Intorno alle guarigioni
Leggo sul dizionario che «secondo la teologia cattolica, il miracolo consiste essenzialmente in un fatto sensibile che avviene al di fuori delle leggi della natura e la cui causa immediata è Dio, padrone della natura e quindi capace di trascendere le sue leggi».
In teoria dunque esistono tanti miracoli quante sono le leggi che regolano la natura e la psicologia umana, raggruppabili però in varie categorie: quelli fisico-meteorologici (soli rotanti, neve d’agosto, ecc..), quelli visivi nel senso più ampio del termine (visioni di ogni tipo, profezie, ecc..), le mutazioni nella natura fisica degli oggetti (statue che piangono, miracoli eucaristici, liquefazione di sangue, ecc..), le conversioni, più o meno immediate, molto ricercate dalla Chiesa, e infine la tipologia più richiesta e desiderata dai fedeli della strada, le cosiddette guarigioni straordinarie del corpo e della mente, stando bene attenti a non confondere le seconde, che non sembrano essere così numerose, a ricordarci forse l’aspetto misterioso della follia, con le possessioni diaboliche propriamente dette per cui si ricorre all’esorcismo.
Di fronte, dunque, alle guarigioni, mi sono spesso chiesta, specialmente in questo periodo molto difficile per me, perché il loro verificarsi sia così raro, soprattutto in rapporto alle richieste dei fedeli.
Mi sono risposta che se si accetta Dio come autore delle leggi naturali e se definiamo il miracolo come superamento di quelle stesse leggi, ottenere una guarigione significa in qualche modo convincere Dio ad entrare in contraddizione con se stesso.
Poiché però a nessuno, tanto meno a Dio, piace smentire se stesso, si comprendono bene l’ammonimento della Chiesa a non cercare il miracolo come conferma della propria fede e gli ammonimenti biblici a non “mettere alla prova” e a non “tentare” il Signore.
Eppure la legittimazione, l’autorizzazione a chiedere la guarigione deriva proprio dalla fede, dalla consapevolezza, dalla coscienza cioè che al di là delle possibilità della scienza umana e delle condizioni sociali ed economiche in cui ci si viene a trovare per l’accesso a tali possibilità, c’è una Persona che potrebbe, se vuole, rimettere in sesto te e la tua qualità di vita. Tanto più che le guarigioni esistono, si verificano e sono ben corredate da poderosa documentazione clinico-scientifica, specialmente in questi ultimi decenni.
Come si supera allora l’ostacolo dell’apparente contraddizione con se stesso che limiterebbe Dio nel concedere la guarigione?
Con la considerazione che vi è uno scopo per cui la divinità si è abbassata fino a terra, ha annullato addirittura se stesso ed è disposto quindi anche a smentirsi: la nostra salvezza.
Bisogna allora inquadrare la richiesta e l’ottenimento della guarigione in questo ambito, bisogna cioè che tale guarigione possa essere in qualche modo utile anche alla salvezza, alla salute dell’anima del richiedente e/o della sua comunità.
È chiaro quindi che sarebbe bene non fosse direttamente il malato a chiedere la guarigione, poiché potrebbe configurarsi in qualche modo come un atto di superbia, dato che tutti sono utili e nessuno è indispensabile se non Dio stesso, ma che lo facciano i componenti della sua famiglia, della comunità, gli amici, poiché sarebbe la testimonianza, di fronte a Lui, del contributo che l’aspirante ha dato e potrebbe ancora dare al bene della stessa comunità e dei gruppi in cui si trova ad operare, oltre che un efficace esercizio di preghiera collettiva e di senso comunitario (sebbene mi chiedo se sia oggettivamente possibile, è doloroso ma necessario dirlo, riscontrare, in questi ultimi tempi, tra di noi un senso comunitario cristiano o il suo corrispondente civile della concordia civica).
E in questo sforzo collettivo (poiché anche la preghiera richiede un impegno non solo intellettuale, ma pure fisico), un ruolo importantissimo viene svolto dal sacerdote, non solo perché è la guida spirituale della comunità e quindi, in qualche modo, il suo rappresentante ufficiale presso Dio, ma soprattutto perché potrebbe diventare egli stesso un dispensatore di guarigione, se riuscisse a riscoprire l’aspetto taumaturgico del proprio ministero, ossia se prendesse coscienza che la possibilità di guarire i corpi, oltre che le anime con la confessione, fa parte dei “ferri del mestiere” delle sue mani consacrate (agendo quindi direttamente, ma soprattutto, per esempio, promuovendo e rivalutando la cosiddetta “Estrema Unzione”, che tutto dovrebbe essere fuorché estrema, ossia relegata agli ultimi momenti di vita, tanto è vero che in realtà si chiama semplicemente e ufficialmente “Unzione degli infermi”, ossia un sacramento fatto apposta per sostenere i malati ed anche - perché no? - per guarirli). D’altronde non sono forse i sacerdoti, e ancor più i vescovi come successori degli apostoli, i successori di quei settantadue discepoli mandati espressamente da Gesù, secondo quanto narrato in Luca, 10, 1-9, tra l’altro, a guarire proprio i malati incontrati nella loro missione.
Questa teoria sembra trovare indirettamente conferma anche nei racconti evangelici di alcuni miracoli operati da Gesù, ed in special modo nell’atteggiamento da Lui tenuto nel compierli. Ci si riferisce specialmente alla guarigione del paralitico calato dal tetto, riportato in Luca 5,17-26:
«[...] E la potenza del Signore gli faceva operare guarigioni. 18Ed ecco alcuni uomini, portando sopra un letto un paralitico, cercavano di farlo passare e metterlo davanti a lui. 19Non trovando da qual parte introdurlo a causa della folla, salirono sul tetto e lo calarono attraverso le tegole con il lettuccio davanti a Gesù, nel mezzo della stanza. 20Veduta la loro fede, disse: "Uomo, i tuoi peccati ti sono rimessi". 21Gli scribi e i farisei cominciarono a discutere dicendo: "Chi è costui che pronuncia bestemmie? Chi può rimettere i peccati, se non Dio soltanto?". 22Ma Gesù, conosciuti i loro ragionamenti, rispose: "Che cosa andate ragionando nei vostri cuori? 23Che cosa è più facile, dire: Ti sono rimessi i tuoi peccati, o dire: Àlzati e cammina? 24Ora, perché sappiate che il Figlio dell'uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati: io ti dico - esclamò rivolto al paralitico - alzati, prendi il tuo lettuccio e va' a casa tua". 25Subito egli si alzò davanti a loro, prese il lettuccio su cui era disteso e si avviò verso casa glorificando Dio. 26Tutti rimasero stupiti e levavano lode a Dio; pieni di timore dicevano: "Oggi abbiamo visto cose prodigiose".»;
e alla resurrezione di Lazzaro riportato in Giovanni, 11, 38-44:
«[...] 38Intanto Gesù, ancora profondamente commosso, si recò al sepolcro; era una grotta e contro vi era posta una pietra. 39Disse Gesù: "Togliete la pietra!". Gli rispose Marta, la sorella del morto: "Signore, già manda cattivo odore, poiché è di quattro giorni". 40Le disse Gesù: "Non ti ho detto che, se credi, vedrai la gloria di Dio?". 41Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: "Padre, ti ringrazio che mi hai ascoltato. 42Io sapevo che sempre mi dai ascolto, ma l'ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato". 43E, detto questo, gridò a gran voce: "Lazzaro, vieni fuori!". 44Il morto uscì, con i piedi e le mani avvolti in bende, e il volto coperto da un sudario. Gesù disse loro: "Scioglietelo e lasciatelo andare". [...]».
Come si vede, nel primo brano sono gli accompagnatori del malato, oggi si direbbe i volontari, a volere fortemente l’incontro con Gesù, mentre da parte di Gesù stesso si sancisce autorevolmente da un lato la pari dignità tra spirito e corpo, che vengono associati nella salvezza, nonché la loro reciproca influenza sul rispettivo stato di salute o di malattia, e dall’altro si stabilisce esplicitamente il legame tra il ristabilimento del malato e la Sua missione di salvezza, visto che la guarigione viene usata come ulteriore dimostrazione per i farisei della Sua facoltà divina di perdonare i peccati.
Per quanto riguarda invece la risurrezione di Lazzaro, sicuramente la più straordinaria delle guarigioni, questo legame tra la Sua richiesta e la missione di salvezza è ancora più evidente, visto che Gesù, la cui parte umana vorrebbe fortemente il ristabilimento dell'amico dopo il commovente pianto con cui ha accolto la notizia della sua morte, dice esplicitamente di averlo fatto per la gente che gli sta attorno, perché creda che è stato mandato dal Padre.
Non mi resta dunque che esprimere un augurio, un augurio che si fa anche preghiera nei vostri confronti: che possiate vedere confermata - magari su di me - la teoria esposta in questo breve scritto e perciò trarre da essa un beneficio reciproco.
Tutto ciò pure in virtù di quei versetti del Vangelo di Matteo, 18,19-20, in cui si afferma: «...se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro».
Perpetua