Iraq: per gli ostaggi si ipotizza uno "scenario spaventoso"
E' un mese che tre italiani - Salvatore Stefio, Umberto Cupertino e Maurizio Agliana - sono prigionieri delle Falangi verdi di Maometto nel triangolo Bagdad, Falluja, Abu Ghraib. E' poco meno d'un mese che Fabrizio Quattrocchi è stato ucciso con un colpo alla nuca mentre sfida il suo assassino: "Ti faccio vedere come muore un italiano". Le anomalie possono esser la chiave per ripercorrere questi giorni bui. Se isoliamo le tre fasi in cui è stata scandita l'azione dei mujahiddin e l'iniziativa dell'intelligence italiana che ne è seguita, rintracciamo in ogni fase alcune evidenti anomalie che chiedono di trovare una ragione.
Le tre fasi della crisi possono essere queste. 1. Il sequestro e il ricatto pubblico (9/13 aprile). 2.
Trattative e ottimismo del governo (13/23 aprile). 3. Il nuovo ricatto, lo sgomento del governo (dal 26 aprile ad oggi).
* * *
Se si rimettono in ordine gli avvenimenti di quei giorni, si ha come la sensazione che gli italiani, proprio quegli italiani lì, dovessero essere rapiti. Si ha la sensazione che, in qualche modo, lungo l'autostrada Bagdad-Falluja molti sapessero che quattro italiani sarebbero stati sequestrati. E' un fatto che, venerdì 9 aprile, si diffonde la voce che "quattro vigilantes" italiani sono caduti nelle mani dei "combattenti" (il giorno dopo, a Genova, già comincia a circolare il nome di Fabrizio Quattrocchi).
La notizia del sequestro è un falso che viene raccontata a un giornalista della Reuters, ma è ancora un fatto che, proprio quel venerdì 9, Quattrocchi, Stefio, Cupertino e Agliana avevano deciso di raggiungere Amman in auto. Tra le voci e la realtà, ci sono dunque tre coincidenze rilevanti. Gli italiani dovevano mettersi in viaggio quel venerdì. Erano in quattro e, proprio come anticipato, il loro mestiere, che oggi viene definito BG/CP, body guard/close protection, in quelle ore lo si poteva definire di "vigilantes". Quattrocchi, Stefio, Cupertino e Agliana decidono di non partire quel giorno. Dice il loro "reclutatore", Paolo Simeone: "Quel venerdì, cadeva l'anniversario della "presa di Bagdad". L'intelligence del Cpa (l'autorità governativa guidata dagli americani) segnalava una giornata difficile. Così Fabrizio, che aveva il compito di organizzare il convoglio, si lasciò convincere a rinviare la partenza a lunedì 12 aprile". La ragione del rinvio sta in piedi a fatica.
Nell'area, che i quattro dovevano attraversare, era in corso la più sanguinosa battaglia dall'inizio dell'invasione dell'Iraq. Difficile pensare che, da quelle parti, un giorno sarebbe stato più violento di un altro. Intorno a Falluja, tutti i giorni lo erano in quelle settimane.
Ancora anomalie. Fabrizio Quattrocchi è forse l'italiano più esperto in sicurezza che c'è in quei giorni a Bagdad, eppure sembra infilarsi con gli occhi bendati dentro la trappola che gli è stata tesa. La mattina del lunedì dinanzi all'hotel Babil non si presentano le due veloci e anonime Caprice che ha prenotato, ma un gippone. Vistosissimo.
Nonostante l'evidente pericolo a cui esponeva quella jeep, Quattrocchi decide di partire. Si arma con tre mitra pesanti. A un posto di blocco, una pattuglia americana glieli sequestra. Quattrocchi commette il secondo errore. Ritorna al Babil e si arma con un mitraglietta leggera e due pistole. Sono già le nove del mattino. Terribilmente tardi per chi deve affrontare un viaggio di 18 ore.
Quattrocchi parte lo stesso. Ora va detto che, come non c'era nessun motivo per non partire il 9, non c'era nessun motivo per muoversi con tanta fretta il 12. Fabrizio doveva raggiungere il suo amico Luigi Valle ad Amman. Poteva ritardare 24 ore: Amman è un buon posto per attendere. Stefio doveva partecipare a un meeting in Confindustria programmato per il 28 aprile. Non c'era alcuna fretta. Perché allora partire? E in quelle condizioni di sicurezza e in un'ora così tarda e pericolosa? Partono, comunque.
Dove sono stati rapiti? Nei dintorni di Abu Ghraib, come era stato annunciato dalle voci del 9 aprile o nei pressi di Falluja? Ma davvero hanno preso la strada per Falluja o hanno preferito girare al largo della "città martire" scegliendo il tragitto più lungo: Bagdad/Samara/Tikrit/Ramadi? Nessuno è in grado di dirlo. Anche qui però conviene registrare qualche fatto e un'anomalia.
I quattro sono d'intesa con il "reclutatore" che daranno un colpo di telefono ogni due ore. Non si faranno mai sentire (il che sembra dirci che possono essere stati sequestrati anche alla periferia di Bagdad) e tuttavia non c'è alcun allarme per tutto lunedì. Il "reclutatore" tace. Luigi Valle attende ad Amman. L'allarme scatta soltanto soltanto martedì 13, poche ore prima che Al Jazeera faccia vedere i volti e i corpi dei sequestrati circondati da uomini in arme che lanciano un proclama: il governo italiano ritiri subito dall'Iraq le sue truppe.
* * *
Uccidono Fabrizio Quattrocchi subito. Perché? C'è una spiegazione minimalista. Fabrizio è furente per non aver previsto i guai, per esserci finito dentro come uno sprovveduto. Protesta. Affronta i suoi carcerieri.
Ma la ragione dell'esecuzione di Fabrizio potrebbe essere anche un'altra. Fabrizio era già, da quel venerdì 9, la vittima designata. E quello che i sequestratori gli trovano addosso può averlo condannato: armi, scarpe e mimetiche delle forze armate statunitensi, computer, un "pass" per entrare armato nell'"area verde" dove a Bagdad sono i compound della coalizione.
Come sia, la morte di Quattrocchi curiosamente convince il governo che c'è un varco per "una comunicazione" che rafforzi le nostre scelte di politica estera e la presenza in Iraq e isoli l'opposizione interna e il movimento pacifista. Il ministro degli Esteri utilizza l'esecuzione per un penoso show a "Porta a Porta" e i giorni successivi confermano che il governo vuole utilizzare il sequestro a scopi politico-propagandistici. Nei dintorni di Palazzo Chigi si fa mostra di grande ottimismo. Il governo sembra giocare sul velluto una partita di cui già sembra già conoscere il risultato. Perché? Ecco un'altra anomalia.
Che cosa suggerisce a Berlusconi e ai suoi ministri di muoversi, fin dalle prime ore della crisi, con il registro della fiducia? In apparenza, la diplomazia segreta di Roma, che ha la sua punta di lancia in Domenico Castellaneta, si muove tra Iran e Siria per trovare il bandolo della matassa. In realtà, l'uomo-chiave sarebbe un agente del servizio segreto di Saddam (Muhabarat) per molti anni in attività in Italia e, da tempo, al soldo e fonte del Sismi. E' il "doppiogiochista" che stabilisce il contatto con chi può garantire la liberazione degli italiani. Sono le sue assicurazioni che permettono di snobbare la mediazione degli Ulema e di rinvigorire l'ottimismo governativo che, nella notte di lunedì 19 raggiunge il punto più alto. Non c'è uomo di governo in quella notte (nel pomeriggio il direttore del Sismi Nicolò Pollari ha annunciato a Gianni Letta la liberazione degli ostaggi) che non assicuri e riassicuri che "nelle prossime ore gli ostaggi saranno liberi".
Le cose, nelle intenzioni di Roma, dovrebbe andare così. Il convoglio della Croce Rossa che, martedì 20, raggiunge Falluja ha dentro di sé, come un cavallo di Troia, un robusto pacco di denaro e un emissario. Giunti nella città assediata, l'emissario con il denaro va incontro all'"ambasciatore" dei sequestratori. Dovrebbero tornare con gli ostaggi. Scompaiono tutti tra le stradine di Falluja. Emissario sparito. Denaro sparito. Ostaggi lontani, chi lo sa dove, chi lo sa nelle mani di chi.
L'operazione vincente diventa una catastrofe. Politica, mediatica, umana.
L'aereo del Sismi che è già pronto sulla pista dell'aeroporto di Bagdad resta desolatamente vuoto. Come la sala stampa attrezzata a Ciampino per accogliere l'abbraccio del capo del governo agli ostaggi. Mentre Berlusconi è costretto ad ammettere che ci sono degli "intoppi" (è ormai il 21 aprile), dal carro dell'operazione che doveva essere in pochi giorni vincente cominciano a scendere un po' tutti con gran ressa e maggiore velocità. Addirittura con una inusuale nota pubblica, anche il Sismi che accusa la stampa di danneggiare il lavoro di mediazione e di trattativa. Finisce così la seconda fase del sequestro. Comincia la terza. E' ancora in corso, è la più difficile, la più pericolosa.
* * *
C'è ora un momento di panico a Roma. Che cosa si può fare? Che cosa si deve fare? La crisi degli ostaggi non può essere più affrontata come una corsa di cui si conosce già il vincente, ma è problematico a questo punto fermare la macchina in movimento (famiglie dei prigionieri in diretta tv, attesa dell'opinione pubblica, annunci fiduciosi...). L'intelligence si rimette al lavoro. Avverte che i tempi saranno lunghi. Il governo fa lo stesso.
Riprendono i contatti con il mondo arabo. Iran, e sciiti vicini a Teheran. Siria, e sunniti vicini a Damasco. Ex baathisti di Bagdad e Falluja. Curdi di Talabani e curdi di Barzani. Capi tribù e capi banda. I teologi del Consiglio degli Ulema. Un garbuglio di contatti e una disponibilità a trattare che preoccupa gli americani.
Troppo rumore. Troppa debolezza. Un rischio che va subito eliminato. Colin Powell ne parla, (pare) a muso duro, al ministro degli esteri Frattini in un incontro a Washington. Nessuna trattativa è possibile con i terroristi, spiega il segretario al Dipartimento di Stato. Il capo dell'Antiterrorismo del Dipartimento, Cofer Black, lo dice in chiaro ai giornalisti italiani: "La nostra politica è: nessuna concessione. La nostra esperienza ci insegna che il giorno in cui ci si siede a negoziare si rinuncia alla propria libertà. Per quel che ci riguarda, c'è una sola opzione: localizzare la prigione e liberare gli ostaggi. Noi siamo pronti a fornire all'Italia il nostri aiuto e i nostri mezzi".
E' l'ipotesi del blitz che anche i nostri 007 cominciano a valutare mentre si riaccendono a Bagdad i cellulari degli ostaggi. "Hallo!.." , risponde una voce al telefono di Umberto Cupertino. E' il segno che qualcosa si sta muovendo. Il giorno dopo nuovo messaggio da Al Arabija. 26 aprile, "Un gruppo che dice di chiamarsi la Falange Verde ha fatto sapere che li rilascerà se in Italia saranno organizzate manifestazioni di protesta contro la politica del governo in Iraq. Il gruppo ha dato cinque giorni agli italiani per tenere le proteste, altrimenti uccideranno gli ostaggi". Dopo la marcia verso San Pietro e le parole del Papa ("In nome dell'unico Dio, liberateli") , ancora un messaggio. 30 aprile. Al Jazeera: "I sequestrati stanno bene e la marcia è stata un fatto positivo, ma il governo italiano deve intercedere per la liberazione dei prigionieri nel Kurdistan". Sono parole che confermano le analisi più pessimiste sullo sviluppo delle crisi. Annunciano una "gestione" del sequestro più "politica", più orientata sull'agenda politica italiana (c'è chi conosce l'italiano tra i sequestratori). Sono parole che minacciano di estendere il ricatto fino a date cruciali per il nostro Paese. 12/13 giugno, elezioni europee. 4 giugno, George W. Bush in Italia per celebrare i sessanta anni della liberazione di Roma. Ammesso che il presidente venga davvero in Italia come, con cautela, dicono al Dipartimento di Stato, il 4 giugno è una data che potrebbe intrecciare il destino dei tre prigionieri con le mosse del presidente degli Stati Uniti.
Una possibilità che a Washington ritengono "scary scenario", lo scenario spaventoso. Uno scenario che è ancora più spaventoso per il destino di Salvatore Stefio, Umberto Cupertino, Maurizio Agliana.