Riflessioni sulla mostra missionaria
La mostra “SANTI in CAMPANA” è stata organizzata ed allestita dal gruppo MGM, Movimento Giovani Missionari di Casalbordino, all’interno delle sale della casa canonica. L’iniziativa poteva essere considerata la solita mostra messa su da un gruppo parrocchiale per raccogliere fondi di beneficenza. Cosa questa, già di per sé meritoria e degna di ogni apprezzamento etico e morale. L’allestimento costringe il visitatore a riflettere e lo coinvolge in un iter culturale che va ben oltre la semplice esposizione ed elencazione degli oggetti sacri rintracciati presso le abitazioni delle famiglie della nostra parrocchia e di quelli provenienti dalla tradizione cattolica indiana. Tematica molto difficile da affrontare, però risolta con impegno, sicurezza, preparazione e sensibilità. È soprattutto quest’ultima a sostenere l’unicità delle diverse letture che la mostra offre sia al credente che al laico, sia alla persona di cultura che alla meno acculturata. Infatti, tutta la mostra “gioca” con equilibrato dualismo sulle differenze di stile tra la statuaria della tradizione religiosa presente anticamente nelle abitazioni dei nostri antenati e quella altrettanto interessante presente nelle famiglie dell’India, unite da un unico credo. È proprio sull’ amalgama di queste dualità che si fonda l’excursus artistico delle diverse immagini sacre e senza trascurare la loro originale ubicazione e ambientazione. Nell’esibire i “Santi in campana”, a cominciare da quelli risalenti ai primi dell’ottocento, dove le diverse parti del corpo sono eseguite in cera e vestite con stoffe tagliate e cucite secondo la moda del momento e raccolte all’interno di decorazioni floreali in carta colorata o monocromatica di estrema eleganza, si passa alle successive, eseguite con le parti del corpo in terra cotta colorata, ed infine alle ultime più recenti, interamente in gesso colorato e prive della decorazione cartacea. La mostra sviluppa nel visitatore, tramite il perché delle ridotte dimensioni delle immagini, il concetto del luogo a cui queste opere sacre erano destinate, con l’ausilio di merletti e ricami ad intaglio dello stesso periodo, genera e risolve con delicata sagacia la presa d’atto di una tradizione religiosa che si perpetuava all’interno del nucleo familiare, dove questa ridotta statuaria diventava fulcro e riferimento di preghiera e di esortazione, di sconforto e di gioia, in una vita familiare pervasa dalla costante presenza del Signore. Tutto l’allestimento supera con richiami ambientali ciò che poteva essere una semplice messa in evidenza di una produzione artigianale di arte sacra, assurgendo ad un unicum culturale e religioso di non poca rilevanza. È una mostra da visitare, è una mostra da ringraziare e alla quale bisogna contribuire, soprattutto per gli obbiettivi che il gruppo missionario si propone, ma anche per la sensazione di crescita positiva che se ne trae e per l’impegno e per il messaggio culturale e religioso che essa propone.
Ins. Rachele Magnarapa