Questione di focus
Avete fatto caso che in ogni presepe, o almeno in quelli “politically correct”, tutte le statuine sono rivolte verso la mangiatoia? Sembra che tutti, pastori, artigiani, pecorelle e suonatori stiano ad aspettare che il Bambinello risponda ai loro bisogni o soddisfi le loro necessità. Ma il loro non è un atteggiamento di sfida. Tutt’altro. Non hanno i volti tristi o concentrati su se stessi, non fissano i loro arnesi e le loro case, non sembrano preoccupati per la povertà che li circonda. Sono lì pieni di fiducia e con il cuore colmo di attesa e di speranza, consapevoli di stare assistendo a qualcosa di straordinario che cambierà per sempre le sorti di tutto il mondo. Hanno l’aria di aver già capito tutto, quelle statuine: solo uno sguardo che volge l’attenzione verso l’Altrove può costruire un mondo diverso.
Il problema di oggi è che abbiamo perso la capacità di guardare oltre, in alto. Per decenni abbiamo contato troppo sul mondo, siamo rimasti concentrati su noi stessi, pensando di poter fare tutto da soli. Ora il mondo ci sta dimostrando i suoi limiti, le false speranze su cui abbiamo riposto la nostra fiducia stanno crollando una ad una. E siamo tutti tristi, angosciati, preoccupati per il futuro, diventato ormai sempre più incerto. D’altra parte, notiamo ogni giorno che la gioia che ci deriva dall’emozione di realizzare un sogno, di possedere un oggetto da sempre desiderato, è troppo fragile ed esposta alle intemperie. Quando la nostra gioia, invece, è riposta in Dio, possiamo davvero coltivare la speranza per un futuro migliore. Leggevo tempo fa che gioire non è in prima istanza un’emozione, ma un gesto di volontà. Infatti si può gioire anche nella difficoltà, basta volerlo.
Quest’anno il Santo Padre ha aperto il ciclo delle catechesi d’Avvento guardando a Gesù, alla Sua preghiera “che attraversa tutta la sua vita, come un canale segreto che irriga l’esistenza”. Ha ricordato che, fin dall’inizio della sua vita pubblica, sulle rive del Giordano, Gesù dopo aver ricevuto il battesimo avverte l’esigenza di pregare, di entrare in intima comunione col Padre, quasi a rimarcare che nessun gesto sulla terra può avere significato se non è sostenuto dal Cielo. Se Gesù, come narrano i Vangeli, più volte si ritirava in preghiera nel deserto, sul monte, di notte, ogni uomo deve saper ritrovare nella propria interiorità la sua vera dimensione. In questi tempi difficili siamo sicuramente tutti chiamati alla solidarietà concreta per dare riposte a quanti hanno bisogno di aiuto, ma “solo l’intimo legame con Dio può dare valore al nostro agire”.
In ogni preghiera, dice ancora il Papa, “si esprime sempre la verità della creatura umana, che da una parte sperimenta debolezza e indigenza, e perciò chiede aiuto al Cielo, e dall’altra è dotata di una straordinaria dignità, perché, preparandosi ad accogliere la Rivelazione divina, si scopre capace di entrare in comunione con Dio”.
“Pregare significa sentire che il senso del mondo è fuori del mondo”, scriveva il filosofo Wittgestein. Se solo riuscissimo a rivolgere lo sguardo oltre noi stessi, rifocalizzarlo verso quel Bambinello che stasera nasce per noi, probabilmente la nostra vita sarebbe migliore, meno dura e il futuro meno incerto.
Raffaella