Deus caritas est
Pasqua 2006
Papa Benedetto XVI ci ha regalato la sua prima enciclica, firmata il 25 dicembre 2005. Essa costituisce una elevata meditazione sull'amore, ribadendone la centralità nell'ambito della fede cristiana, che tutta poggia sul dialogo di amore tra Dio e l'uomo: "all'inizio dell'essere cristiano non c'è una decisione etica o una grande idea, bensì l'incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva". E' un'impresa ardua sintetizzare quest'opera meravigliosa che è stata definita " un grandioso quadro rinascimentale a due piani: sul primo piano, in alto, l'amore di Dio e sul secondo, in basso, il riflesso di questo amore nel cuore dell'uomo e nell'azione della Chiesa verso l'umanità intera." L'enciclica si divide in due parti: la prima, più speculativa, si focalizza sull'amore divino e l'amore umano e sul rapporto inscindibile fra essi e l'altra, più concreta, illustra l'esercizio ecclesiale del comandamento dell'amore verso il prossimo. Il Papa, nello scandagliare il significato della parola amore nella sua accezione di eros e di agape, arriva ad affrontare uno dei temi più discussi dall'uomo moderno, ossia il rapporto tra Cristianesimo e corporeità e quindi la vexata quaestio: il Cristianesimo ha distrutto l'eros e la corporeità? Orbene il Papa illustra in maniera egregia come l'eros " ha bisogno di disciplina, di purificazione per donare all'uomo non il piacere di un istante, ma un certo pregustamento del vertice dell'esistenza". Senza l'agape inteso come " amore fondato nella fede e da essa plasmato", amore che si dona, l'eros, amore di concupiscenza, finisce per essere "degradato a puro sesso", diventando così una merce. Se uniti, eros e agape trovano una sintesi perfetta, un'unità di concezione dell'amore di donare all'altro e di ricerca dell'altro. Quindi il Cristianesimo non è mai stato avversario della corporeità, ma ha sempre contestato la degradazione dell'eros a puro mercimonio del corpo, esaltando invece l'uomo come " essere uni-duale" nel quale spirito e materia si compenetrano a vicenda sperimentando ambedue una nuova nobiltà". L'eros deve superare il suo carattere egoistico e diventare cura dell'altro, ricerca del bene dell'amato. Di questo amore così inteso fanno parte l'esclusività ("solo quest'unica persona") e la perennità, nel senso del "per sempre" fino all'eternità. Per questo, ha commentato un teologo, l'amore è estasi non tanto come momento di ebbrezza, ma come cammino ed esodo permanente dall'io chiuso in se stesso verso il dono di sé e verso il ritrovamento di sé e la scoperta di Dio, perché l'amore inteso così pienamente conduce sempre a Dio. Quindi tanto più queste due dimensioni dell'amore entrano nella giusta unità, tanto più si realizza la vera essenza dell'amore ed è per questo che il matrimonio diventa il simbolo dell'amore umano tra i più efficaci per evocare il mistero dell'amore divino. Nel matrimonio, infatti, "avviene che l'eros si trasforma in agape, che l'amore per l'altro non cerca più se stesso, ma diventa preoccupazione per l'altro, disposizione al sacrificio per lui e apertura anche al dono di una nuova vita umana". Ma se Dio è amore, i cristiani sono persone che amano perché sono persone amate, "diletti di Dio". E da qui scturisce uno degli altri punti cardini dell'enciclica e della nostra fede: il legame inscindibile tra amore di Dio e amore del prossimo. Non si può amare Dio se non si ama il prossimo, l'amore per il prossimo è la strada per incontrare Dio. Il Papa ci ricorda che "io amo in Dio e con Dio anche la persona che non gradisco o neanche conosco….allora imparo a guardare l'altra persona non più soltanto con i miei occhi e con i miei sentimenti, ma secondo la prospettiva di Cristo". Ed il Pontefice ci ricorda anche che "se nella vita tralascio completamente l'attenzione per l'altro, volendo essere solo pio e compiere i miei doveri religiosi, allora si inaridisce anche il mio rapporto con Dio". E questa unione inseparabile tra amore di Dio e amore per gli altri trova il suo segno più alto nel sacramento dell'Eucaristia, che ha proprio anche carattere "sociale" perché nell'incontro con Dio noi ci uniamo ai fratelli. Mi scuso con i lettori per aver così maldestramente riassunto una delle encicliche più belle ed edificanti. Invito tutti, però, a fare esperienza diretta delle parole del Papa per tornare a toccare con mano il significato e la grandezza dell'essere cristiani. Lucia