Sulle orme di Mosé
Vi sono molteplici motivazioni che portano le persone a girare il mondo, c’è chi è alla ricerca solo di svago ed evasione dalla quotidianità, chi animato da afflato culturale, chi unisce alla sete di conoscenza sulle orme dell’Ulisse dantesco il desiderio di scoprire meglio se stesso anche in rapporto a culture diverse. Ma accanto a tutto ciò vi può essere anche una motivazione di carattere spirituale nel senso più ampio, ossia il bisogno di ripercorrere le tappe del cammino dell’uomo, visitare i luoghi culla di civiltà che fanno riscoprire la propria identità a volte perduta. Il mio viaggio comincia dal Cairo, Al Qahirah “La Vittoriosa”, e si propone di seguire le orme di Mosé attraverso l’Egitto e la Giordania. L’arrivo nella città che tutti abbiamo sognato durante gli anni passati sui libri di storia è carico di emozione. Nella mente si affollano reminiscenze sul Nilo sacro, i Faraoni, le Piramidi, il Cristianesimo introdotto da San Marco e poi la dominazione islamica. Il Cairo è tutto questo e anche di più, è una megalopoli di circa venti milioni di abitanti dove si fondono i tasselli delle più svariate culture stratificatesi nel tempo come in un perfetto mosaico. Le Piramidi più note collocate nella piana di Giza, ossia quelle di Cheope, Chefren e Micerino e la Sfinge, interamente scavata e quindi ad un livello più basso rispetto a queste, danno il senso di una sfida vinta contro il tempo e di quanto il soprannaturale e l’escatologia fossero importanti per gli antichi Egizi. Già Erodoto nel V secolo a.C. definiva gli Egiziani “di gran lunga più religiosi del resto degli uomini…” e li considerava i primi a proclamare che la morte non significa fine ineluttabile. Il quartiere islamico dominato dalla Cittadella di Saladino, dalle Moschee e dalla imponente ed autorevole università di Al Azhar da cui vengono emesse le famigerate fatwa, si unisce alla Cairo Copta o Old Cairo, ossia alla parte più antica della città dove accanto ai resti dell’antica fortezza di Babilonia sorgono le splendide chiese copte. Col termine copto si intende il cristiano d’Egitto. Fu l’apostolo Marco ad evangelizzare queste zone. In seguito al Concilio di Calcedonia nel 451 D.C. nacque la Chiesa Copta Ortodossa retta dal Patriarca di Alessandria. Assistere alla celebrazione di una messa copta dà il senso dell’intensa spiritualità delle Chiese orientali, del resto non può non considerarsi che il monachesimo nacque da queste parti. Il deserto è ancora ricco di monasteri. E l’Egitto è anche la terra sacra, the Holy Land, dove si rifugiò la Sacra Famiglia in fuga. Ma il Cairo è anche la città dai forti e stridenti contrasti, nella quale vi è un divario enorme tra classi abbienti e povere che addirittura vivono nei cimiteri islamici. Nei confronti del Cairo si possono avere solo sentimenti forti, la si può amare intensamente o la si può odiare o i due sentimenti possono coabitare catullianamente, ma certamente non si può rimanere indifferenti nei suoi confronti. Lasciandola, anche dopo un breve soggiorno, si avverte un senso di lacerazione interiore come se ci si stesse allontanando un po’ dalle proprie radici, perché è davvero la madre di tutte le civiltà, anzi, la “Madre del Mondo”, come viene definita ne “Le mille e una notte”. L’impatto con il deserto che si estende appena fuori la città è impressionante. Fino a Suez tutta l’area è presidiata dalle forze dell’ordine ed il panorama offre a tratti oasi di palme abitate da beduini. Attraversato il tunnel sotterraneo, arrivo nella penisola del Sinai, terra lacerata dalle guerre con Israele e dal 1973 tornata otto il governo egiziano, per raggiungere, attraverso il deserto dapprima sabbioso poi roccioso, il Gebel Musa o Monte Oreb, ossia il biblico Monte Sinai in cima al quale Mosé ricevette le Tavole della Legge. Il sole illumina le rocce che mi circondano in un abbraccio protettivo facendo risplendere dalle pietre un intenso colore rosa dalle nuances meravigliose. Ma la salita al Monte avviene di notte per raggiungere la vetta in tempo per assistere al sorgere del sole. Il percorso di circa quattro ore su sentiero roccioso, illuminato ogni tanto da torce ed accompagnato da voci di cammellieri e da gesti di fraternità di sconosciuti che offrono aiuto a chi è in difficoltà, sembra rappresentare il cammino dell’uomo di oggi che, a fatica, arranca affannosamente cercando Dio, sperando di avvicinarsi di più a Lui. La stanchezza accumulata svanisce immediatamente quando, raggiunta la cima, vengo accecata da un sole che esplode in tutto il suo vigore. Stando lassù, accarezzata da una brezza leggera, mi torna in mente quel passo della Bibbia in cui Elia in cammino verso l’Oreb incontra il Signore “nel mormorio di un vento leggero” e non attraverso potenti e rumorosi fenomeni naturali. Ridiscesa a valle, sosto al Monastero di Santa Caterina, voluto dall’imperatore Giustiniano e oggi retto da monaci greci ortodossi. Al suo interno la Chiesa conserva una delle più ricche collezioni di icone ed un mosaico della Trasfigurazione di strabiliante bellezza. Peccato che la famosissima biblioteca, la seconda dopo quella del Vaticano per ricchezza di volumi, non possa essere visitata. Due dei più importanti codici dell’antichità sono lì custoditi: il Codex Sinaiticus ed il Codex Syriacus, versione in siriano dei Vangeli. Un assaggio comunque di manoscritti di inestimabile valore e di qualche icona raffigurante la Vergine col Bambino, ossia la Theotokos venerata nelle Chiese orientali, è offerto nel piccolo museo. Ma l’emozione è intensa quando si scorge il roveto ardente di biblica memoria, sempreverde ed intatto. Hanno provato a trapiantarlo altrove, ma sempre senza successo. Lascio a malincuore la zona del Sinai, scenario di uno dei più importanti eventi dell’umanità, ossia il passaggio dal politeismo al monoteismo, per raggiungere Nuweiba sul mar Rosso da dove mi imbarco per raggiungere Aqaba in terra di Giordania. La sala di attesa del porto è popolata di gente che sembra uscita dai libri di Naguib Mafouz, visi di carnagione scura scavati e segnati dal sole intenso che guardano con attenzione e sospetto i pochi occidentali in giro. Mi avvicino a qualcuno e cerco di chiedere notizie sulla zona ma il mio volenteroso e stentato arabo ha tradito le mie origini europee ed ha inibito il mio interlocutore. La Giordania mi accoglie ad Aqaba in una serata un po’ nuvolosa che prelude alla pioggia, non proprio frequente in queste zone. Qualche goccia mi accompagna durante il percorso sulla King’s way, ossia l’autostrada ricavata nel deserto, fino ad arrivare a Wadi Musa, l’incantevole villaggio sorto sul sito presumibile della fonte di Mosè. Da qui di solito si parte per l’escursione a Petra, la città scavata nella roccia di colore rosa dalla popolazione Nabatea. L’impatto con Petra, ed in particolare col tempio che appare inaspettatamente dopo un percorso all’interno di una gola, è così emozionante da togliere il fiato. I Nabatei hanno sostanzialmente subito l’influenza di altre civiltà con le quali sono entrate in contatto, quali gli Egiziani, i Romani ed i Greci ed i monumenti scavati nella roccia risentono di vari stili anche se conservano una loro peculiarità. I beduini che abitavano questo sito, e che oggi si sono trasferiti nel vicino villaggio in case appositamente costruite per loro, hanno però scoperto il turismo e quindi offrono durante la visita splendidi manufatti d’argento. Il pomeriggio è dedicato ad una escursione nel deserto a bordo di un “dromedario giapponese”, come dicono da queste parti, ossia una gip. Coperta con kefiah inizia l’avventura mentre soffia un caldo khamasin. È il deserto di Lawrence d’Arabia, la spia inglese sulla quale gli Arabi avevano riposto tante speranze. L’atmosfera è indescrivibile, la sabbia e le rocce in lontananza, qualche tamerisco qua e là ad aggiungere una nota di colore al paesaggio e qualche cammello sotto un cielo di un azzurro intenso ed accecante. Il deserto mi aveva sempre attratto, non saprei dire il motivo, sarà perchè il silenzio, gli spazi immensi conciliano la riflessione e l’introspezione e donano un senso di pace interiore così difficile da sperimentare nel fragore della vita moderna. Un thè alla menta in compagnia di una simpatica famiglia beduina ha coronato un’esperienza che mi porterò dentro per sempre. E quel pomeriggio mi tornerà in mente quando, nella frenesia della routine, e nel rumore assordante del mondo, sentirò nostalgia di quel silenzio incantevole che dà il senso della vita vera. Ma la Giordania mi regala emozioni sempre più forti. Costeggiando il Mar Morto arrivo sulle sponde del fiume Giordano nel luogo in cui pare si collochi il sito del battesimo di Gesù. Il confine con Israele è a circa venti metri da me, posso vedere chiaramente la bandiera con la stella di Davide e riesco ad intravedere le mura di Gerico. Tutto sembra così tranquillo, c’è una grande pace intorno. Nulla lascia trasparire l’eterno conflitto che sconvolge questa terra. Sul sito sorge una chiesa greco-ortodossa a testimonianza della comune origine dei cristiani e di buon auspicio per quella unità tanto ricercata. Non so (e non è importante saperlo) se il sito è davvero quello del battesimo, ma devo confessare che suscita emozioni forti calpestare quel suolo, bagnarsi alla stessa acqua con la quale si è bagnato Cristo. Rende la sua figura più vicina. Sembra quasi di ripercorrere i luoghi appartenuti ad un amico che si è perduto fisicamente ma che è dentro di te e con te per sempre. Stessa sensazione l’ho provata sul Monte Nebo, dove Mosè è morto dopo aver portato a termine la sua missione ed essere riuscito a vedere solo in lontananza la Terra Promessa. Il monte regala un panorama mozzafiato, addirittura su Gerusalemme. Breve sosta a Gerasa per prendere coscienza che i Romani sono arrivati davvero dappertutto. La città, facente parte della famosa Decapoli, è conservata perfettamente e regala al visitatore italiano una particolare nota di orgoglio. Alcuni resti romani sono presenti anche ad Amman, la capitale, città molto affascinante che unisce alle zone tipiche del suk e dei bazar edifici moderni ed una zona residenziale con ville bellissime di stampo occidentale, ma con tratti arabi inconfondibili ed ammalianti. Dal Cairo ad Amman il cerchio si chiude, al centro un groviglio di emozioni e sensazioni di un viaggio che mi ha dato la possibilità di toccare con mano il cammino dell’uomo sempre con uno sguardo rivolto al cielo. Sono tornata arricchita, mi sento diversa, sarà che, come diceva John Steinbeck, “le persone non fanno i viaggi, sono i viaggi che fanno le persone”. LUCIA