° e 29 giugno 1993) del FRODEBU (Fronte per la Democrazia in Burundi, Hutu), offriva alla maggioranza Hutu un'occasione senza dubbio insperata di assumere la responsabilità del potere. Ma accresceva nello stesso tempo l'inquietudine della minoranza e l'umiliazione di vedersi rifiutare il regno da parte della maggioranza della popolazione.
La minoranza Tutsi, che aveva da lungo tempo l'effettività del potere (l'esercito e l'amministrazione) non accettò i risultati delle urne. Di qui il colpo di stato del 21 ottobre 1993, che mirava a decapitare il vertice dello stato, l'alta direzione del FRODEBU e a bloccare il funzionamento delle istituzioni.
Questo colpo di stato, e soprattutto l'assassinio di Melchior Ndadaye, presidente della repubblica eletto democraticamente, e di altri dignitari hutu, venne percepito dalla maggioranza Hutu come un rifiuto del nuovo potere da loro gestito, da parte della minoranza Tutsi dell'Uprona (Unione per Progresso Nazionale, Tutsi) e degli altri partiti dell'opposizione affiliati a questa formazione, e, di fatto, una rimessa in causa del processo democratico.
In un impeto di disperazione, gli Hutu, che portavano ancora nella loro memoria collettiva i traumi dei massacri del 1972, per autodifendersi e al tempo stesso per rovesciare il genocidio cominciato al vertice, scatenarono massacri di tutsi che si trovavano sulle colline. Alla sanguinosa e violenta reazione hutu contro i tutsi, corrispose una reazione dei tutsi sostenuta dagli uomini in uniforme. Si parlò di 100.000 morti tra hutu e tutsi.
In seguito alla catastrofica reazione hutu e alla condanna internazionale, l'esercito rinunciò a prendere direttamente il potere Il suo alleato politico, l'UPRoNA, impose però dei negoziati per una "democrazia adatta al Burundi". Cioè tagliata su misura per le ambizioni della minoranza Tutsi. L'ala dura del FRODEBU, che considerava questi negoziati imposti dall'UPRoNA come un modo di perpetuare il colpo di stato e l'assoggettamento del popolo Hutu, si diede alla macchia. L'attuale Consiglio Nazionale per la Difesa della Democrazia (CNND) e la sua branca militare,
la FDD (Forze per la Difesa della Democrazia), chiamano questo "la ribellione hutu".
Perseguitati nel Burundi, i dirigenti di questa Coalizione per la difesa della democrazia, hanno creato una grande organizzazione partigiana nel paese e altri sono andati in esilio nello Zaire e in Tanzania, da dove hanno diretto le azioni contro l'esercito burundese.
Lo Zaire è diventato così il santuario dei movimenti hutu che rifiutano di sottomettersi a ciò che essi identificano come la "dittatura tutsi". Essendo stata respinta dal potere tutsi la questione fondamentale della divisione senza ipocrisia del potere l'uscita dalla crisi non poteva che essere momentaneamente militare.
Per questo, in previsione di un probabile attacco degli hutu residenti nello Zaire, gli eserciti burundese e ruandese si sono coalizzati per attaccare lo Zaire e approfittarne per destabilizzare i campi dei rifugiati sospettati di essere la base arretrata dei partigiani hutu.
LA QUESTIONE BANYAMULENGE
Non potendo attaccare direttamente lo Zaire, per risolvere i loro problemi interni, il Ruanda e il Burundi, ricorrono alla complicità dei tutsi residenti nello Zaire. Il compito è tanto più facile perché essi avevano già dal 1990 raggiunto i partigiani del FPR in Uganda. Essi hanno fatto la guerra nel Ruanda fino al 1994. Dal luglio 1994 i militari dell'Esercito Patriottico Ruandese di etnia tutsi, detti "banyamulenge" cominciano a infiltrarsi negli altopiani sovrastanti la piana del Ruzizi, non lontano dalla frontiera ruandese e burundese. La presenza di questi giovani in armi nei villaggi crea panico nella popolazione locale di altre etnie. Questa fa appello all'autorità politico-militare. I "banyamulenge" parlano di persecuzione. Connessa a questa questione si pone anche quella della nazionalità dei "banyamulenge" rifiugiati nello Zaire dal 1960 e di quelli arruolati nell'esercito ruandese.
Una campagna mediatica, mirante a sfruttare politicamente e militarmente la questione dei "banyamulenge", viene allora lanciata e alimentata da una forte lobby in Europa e in America.
All'indomani di un ambiguo rapporto delle Nazioni Unite su questa questione, il Ruanda attacca lo Zaire, facendo intendere che sono i ribelli "banyamulenge" ad invadere l'Est dello Zaire, anche se l'armamento pesante piazzato sulle alture del Ruanda bombarda i campi dei rifugiati e le posizioni zairesi, e i battelli dati recentemente dagli americani a Kigali, attaccano la città di Goma.
Mano a mano che questo conflitto si allarga, non c'è più da dubitare che la guerra cominciata nel settembre del 1996 nell'Est dello Zaire non sia una guerra etnica, come si vuole far credere all'opinione internazionale. E un complotto sapientemente montato in primo luogo per massacrare i rifugiati ruandesi e burundesi che si trovano sul suolo zairese, "distruggere i campi", allontanare i rifugiati superstiti dalla frontiera ruandese e burundese, e infine "annettere una parte del territorio zairese" per creare il famoso impero Hima. Affermando oggi che alcune regioni dell'Est dello Zaire appartenevano al Ruanda, le nuove autorità di Kigali sondano il terreno per i loro progetti espansionistlci.
I PADRINI DELLA GUERRA
Il conflitto detto dei "banyamulenge" dunque non è che un pretesto per incendiare tutta l'Africa centrale. I padrini di questo complotto contro l'Africa sono tra gli altri gli americani, che addestrano e armano oggi le forze ruandesi, e con essi gli inglesi.
Il progetto "Tutsi Land" e "Hutu Land" era stato già annunciato alcuni anni fa dal signor Coen, ex incaricato degli affari africani alla Casa Bianca.
E infatti dal 1990 che queste potenze occidentali utilizzano i conflitti interni dei paesi dei grandi laghi per raggiungere i loro scopi. Quando nell'ottobre del 1990 il FPR attacca il Ruanda, riceve l'appoggio massiccio dell'esercito ugandese, anch'esso addestrato da esperti americani. Infatti l'America ha bisogno di uno spazio forte e più vasto dell'Uganda, del Ruanda e del Burundi per destabilizzare il Sudan, che considera come il bastione del terrorismo.
Quegli stessi esperti americani sono oggi a Kigali. Sono loro che hanno consigliato al Ruanda di lanciare l'attacco mentre l'opinione internazionale è polarizzata sulle elezioni negli Usa, e mentre, essendo malato Mobutu, lo Zaire è senza una leadership solida. A questo scopo, fin dalla presa del potere dei loro alleati a Kigali, essi hanno condotto una campagna globale di demonizzazione dei rifugiati, manipolando il "Comitato Usa per i rifugiati", l"'Usaid" e le organizzazioni dei diritti umani "African Right" e "Medici per i Diritti Umani".
La proposta di distruggere i campi e di disperdere i rifugiati è stata sostenuta in diverse conferenze internazionali dai delegati di queste organizzazioni e, nel pieno dei preparativi di questa guerra, dal segretario di stato americano Christopher. Oggi che la messa in pratica di questo progetto diabolico è nella sua fase di esecuzione sarebbe ipocrita e menzognero continuare a parlare di una guerra etnica o di ribelli.
Questa guerra provoca oggi più di tre milioni di profughi, i morti non si contano e la miseria è indescrivibile. I Campi dei rifugiati, popolati per il 70% da donne e bambini, sono il bersaglio delle forze armate ruandesi che li bombardano senza alcun patema d'animo. Si tratta di un vero e proprio genocidio perpetrato con armi pesanti. La popolazione civile viene massacrata e gettata nei fiumi e nelle fosse comuni. L'esercito ruandese attacca, soprattutto tra gli zairesi, gli intellettuali e gli opinion maker. Ancora una volta una catastrofe umana si consuma davanti alle televisioni, tra l'indifferenza totale di coloro che armano i belligeranti e nel massimo disprezzo del valore della vita degli africani.
LE DONNE E I BAMBINI
Nei fatti la maggior parte di quelli che pagano il prezzo più alto di questa follia omicida sono i bambini. Le grandi organizzazioni che si occupano dell'infanzia come l'Unicef, o il "Save the Children Found", hanno mostrato assai bene in diverse loro pubblicazioni, che i bambini pagano il prezzo delle follie degli adulti. Questo è particolarmente vero per il conflitto nella regione dei Grandi Laghi. Le statistiche a questo proposito sono eloquenti. Più di 100.000 bambini non accompagnati sono ancora
oggi le vittime innocenti di quella che è prima di tutto una crisi politica, mirante alla conquista e alla conservazione del potere con tutti i mezzi, compreso il massacro delle donne e dei bambi-. ni. In questa crisi, il fattore etnico gioca solo come strumento mobilitante e giustificatore, manipolato di proposito dai gruppi antagonisti per interessi machiavellici e immorali.
La storia dei bambini non accompagnati si inscrive nella tragedia ruandese e burundese, diventata oggi una tragedia di tutto l'Est dello Zaire. Essa comincia a Bukavu con l'arrivo dei rifugiati ruandesi. Siamo nell'aprile del 1994. La prima ondata di rifugiati è composta da tutsi. Fino a questo momento le organizzazioni umanitarie non sono ancora arrivate nel Kivu. Solo le chiese si mobilitano. L'arcivescovo di Bukavu (L'arcivescovo Christophe Munzihirwa, è stato ucciso il 29 ottobre 1996, in circostanze non precisate, durante un attacco dell'esercito ruandese alla città.) lancia una colletta speciale per i rifugiati. Il gruppo di difesa dei diritti della persona, il "Groupe Jérémie" di Bukavu, soprattutto attraverso il suo nucleo di Nguba, si incarica di trovare il minimo vitale per i bambini che erano riusciti a sfuggire al Genocidio che si consumava nel Ruanda. Mentre i ragazzi aiutano i rifugiati ad organizzarsi, le ragazze si occupano delle donne e dei bambini. In loro favore vengono organizzate delle collette. Vengono organizzati anche, con "Heritiers de la Justice" (altro gruppo per i diritti umani), dei concerti il cui ricavato totale viene utilizzato per questo obiettivo. Nelle scuole e in altre istituzioni, gli studenti, le mamme zairesi, ecc., si fanno in quattro per raccogliere gli abiti, i piatti, i perizomi, ecc...
Il "Groupe Jérémie" pubblica in pieno genocidio, giugno 1994, un rapporto sui massacri a Cyangugu.
Alla fine del mese di giugno 1994, riusciamo a prendere il controllo della situazione sanitaria e alimentare dei bambini rifugiati che allora vivevano con gli adulti. Nel luglio 1994, dopo la vittoria militare del FPR, aiutiamo i rifugiati tutsi a tornare nel Ruanda, mentre centinaia di migliaia di hutu si riversano su Bukavu. Il &laqno;Groupe Jérémie" decide allora di dedicare i suoi sforzi alle persone indifese, cioè i bambini, le donne incinte, gli handicappati e i vecchi.
E in questo quadro che accogliamo più di 300 bambini nella stessa Scuola Alfajiri. Per nutrirli bussiamo a tutte le porte. Dai Padri Gesuiti ai Padri Saveriani, ai Padri Bianchi, all'Ufficio delle opere mediche dell'arcidiocesi di Bukavu, all'Ufficio dello sviluppo, alla Caritas..., il concorso di tutte queste istituzioni ci permette di salvare la vita di questi bambini.
Essi hanno subìto tutti dei gravi traumi. Alcuni tra loro sono incapaci di comunicare.
La cura della loro salute mobilita un gran numero di volontari dell'Istituto Superiore delle Tecniche Mediche (ISTM), che sono venuti spontaneamente ad unirsi al "GroupeJérémie".
Stabilizziamo la situazione fino all'arrivo della Croce Rossa e della Caritas Internazionalis.
Passato il periodo dell'emergenza umanitaria, la Caritas Bukavu si occupa dei bambini non accompagnati e di quelli della strada.
Da parte nostra ci dedichiamo allo sforzo di comprensione globale di questa crisi. Il nostro impegno in un organismo per la difesa dei diritti della persona, la prevenzione, la gestione e la risoluzione dei conflitti, ci introduce progressivamente nella complessità della crisi nella regione dei grandi laghi.
NATURA DIQUESTI CONFLITTI
I nostri contatti con i diversi protagonisti di questa regione ci fanno ben comprendere che i conflitti che dilaniano la nostra sub-regione sono conflitti multiformi, ma anche multipopolari, e che esigono quindi un approccio multidimensionale. Lo schema facile e semplicistico del genere "conflitto Hutu-Tutsi" per il Ruanda e il Burundi, la questione della nazionalità nell'Est dello Zaire, non sono che una faccia di questo conflitto, dove i protagonisti si compiacciono di confondere le tracce.
I conflitti che devastano la regione~dei Grandi Laghi sono la giustapposizione di conflitti tra alcune etnie, tra alcuni politici, tra alcune regioni, tra individui, tra ricchi e poveri, governanti e governati, oppressori ed oppressi, dittatori e democratici, ecc.
Le loro radici fondamentali ci sembrano essere economiche e politiche. Questi conflitti sono scoppiati quando il tessuto sociale che ne costituisce lo sfondo si è deteriorato ed è divenuto incapace di produrre anticorpi se non per sradicare il male, almeno per attenuarne i danni.
Gli scontri recenti tra gruppi si sono intensificati soprattutto dopo l'indebolimento delle dittature, dovuto al crollo del blocco sovietico e alla moltiplicazione delle tensioni all'interno dei nostri paesi.
Dopo la fine della guerra fredda, il Burundi, il Ruanda e lo Zaire, conoscono una situazione economica drammatica che colpisce in maggioranza e soprattutto la gioventù. Questa deriva viene vissuta sotto forma di insicurezza rispetto all'awenire, alla disoccupazione, alla fame, alla miseria, e provoca così nervosismo, scoraggiamento e rivolta nella popolazione.
Superati dagli awenimenti per aver scelto una gestione dilettantistica del potere nei nostri paesi, basata sul saccheggio sistematico delle ricchezze, i politici si dedicano ai favoritismi, alle divisioni, agli antagonismi, abilmente presentati con un linguaggiO menzognero.
Il sistema dittatoriale funziona così su un fondo di menzogna e di violenza omicida. Il potere fa diventare norma questa mancanza di misura, questa scissione, questa confusione e rovesciamento di valori. Questa menzogna viene imposta con la forza di un'evidenza al di sopra di ogni contestazione. Soprawivere, emergere, in questo sistema è possibile solo a prezzo della complicità con le istanze che sistematizzano la menzogna e la violenza.
Ma poiché il male è incapace di organlizarsi in modo permanente, in un primo tempo, con diversi discorsi, i gestori dei nostri paesi tentano di spiegare alla popolazione ferita che la causa della sua miseria è l'Occidente, i missionari (per il Ruanda e il Burundi), la congiuntura economica mondiale, il calo dei tassi di scambio, ecc. Oggi queste spiegazioni mostrano i loro limiti. Esse non sanno più dare conto della contraddizione originata dal fatto che le stesse persone che affermano che i tempi sono brutti, investono nella guerra, sacrificano le popolazioni civili e aumentano la propria ricchezza visibile, non esitando a vivere nel gran lusso.
Incapaci di presentare un progetto di società che raggiunga l'unanimità, i politici, per coprire la loro mediocrità, aizzano la popolazione contro se stessa sulla base dell'etnia, della regione, della religione, della ricchezza, ecc.
E 'la politica del capro espiatorio che continua a fare v~ttime.
Oggi il potere nel Ruanda è ridiventato a grande maggioranza Tutsi. In un paese dove gli hutu sono rappresentati all'80%, la maggioranza dei deputati sono tutsi, quattro dei sei membri della Corte Suprema sono tutsi, 1'80% dei borgomastri dei comuni sono tutsi, la quasi totalità dei direttori generali dei ministeri, dei professori e degli studenti universitari, dell'esercito e dei servizi segreti... sono tutsi...
Noi ritroviamo qui la situazione del Burundi all'indomani del genocidio hutu del 1972. Situazione che ha costretto gli hutu a darsi alla macchia.
L'attacco all'Est dello Zaire sembra un tentativo per ritardare l'inevitabile rivolta hutu nel Ruanda e per risolvere una questione politica con la forza.
Oggi i bambini, le donne e i giovani sono dispersi su un territorio sempre più vasto. Ciò che diventeranno tra dieci anni dipenderà dall'impegno di tutti i protagonisti locali e internazionali per aiutare a creare una società all'altezza della dignità umana.
TRACCE PER L AVVENIRE
E necessario, nel momento in cui la comunità internazionale sembra percepire il pericolo che rappresenta questa crisi, ricordare alcune tracce avanzate in diversi forum su questa regione, in vista di una soluzione durevole, pacifica, e che prenda in considerazione gli interessi dei gruppi in conflitto.
Non si dirà mai abbastanza che i rifugiati ruandesi e burundesi vogliono tornare a casa loro. Ma per rendere possibile questo bisogna che vengano garantite per essi condizioni di sicurezza. Nel contesto attuale, la presenza di una forza internazionale su questo territorio sembra decisiva.
I diversi responsabili dei genocidi e dei putsch dovranno essere perseguiti e giudicati per i loro crimini nello stretto rispetto di una giustizia imparziale. La questione della nazionalità delle popolazioni zairesi di espressione ruandese dovrà essere chiarificata dopo una operazione di identificazione per distinguere i nazionali dai rifugiati, dagli immigrati illegali e dai clandestini. Anche la questione della vendita delle armi in questa regione dovrà essere affrontata senza ipocrisie e menzogne.
Ma la soluzione finale passa per la creazione in queste regioni di regimi democratici che accettino il principio della alternanza del potere e garantisca il rispetto dei diritti della persona. Oggi né il Ruanda, né il Burundi, né lo Zaire, hanno un governo legittimamente eletto. La persistenza di conflitti continuamente esarcebati è per alcuni leader di questa regione un mezzo criminale per rimandare all'infinito la messa in opera di istituzioni democratlche...
Il ritorno brusco di oltre quattrocentomila rifugiati ruandesi che si trovavano nel Nord Kivu sul milione e duecentomila presente da due anni nell'Est dello Zaire, è certo uno sviluppo inatteso, ma non tocca assolutamente le radici dei conflitti in questa zona. I blocchi continui del processo di intervento in questa regione da parte degli Stati Uniti d'America e le tergiversazioni e il ritardo della comunità internazionale riguardo all'inizio di un intervento umanitario, sono un segno delle complicità dirette a diversi livelli in seno ai poteri occidentali.
Nonostante gli appelli delle ONG (organizzazioni non governative, NdT) umanitarie, del parlamento europeo, dei paesi africani e di altri osservatori esperti della crisi, che ritengono che la comunità internazionale dovrebbe cogliere questa occasione per rivolgere la propria attenzione alle radici dei conflitti nella regione dei Grandi Laghi, nessuna iniziativa seria in questo senso sembra essere in cantiere.
Gli incontri politici, umanitari e militari su questa questione inciampano sugli antagonismi e sulle mire geo-strategiche criminali tra il mondo anglofono e francofono sulla regione. I vincenti qui, come ieri in Somalia e in Liberia, sono le industrie degli armamenti dei paesi occidentali, i signori delle guerre e i dittatori di questa regione. E i grandi perdenti sono la popolazione civile, le donne e i bambini che oggi muoiono a migliaia sulle colline e nelle umide foreste del Kivu.