DALLA RETE DI LILLIPUT
Roma, 9 febbraio 2000
UN'AGENDA PER IL DOPO SEATTLE
COSA NE FACCIAMO DEL WTO DOPO SEATTLE E IL RUOLO DELL'ITALIA
Come era prevedibile, la macchina del dopo Seattle si è rimessa in moto.
Il Consiglio generale della WTO del 7 febbraio, la prima vera e propria riunione politica
del dopo Seattle, ha riavviato i negoziati su due temi, agricoltura e servizi, già in
agenda prima della Terza Conferenza Ministeriale, ma le cui conseguenze circa il rilancio
di un nuovo Round non deve essere sottovalutato.
Come ha ricordato proprio al termine dei lavori del 7 il Direttore generale Mike Moore,
"questi due settori rappresentano metà della ricchezza globale e occupano i due
terzi della forza lavoro planetaria". Dunque la WTO riparte da qui, ma non è tutto.
Pascal Lamy, commissario al commercio dell'UE, è stato tra i primi nelle settimane
passate a rilanciare l'idea che il 2000, nonostante le elezioni in Usa, non debba essere
un anno perduto per rimettere in piedi quanto bloccato a Seattle. Per Lamy bisogna puntare
ad un'agenda più limitata di quella di Seattle, "concentrandosi su una serie di temi
meno controversi e meno visibili".
Nella stessa direzione Mr. Moore: la WTO, ha dichiarato, "dovrà in questi mesi
assumere la posa del cigno, sereno sul ciglio dell'acqua ma capace di sguazzare
furiosamente al di sotto." Dunque, al di fuori dei riflettori pubblici, l'intenzione
è di ricostruire un contesto di fiducia tra i paesi membri che rilanci il negoziato
fallito a Seattle. Il Presidente Clinton, nel suo lungo discorso al World Economic Forum
di Davos, è stato esplicito in questa direzione, compiendo una vera e propria investitura
politica dell'Organizzazione.
AMBIGUITA' DELLA PROPOSTA ITALIANA
E' di queste ore anche la proposta di riforma dell'Organizzazione di cui si sta facendo
latore tra Bruxelles e Ginevra il Ministro Fassino. A quanto se ne può sapere, dai primi
lanci di agenzia, è una proposta che racchiude luci ed ombre.
Molto positiva sembra l'idea di realizzare un'assemblea "costituita da parlamentari
dei paesi membri che potrebbe stabilire un collegamento più fluido tra la WTO e i singoli
parlamenti nazionali". Una richiesta che va nel senso di quello che le 1387
organizzazioni di base, la Rete di Lilliput per l'Italia, chiedevano prima di Seattle
nella piattaforma STOP MILLENNIUM ROUND che ha fatto da base per i lavori del
controvertice. Non si può che giudicare come molto negativa invece l'idea del Ministro di
dare di nuovo vita ad un'agenda "ampia" dei lavori. Occorre di nuovo essere
molto chiari su questo punto. Le organizzazioni di base che hanno contestato con successo
la Terza Conferenza Ministeriale della WTO non sono nemiche delle regole. Non è per
timore di stabilire regole globali che ci opponiamo ad un nuovo Round ampio dentro la Wto.
L'opposizione ad un nuovo Millennium Round è basata sulla constatazione semplice ma
evidente che la WTO non può essere arbitro del gioco perché è a sua volta giocatore.
1) perché non fa parte del sistema Nazioni Unite, che ha anzi esautorato su questi temi;
2) perché le sue regole funzionano a senso unico, "il commercio uber alles", mentre è possibile in Fora diversi scrivere regole diverse, ispirati a priorità diverse come dimostra con grande efficacia la recente vicenda di Montreal, un successo impensabile fino a prima di Seattle;
3) perché tutte le sue sentenze vanno nella direzione unica di favorire le grandi imprese sulla sicurezza dei cittadini, il commercio sull'ambiente naturale, il nord sul sud;
4) perché infine si tratta dell'Organizzazione meno trasparente di tutte, come ha dimostrato a Seattle la vicenda della "stanza verde" da cui erano esclusi i paesi più poveri, la più penetrabile alle influenze delle grandi imprese, la più soggetta ai diktat del cosiddetto QUAD, il gruppo composto da USA, UE, Giappone, Canada.
Seattle ha dimostrato che non è sovraccaricando di temi controversi questa
Organizzazione che si risolvono i problemi di legittimità politica. "Chi vi ha
eletto per scrivere le regole?", si diceva per le strade di Seattle.
O la WTO, i governi, le ong, i sindacati, sapranno formulare una risposta all'altezza di
questa domanda o la crisi di legittimità di questa Organizzazione si farà irreversibile.
Impensabile dunque rilanciare oggi un' agenda ampia, senza aver dato una risposta a questi
problemi di fondo. Per riprendere Clinton a Davos, sarebbe suicida non ascoltare la
sveglia che proveniva dalle strade di Seattle. La proposta di una nuova agenda ampia,
oltre che isolata, ci pare andare in direzione opposta a questo necessario ascolto delle
ragioni della protesta.
COSA CHIEDIAMO DOPO SEATTLE
La vicenda Montreal, la rinegoziazione dei rapporti UE-ACP a Bruxelles in senso meno sfavorevole del previsto, lo spostamento del dibattito sulla globalizzazione su temi più legati alle drammatiche contraddizioni sociali e ambientali che apre l'economia globale, rappresentano il follow-up positivo di Seattle. E' una vera e propria onda lunga su cui Governo, Commissione Europea, WTO, si devono collocare se intendono dare una risposta all'altezza degli interrogativi posti a Seattle dalla rivolta dei paesi del Sud e alle manifestazioni di strada. Un binomio virtuoso che ha provocato il collasso del Vertice. Il quadro di queste possibili riforme deve mantenersi all' interno delle tre richieste di fondo che hanno animato il controvertice di Seattle e la piattaforma Stop Millennium Round, siglata da 1387 organizzazioni di base di 96 paesi:
- RIVEDERE GLI ACCORDI ESISTENTI E I LORO IMPATTI IN MERITO A SICUREZZA DEI
CITTADINI, PAESI POVERI, AMBIENTE
- NESSUN NUOVO TEMA (COME INVESTIMENTI E SPESA PUBBLICA) SOTTO IL REGIME WTO
- RIFORMA DEI MECCANISMI DECISIONALI E DELLA TRASPARENZA DELL'ORGANIZZAZIONE
Come Rete di Lilliput proviamo a prospettare quattro passi concreti, da subito percorribili in questa direzione:
1. AUMENTARE IL CONTROLLO SUI NEGOZIATORI
La vicenda dell'Accordo Multilaterale sugli Investimenti, negoziato in segreto all'Ocse
dai 29 paesi più ricchi, ha trovato triste conferma a Seattle. La pratica della green
room che escludeva i paesi più poveri, il ruolo dei Commissari Europei del tutto
sganciati non solo dai Parlamenti ma anche dai Quindici Ministri (come ha dimostrato
l'inquietante tavolo sulle biotecnologie negoziato dai due Commissari con gli Usa
all'insaputa degli stessi Ministri), la funzione del "Comitato 133" sotto il cui
emblema girava la piattaforma ufficiale della UE (una tipica zona grigia in cui i
consulenti di impresa sono anche collaboratori del Commissario). Il deficit di democrazia
e trasparenza è il primo punto su cui chiediamo al Governo di intervenire, facendosi
latore di una proposta di riforma radicale dei meccanismi decisionali della WTO. Questa
riforma deve contemplare le necessarie misure finanziarie ed infrastrutturali affinche' ai
lavori del WTO possano essere pienamente partecipi i paesi del Sud.
2. RENDERE TRASPARENTE E LIMITARE IL RUOLO DEI PANELS
E' palese che l'influenza della WTO nelle legislazioni interne dei vari paesi si e' fatta
sempre piu' pesante: 170 leggi nazionali modificate, molto spesso a discapito della
sicurezza dei consumatori (carne agli ormoni o amianto), dei paesi del Sud (banane e
Trips), dell'ambiente (tartarughe, il caso più noto) I meccanismi per le risoluzioni
delle controversie costituiscono un chiaro esempio della mancanza di regole di trasparenza
e democrazia. Il WTO consente ad un paese di chiamarne in giudizio un altro accusandolo di
violare le regole del commercio internazionale. Il Tribunale per la risoluzione delle
controversie e' costituito da tre persone che lavorano a porte chiuse. Il paese che perde
la causa puo' cambiare le proprie leggi per adeguarsi alle regole WTO, puo' pagare delle
compensazioni al paese "vincente", oppure affrontare sanzioni commerciali.
Questa situazione deve essere assolutamente modificata. Chiediamo pertanto che:
- tutti i documenti (inclusi quelli informali, i promemoria di esperti e dei membri dello
staff WTO) relativi ai meccanismi di risoluzione delle controversie siano resi
immediatamente disponibili alla consultazione,
- sia stabilito un nuovo meccanismo di risoluzione delle controversie che includa metodi
piu' equilibrati nella selezione degli esperti, con accesso ai membri di organizzazioni di
pubblica utilita' ed esclusione di esperti coinvolti in gravi conflitti di interessi con
imprese multinazionali, nelle quali spesso svolgono anche funzioni di consulenza.
Come dimostra la vicenda di Montreal, ai singoli paesi deve essere consentito il diritto
di fare riferimento a Principi differenti, come il Principio precauzionale, da quelli
sanciti dal GATT prima e dalla WTO in seguito.
3. RIPORTARE LA WTO IN AMBITO NAZIONI UNITE
Nella terza conferenza interministeriale del WTO a Seattle, l'Unione Europea, in
particolare il Regno Unito, con il Brasile ed alcuni paesi africani, hanno proposto la
realizzazione di una speciale conferenza da tenersi entro il 2000 focalizzata sulla
riforma delle regole del WTO e con lo scopo di incrementare efficienza, trasparenza e
democrazia. Non ci sembra corretto che sia il WTO a innovare se stesso. Riteniamo
ovviamente che la proposta abbia un suo valido fondamento perche' i meccanismi di
funzionamento del WTO certamente non facilitano ne' la trasparenza, ne' la democrazia
dell'organizzazione. Chiediamo che la Commissione ONU sullo sviluppo sostenibile si occupi
del problema del funzionamento del WTO e delle sue strette connessioni con tutte le
problematiche ambientali e sociali della sostenibilita'. Il funzionamento del WTO non
risponde ai principi contenuti nell' "Agenda 21",il master plan dello sviluppo
sostenibile per il 21° secolo approvato dalla conferenza ONU su ambiente e sviluppo di
Rio de Janeiro del 1992 e ratificato dall'Assemblea generale dell'ONU nel dicembre dello
stesso anno. Chiediamo inoltre che, in sede ONU, si proceda a trasformare l'attuale
Programma Ambiente (UNEP - United Nations Environment Programme), nato a seguito della
conferenza ONU sull'ambiente umano tenutasi a Stoccolma nel 1972, in una vera e propria
WEO (World Environment Organization) dotata di poteri piu' forti e finanziamenti piu'
consistenti, che possa fornire i limiti ambientali entro cui si deve muovere il commercio
internazionale.
4. UN NUOVO CONTRATTO CON IL SUD
Per implementare gli accordi dell'Uruguay Round, ogni anno i 48 paesi poveri pagano al
Nord del mondo 1 miliardo di dollari, secondo i dati Unctad. È urgente trovare degli
strumenti per rilanciare l'economia di questi paesi, sempre più marginalizzati,
nonostante le promesse non mantenute, dai circuiti dell'economia globale. L'abolizione dei
dazi (duty free) per i 48 paesi più poveri, di cui lo stesso ministro Fassino si era
fatto portavoce prima di Seattle, è un necessario punto di partenza, benché
insufficiente, per riaprire un dialogo serio con questi paesi. Per evitare, come ha
dichiarato il Direttore dimissionario del FMI Michel Camdessus a Seattle, che anche le
proposte di cancellazione del debito di cui pure si discute in queste settimane, vengano
vanificate da regole commerciali inique che penalizzano i più deboli.
Spiace constatare che va in direzione del tutto contraria la decisione di ieri dell'UE di
imporre nuovi dazi e misure anti dumping a numerosi paesi tra cui il Sudafrica. Se l'UE
vuole giocare un ruolo di leadershp in questo processo di riforma, deve cambiare
radicalmente lunghezza d'onda.
LIMITI DELL'INIZIATIVA DEL GOVERNO ITALIANO PER LA CANCELLAZIONE DEL DEBITO
Il Consiglio dei Ministri ha presentato, il 18 dicembre 1999, il disegno di legge
"Misure per la riduzione del debito dei paesi a più basso reddito e maggiormente
indebitati". Il provvedimento è un passo importante; la proposta fa seguito agli
impegni internazionali ed ha un importante valore politico e può rendere ancora più
decisa la strada intrapresa dal nostro paese per la promozione dei diritti umani,
economici, sociali nell'intero pianeta.
Riteniamo che il disegno di legge vada sottoposto al più presto alla discussione del
Parlamento ed al confronto con la società civile, per migliorare le norme previste.
Infatti, le misure predisposte con il provvedimento non appaiono adeguate all'obiettivo di
intervenire efficacemente e rapidamente per affrontare la crisi del debito che costituisce
una mortale minaccia alla vita ed al futuro di milioni di persone nel mondo.
Sono diversi gli aspetti del provvedimento che possono essere migliorati, per rispondere
agli impegni internazionali e per assumere un coraggioso ruolo di stimolo nei confronti
degli altri paesi creditori. Per quello che riguarda le misure di cancellazione,
segnaliamo:
a) il provvedimento riguarda solo alcuni dei paesi più poveri ed altamente indebitati
(quelli sotto la soglia dei $300 di reddito pro-capite annuo);
b) i 3000 miliardi che vengono cancellati sono già considerati inesigibili, cioè non
pagabili dal debitore, quindi non si metteranno a disposizione risorse per lo sviluppo dei
paesi interessati;
c) si tratta di un provvedimento una tantum, che non stabilisce meccanismi per eventuali
future cancellazioni;
d) i meccanismi ed i tempi della cancellazione non sono definiti nel provvedimento;
e) non esistono procedure di trasparenza su questi crediti e sugli altri vantati
dall'Italia.
Siamo convinti che si debba lavorare su questo provvedimento, anche se non è quello che
avremmo voluto. Stiamo elaborando quindi alcune proposte che consentano di rendere
efficace l'applicazione dei principi contenuti nel disegno di legge, e che prevedano i
passi per future cancellazioni, per la trasparenza, per la consultazione della società
civile -sia del nostro paese che dei paesi "beneficiari"-, per la cancellazione
e per la costruzione di rapporti di cooperazione di tipo diverso in futuro. Per
sollecitare la discussione della legge abbiamo messo a punto diversi strumenti, oltre ad
una serie di incontri politici cui ci prepariamo a partecipare.
LINEE GUIDA SUGLI INVESTIMENTI E CREDITI PER L'ESPORTAZIONE
"La prossima riunione ad-hoc dell' "OECD Working Party on Export
Credits" sull'ambiente che si terra' a Parigi il 24 e 25 febbraio prossimi, fornisce
l'occasione per dar seguito ad alcuni impegni presi dal nostro Paese in ambito OCSE e G7
per la definizione di procedure di impatto ambientale per le attività delle agenzie di
credito all'esportazione (ECA) , nel caso dell' Italia di SACE e SIMEST.
Argomento questo di gran rilevanza anche perché nel corso dell'ultimo Summit di Colonia,
i governi dei G7 si sono impegnati a concludere entro il 2001, anno in cui il vertice si
terrà in Italia, un processo di armonizzazione delle linee guida socio-ambientali delle
ECA. La mancanza di un "corpus" normativo omogeneo, che definisca parametri e
standard socio-ambientali universalmente applicabili da tutte le Agenzie di Credito
all'export permette alle imprese di partecipare così ad una "corsa al ribasso"
dei costi sociali ed ambientali. Le agenzie di credito all'esportazione hanno potuto
sostenere o sosterranno così progetti che altre istituzioni, quali le Banche
Multilaterali di Sviluppo (Banca Mondiale ed altre) si sono rifiutate di finanziare a
causa dell'elevato impatto ambientale e sociale. Progetti che comporteranno lo spostamento
forzato di migliaia di persone, e la distruzione di tesori culturali, come nel caso della
gigantesca diga di Ilisu nel Kurdistan turco.
Oppure che attraverseranno preziose foreste tropicali, ed ecosistemi unici quale il
Pantanal brasiliano, come nel caso della Bolivia-Brasil Gas Pipeline, il più grande
progetto di sviluppo infrastrutturale dell'America Latina, per il quale la SACE si é
impegnata ad una copertura per un valore totale di 404 milioni di dollari. O centrali
nucleari quali quella di Akkuyu in Turchia o altri impianti che utilizzeranno combustibili
fossili, quali la centrale a carbone da 700 MW di Changsha in Cina, per la quale la SACE
fornirebbe una copertura di rischio politico.
Il problema per il nostro Paese è che né SACE né SIMEST dispongono al momento di
procedure di Valutazioni di Impatto Ambientale , o di linee guida socio-ambientali che
possano garantire la conformità delle operazioni e degli investimenti garantiti a criteri
di sostenibilità universalmente riconosciuti, quali ad esempio quelli gia' applicati
dalla Banca mondiale per gli investimenti privati o quelli formulati ed adottati dal
"Development Assistance Committee (DAC)" dell' OCSE. Il Centro Internazionale
Crocevia, in collaborazione con la Campagna per la riforma della Banca Mondiale lancia una
campagna nazionale per la riforma del credito all'esportazione, affinche' vengano
garantite trasparenza, controllo pubblico e sostenibilita' ambientale degli investimenti
privati del nostro paese all'estero."
UNA TASSA GIUSTA: LA TOBIN TAX
La liberalizzazione dei mercati finanziari ha portato ad una crescita abnorme
dell'economia finanziaria rispetto all'economia reale (il rapporto è di 80 a uno!). Ogni
giorno sui mercati dei cambi vengono scambiati 1800 miliardi di dollari, di cui più del
95% è collegato ad attività di natura speculativa.
Questo genera un forte clima di incertezza economica e di instabilità, di cui le recenti
crisi finanziarie internazionali sono solo l'ultimo esempio. E' urgente che i governi
introducano meccanismi di controllo di fenomeni deleteri come la speculazione, promuovano
crescita e stabilità economica e distribuiscano in maniera più equa il gettito fiscale.
Una misura che può essere considerata come un primo, ma importante passo verso una
riforma globale del sistema
finanziario internazionale è un'imposta del tipo Tobin. Si tratta di un prelievo
limitato, pari allo 0,05-0,01% da applicare a tutte le transazioni valutarie.
Un'aliquota così bassa non disincentiverebbe gli investimenti produttivi e di medio-lungo
periodo, mentre renderebbe più costosi quelli speculativi e di breve periodo,
contribuendo a disincentivarli. Secondo una stima prudente, attraverso questa tassa, si
potrebbe raccogliere tra i 90 e i 100 miliardi di dollari l'anno, una cifra che
corrisponde al doppio di quanto viene oggi destinato alla cooperazione allo sviluppo. Il
gettito sarebbe raccolto a livello nazionale dalle Banche Centrali che ne tratterrebbero
fino all'80% per attività nazionali (servizi sociali, programmi per l'occupazione),
destinando poi il restante 20% per attività internazionali (cooperazione, tutela
dell'ambiente, ecc.).
Roma, 9 febbraio 2000
RETE DI LILLIPUT: Aifo, Beati Costruttori di Pace, Bilanci di Giustizia, Campagna chiama l'Africa, Campagna mai dire al MAI, Campagna Globalizza-azione dei popoli, Centro Nuovo Modello di Sviluppo, CoCoRiCò, CTM Altromercato, Mani Tese, Nigrizia, Pax Christi, Riforma della Banca Mondiale, WWF.