La devozione a Sant'Antonio nelle campagne
Pasqua 2009
Il 17 Gennaio, ricorrenza di Sant’Antonio Abate (251-356 d.c.), protettore degli animali domestici, era in passato una giornata particolarmente importante per la comunità contadina.
Già alcune settimane prima della festività il parroco di campagna, accompagnato dal sagrestano e da un chierichetto, si recava in ogni cascina per benedire gli animali allevati, spostandosi a piedi o in bicicletta attraverso sentieri e strade sterrate che l’inverno spesso innevava o ghiacciava.
Una volta giunto nell’aia, il parroco si recava nella stalla ( dove solitamente venivano riuniti gli animali, compresi cani e gatti) e, dopo aver recitato con la famiglia contadina il Padre Nostro, con una benedizione implorava l’intercessione di Sant’Antonio Abate affinché mantenesse in salute gli animali presenti, aspergendo la stalla con acqua benedetta.
Nella benedizione venivano raccomandati anche i componenti della famiglia, affinché non fossero colti da malanni, le case, in modo che fossero risparmiate dagli incendi ed i campi, perché producessero un abbondante raccolto.
Il parroco, dopo il sacro rito, si intratteneva con la famiglia conversando sullo stato di salute dei suoi componenti e sui lieti e tristi eventi accaduti nell’anno appena trascorso.
Continuava poi il giro delle cascine, non senza prima aver lasciato il calendario di Sant’Antonio Abate - sul quale di annotavano scadenze ed impegni dell’imminente annata agraria - ed alcune sue immagini, che venivano prontamente collocate nei luoghi di ricovero degli animali, quali la stalla, il pollaio, la porcilaia, ecc.
Poiché il bestiame, assieme a tutti gli animali da cortile, era un bene da salvaguardare. Anche chi aveva un atteggiamento più distaccato nei confronti della religione affiggeva volentieri i santini votivi lasciati dal parroco.
Il 17 Gennaio era una grande festa per tutta la comunità contadina, tanto che interrompeva la monotonia delle giornate invernali.
La sera della vigilia ci si incontrava con i vicini di podere nella stalla, - che per l’occasione veniva pulita a fondo,- per conversare e giocare a carte: le donne sospendevano la filatura e, rigorosamente prima della mezzanotte, la stalla veniva abbandonata perché, secondo un’antica credenza, nel cuore della notte gli animali avrebbero parlato tra di loro. L’indomani, dopo la S. Messa celebrata nella chiesa parrocchiale, si portava in processione la statua del santo che, una volta terminata la funzione, veniva riposta in una nicchia della chiesa, affinché vigilasse per l’intero anno sulle campagne.
Alla fine delle celebrazioni religiose, nella comunità contadina venivano spesso organizzati incontri conviviali, e nelle case si respirava aria di festa. Vestiti con abiti per le grandi occasioni ci si incontrava con gli amici nell’osteria del bosco, e quel giorno festeggiava anche il bestiame, mangiando foraggio puro, anzichè mescolato con paglia.
Anche se oggi questa ricorrenza non ha più la solennità di un tempo, in numerose parrocchie di campagna questa antica tradizione religiosa è ancora sentita e celebrata, in particolare nella nostra piccola comunità di Vidorni, con la benedizione delle sementi raccolte il precedente anno (nella speranza di avere un abbondante raccolto) e con la rappresentazione de “ Lu Sant’Andonije”. Rappresentazione che rievoca la vita del santo e le sue varie lotte con il demonio. E tra le risate del popolo spettatore, in quell’occasione è sempre possibile gustare qualche dolcetto, offerto dalle famiglie, e qualche buon bicchiere di vino.
Gianluigi Staniscia