Affrontare il dilemma dell’intervento
di Kofi AnnanNel mio indirizzo all’Assemblea Generale dello scorso Settembre, ho invitato gli Stati Membri a unirsi nella ricerca di politiche più efficaci per fermare le uccisioni organizzate di massa e le patenti violazioni dei diritti umani. Nonostante io abbia messo in rilievo il fatto che quell’intervento abbracciava un ampia possibilità di risposte, che andavano dalla diplomazia alla risposta armata, è stata quest’ultima opzione a causare la maggior parte delle controversie nel dibattito che ha fatto seguito al mio intervento.
Alcune critiche erano mosse da persone preoccupate del fatto che il concetto di "intervento umanitario" potesse diventare una copertura per attuare delle interferenze gratuite negli affari interni di stati sovrani. Altri trovavano che questa dottrina potrebbe incoraggiare dei movimenti separatisti nel provocare deliberatamente i rispettivi governi per fargli compiere gravi violazioni dei diritti umani, così da rendere necessario un intervento esterno che potrebbe contribuire al successo della loro causa. Altri ancora hanno notato che c’è poca coerenza nella pratica dell’intervento umanitario, a causa delle difficoltà e dei costi intrinseci delle operazioni, come pure di quelli che vengono percepiti come interessi nazionali — eccettuato il fatto che gli stati deboli sono più facilmente soggetti a questo genere di intervento rispetto a quelli più forti.
Riconosco tanto la forza quanto l’importanza di questi argomenti. Accetto inoltre il fatto che il principio di sovranità e di non interferenza offra una protezione essenziale agli stati piccoli e a quelli deboli. Ma vorrei porre una domanda a questi critici: se l’intervento umanitario rappresenta, in verità, un attacco inaccettabile alla sovranità nazionale, come dovremmo comportarci nel caso di un Ruanda, o nel caso di una Sebrenica — ovvero nel caso di grossolane e sistematiche violazioni dei diritti umani che offendono ogni principio della nostra comune umanità?
Dobbiamo affrontare un vero dilemma. Pochi tra voi non saranno d’accordo sul fatto che tanto la difesa dell’umanità, quanto la difesa della sovranità nazionale rappresentino dei principi che debbono essere difesi. Purtroppo, questa constatazione non ci dice quale principio debba avere la meglio quando essi sono in conflitto.
L’intervento umanitario è davvero un tema delicato, che presenta una serie di difficoltà politiche e che non è suscettibile di ottenere delle risposte semplici. Ma, di sicuro, nessun principio legale — neanche la sovranità nazionale — potrà mai fungere da scudo per i crimini contro l’umanità. Nel caso in cui vengano compiuti dei crimini di questo genere, e tutti i tentativi pacifici di fermarli siano stati esauriti, il Consiglio di sicurezza ha il dovere morale di agire in nome della comunità internazionale. Il fatto che noi non siamo in condizione di proteggere le persone ovunque esse si trovino, non costituisce una ragione per non intervenire laddove possiamo. L’intervento armato deve sempre rimanere l’ultima risorsa, ma di fronte agli eccidi di massa è un’opzione cui non possiamo rinunciare a priori.
estratto dal Millennium Report del Segretario Generale dell'ONU "Noi i Popoli: il ruolo delle Nazioni Unite nel ventunesimo secolo", presentato all'Assemblea Generale (A/54/2000)
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