A proposito di sacerdozio
Novembre 2006
Vi sono questioni, poste dalla modernità, che interrogano, in modo più o meno sotterraneo, la coscienza dell’ultimo dei fedeli come delle gerarchie ecclesiastiche, e una di queste è senza dubbio l’apertura del sacerdozio alle donne. Le considerazioni in proposito che seguiranno, però, non hanno alcuna pretesa teologica e dottrinale: esse vogliono piuttosto essere un’opinione, un parere che Perpetua, ovvero la fedele della strada, di buon senso, dà al suo don Abbondio, ovvero al Magistero, sebbene bisogna riconoscere che... se don Abbondio avesse seguito il consiglio di Perpetua di rivolgersi al Cardinale Federigo, la trama dei Promessi Sposi non sarebbe andata molto avanti! La questione, dunque, ha visto scendere in campo contrari e favorevoli con un ampio ventaglio di argomenti. Quelli dei primi vanno dall’obiezione serissima, fermissima e ufficiale della Chiesa (nonostante le notevoli aperture di Giovani Paolo II al “genio femminile”) secondo la quale poiché la persona di Gesù Cristo, nel cui nome e per la cui autorità, il sacerdote svolge il suo ministero, è un essere umano di sesso maschile storicamente ed univocamente ben determinato, un sacerdote di sesso femminile non rispecchierebbe abbastanza la fonte da cui trae origine il ministero stesso, a quella, tra lo scherzoso e il discriminatorio, secondo cui una donna non potrebbe essere un buon sacerdote perché finirebbe con lo spifferare in giro i segreti ricevuti in confessione data la sua natura pettegola... con buona pace di quelle donne medico o avvocato che fanno coscienziosamente il loro lavoro e al cui segreto professionale il segreto confessionale si avvicina. Quelli dei secondi, invece, si richiamano alla parità generale tra uomini e donne da raggiungere in tutte le professioni e quindi anche in quella sacerdotale, all’esempio delle Chiese luterana e valdese (ma non l’anglicana) che hanno già aperto i loro ranghi pastorali alle donne, alla progressiva penuria di sacerdoti dovuta alla crisi delle vocazioni e persino alla presunta presenza della Madonna, peraltro non confermata dai Vangeli canonici, all’Ultima Cena, durante la quale è stato istituito il sacerdozio cristiano propriamente detto (come sembra che abbia invece immaginato Leonardo nel Cenacolo dipingendo vicino a Cristo un personaggio, fino ad oggi identificato come l’apostolo Giovanni, con un volto uguale a quello di una sua Madonna). Ora, più che su questi aspetti, tutti più o meno umani, se proprio si vuol trovare un argomento valido a sostegno di tale tesi, si dovrebbe invece focalizzare l’attenzione sulla Parola di Dio ed in particolare su un’espressione che Gesù usa quando parla di se stesso, della propria missione e delle sue conseguenze, ossia “Figlio dell’uomo”, espressione che ricorre per ben 27 volte nel Vangelo di Matteo, per 14 volte in quello di Marco, per 13 in quello di Giovanni e per ben 25 volte in quel Vangelo di Luca che non a caso, sia detto per inciso, è stato scelto dal nostro Arcivescovo per essere distribuito ai turisti in visita nella diocesi, visto lo sforzo dichiarato dell’Evangelista di cultura greca di reinserire la vita di Cristo nella Storia degli anni in cui visse, grazie al metodo annalistico tipico degli storici greci (infatti nel racconto vengono spesso inserite le date degli avvenimenti più significativi, espresse con il riferimento al numero dell’anno di regno di chi governava). Questa frase indica che Gesù si sente appunto un “figlio d’uomo” (l’uso della preposizione semplice potrebbe essere più significativo), un rappresentante dell’Umanità, un campione innocente della specie umana, un tenero e nuovo germoglio del grande albero umano da sacrificare a Dio per la salvezza, “...poiché – come osserva San Paolo in 1COR. 15,21 – se a causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti…” Se questo è vero, e dunque Cristo rappresenta nel Suo sacrificio l’intera Umanità e se non v’è dubbio che l’Umanità è formata da donne e uomini, perché il Rappresentante per eccellenza dell’Umanità non potrebbe essere, a sua volta, degnamente rappresentato, nel quotidiano rinnovamento del Suo sacrificio salvifico di rappresentanza che viene ogni giorno compiuto sugli altari di tutto il mondo, da sacerdoti appartenenti ad entrambi i generi di quella Umanità da Lui rappresentata? Ecco allora che, forse, in questi termini, parlare di sacerdozio femminile non è né uno slogan rivoluzionario, né una tentazione demoniaca, né una cassandrata, una profezia di sventure, ma la semplice anticipazione di una realtà, magari futura e di lentissima accettazione da parte della Chiesa, ma inevitabile, perché in fondo prevista negli scenari di Dio. PERPETUA
Cara Perpetua, leggo volentieri le tue riflessioni circa la possibilità del sacerdozio alle donne anche se stento a pensare che uomini tanto illuminati dallo Spirito lungo i secoli della vita della Chiesa si siano chiusi nella loro gretta idea di escludere le donne da tale dignità o mi meraviglia come donne eccezionali di santità grandiosa (e ne sono veramente tante) non abbiano mai avanzato una simile ipotesi al Papa. Al sacerdozio hanno ammesso le donne la chiesa Luterana e altre chiese d’America e d’Europa. Questa scelta ha dato la possibilità alla Chiesa Cattolica di riflettere molto su tale problema, per questo già nel 1976 la S. Congregazione della Fede si pronunciava con il documento Inter insigniores riaffermando l’impossibilità di dare l’Ordine sacro alle donne, basandosi sul fatto della Tradizione, sull’atteggiamento di Gesù, sulla prassi degli Apostoli e illuminando la dimensione del sacerdozio ministeriale in una prospettiva cristologica ed ecclesiologica. Tra l’altro, contro una visione socio-democratica del servizio sacerdotale che investe il prete al di là del sesso, la dichiarazione afferma che non bisogna dimenticare che il sacerdozio non fa parte dei diritti della persona, ma dipende dall’economia del mistero di Cristo e della Chiesa. La funzione del sacerdote non è concepibile come una funzione ambita nella società o come una promozione umana. Nessun progresso puramente umano della società o della persona può di per se stesso darvi accesso: si tratta di un ordine diverso. Gesù non ha concesso l’Ordine nemmeno a Sua Madre, che pur è stata scelta dal Padre per un ruolo così importante e determinante per la storia della salvezza. Si tratta allora di ritornare a riflettere attentamente sulla dimensione antropologica ed esistenziale dell’uomo e della donna perché ognuno viva il proprio ruolo nella giusta dimensione proprio come il Creatore aveva pensato all’inizio, in vista di un totale completamento dei due. La confusione dei ruoli porterebbe a snaturare l’esercizio di essi e a compromettere seriamente la felicità dell’uomo e della donna e quindi il compimento della volontà del Creatore. DON SILVIO