Il significato del digiuno nelle tre religioni monoteiste
Pasqua 2014
All’inizio di questa Quaresima un amico mi ha invitato a riflettere su un testo di Enzo Bianchi, monaco Priore della Comunità Monastica di Bose, sul senso del digiuno.
Ne sono rimasta molto colpita, perchè Bianchi ha messo in luce il significato di una pratica importantissima, ma poco compresa ed esercitata dai cattolici di oggi, sottolineando, con parole forti e penetranti, l’alto senso ascetico di essa.
Padre Bianchi arriva ad affermare che il digiuno è “una professione di fede con il corpo”. Questa affermazione mi ha accompagnato durante tutto il percorso quaresimale, mettendomi in crisi quando mi sentivo fragile ed incapace di rinunciare a qualcosa.
Approfondendo questa pratica in un’ottica comparatistica, è evidente che il digiuno viene praticato, seppur con significato diverso, anche nelle altre religioni monoteiste: Islam ed Ebraismo.
I musulmani digiunano durante il mese di Ramadan, il nono del calendario lunare e sacro, perchè i fedeli credono che il quel periodo Maometto abbia ricevuto dall’arcangelo Gabriele la rivelazione del Corano.
Il digiuno rappresenta uno dei cinque pilastri obbligatori per il fedele musulmano e consiste nell’astenersi, dall'alba al tramonto, dal bere, mangiare, dal fumare e dal praticare attività sessuali. Chi è impossibilitato a digiunare (perché malato o in viaggio) può anche essere sollevato dal precetto, ma appena possibile, dovrà recuperare il mese di digiuno successivamente.
Il motivo del digiuno per i musulmani è sostanzialmente l’autocontrollo. Essi credono che, attraverso questa pratica, l’anima dell’uomo venga liberata dalle catene delle sue voglie corporali, sia svincolata dalle tentazioni e possa volare verso l’Altissimo, purificata da tutto quello che di materiale e corrotto esiste nel mondo.
Inoltre, nella sua dimensione sociale, il digiuno fa comprendere il valore dei doni di Dio e quindi permette di aprirsi con più compassione e carità verso i bisognosi, invogliando il fedele a versare la zakat, ossia l’elemosina o tassa coranica verso i diseredati. Quando tramonta il sole il digiuno viene rotto. La tradizione vuole che si debba mangiare un dattero, perché così faceva il Profeta Maometto.
Gli Ebrei praticano vari periodi di digiuno come espressione di espiazione dai peccati, di lutto o di supplica (come nel caso del digiuno di Ester). Il digiuno più noto e maggiormente osservato è, però, quello dello Yom Kippur, il cosiddetto Giorno dell'Espiazione che ricade il 10 del mese di Tishri, dieci giorni dopo Rosh Hashanah (Capodanno Ebraico), ossia tra settembre ed ottobre del nostro calendario. E’ il giorno destinato ad espiare i peccati commessi nel corso dell’anno, sia nei confronti di Dio, sia nei confronti degli uomini.
E’ un digiuno completo, dal tramonto, prima del crepuscolo, alla notte seguente. Vengono prescritte anche quattro ulteriori restrizioni: non ci si può lavare il corpo, indossare scarpe di cuoio, acque di colonia, oli o profumi, o avere rapporti sessuali.
Noi Cristiani d’occidente, pur avendo consapevolezza che un tempo analogo lo vivono i musulmani e gli ebrei, e continuano a viverlo i cristiani di tradizione ortodossa e orientale, non riusciamo a comprendere la specificità cristiana di questo tempo e non riusciamo a credere che il rapporto con il cibo sia un luogo di esperienza spirituale, nonostante, paradossalmente, si parli spesso di digiuno per motivi dietetici ed estetici.
Nella nostra religione cristiana il digiuno fa parte normalmente del tempo di Quaresima, periodo di penitenza, e si accompagna alle altre due pratiche importanti come la preghiera e l'elemosina. Si distingue tra digiuno, inteso come obbligo a consumare un unico pasto durante la giornata, rendendo frugale l’altro, e l’astinenza, ossia la rinuncia alle carni.
Secondo quanto chiarisce la CEI ne “Il senso cristiano del digiuno e dell’astinenza”, il digiuno e l’astinenza, nel senso sopra precisato, devono essere osservati il Mercoledì delle Ceneri e il Venerdì santo; sono consigliati il Sabato Santo sino alla Veglia pasquale.
L’astinenza, invece, deve essere osservata in tutti i venerdì di Quaresima, a meno che coincidano con un giorno annoverato tra le solennità (come il 19 festa di San Giuseppe o il 25 marzo, festa dell’Annunciazione).
In tutti gli altri venerdì dell’anno, a meno che coincidano con un giorno annoverato tra le solennità, si deve osservare l’astinenza nel senso detto oppure si deve compiere qualche altra opera di penitenza, di preghiera, di carità.
Ma perchè proprio la privazione dal cibo?
Il senso del digiuno cristiano è la metanoia, , ossia la trasformazione spirituale che avvicina l’uomo a Dio. Secondo Enzo Bianchi, questa pratica “svolge la fondamentale funzione di farci sapere qual è la nostra fame, di che cosa ci nutriamo e di ordinare i nostri appetiti intorno a ciò che è veramente centrale.” Gesù, nei quaranta giorni di digiuno nel deserto, ci ricorda che: “Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio.” ( Matteo 4,4). Padre Bianchi chiarisce che attraverso la moderazione nell’appetito della fame, che è vitale e fondamentale per l’uomo, si impara ad avere disciplina nelle nostre relazioni con gli altri e con Dio.
I1 digiuno dei cristiani trova il suo modello e il suo significato nuovo e originale in Gesù. Questa à la sostanziale differenza rispetto al digiuno praticato nelle altre religioni.
Il grande monaco benedettino tedesco Anselm Grun afferma: “Il digiuno è il pianto del nostro corpo che sta cercando Dio, il grido del nostro animo più profondo, del nostro profondo più profondo col quale, nella nostra estrema impotenza, noi affrontiamo la nostra vulnerabilità e la nostra nullità, per gettarci completamente nell’abisso della incommensurabilità di Dio” Il digiuno dei cristiani è sentire la mancanza di Cristo, è sentire il desiderio di Cristo, desiderando di mettersi alla Sua sequela nel suo mistero di morte e nella Sua resurrezione.
Per il cristiano il periodo penitenziale tende alla luce della Pasqua.
Ma è fondamentale rimarcare che, essendo il digiuno un esercizio per coltivare il nostro cammino spirituale, non si digiuna solo astenendosi dal cibo, ma dal peccato e da tutte quelle cose che creano in noi una dipendenza, perchè è un vero e proprio combattimento contro lo spirito del male.
Ci ricorda il Papa emerito Benedetto XVI, nella sua enciclica Deus Caritas est che digiunare volontariamente ci aiuta a coltivare lo stile del Buon Samaritano, che si china e va in soccorso del fratello sofferente. Scegliendo liberamente di privarci di qualcosa per aiutare gli altri, mostriamo concretamente che il prossimo in difficoltà non ci è estraneo.
Allora, considerata in questa ottica, la pratica del digiuno non deve essere per noi un castigo o un’afflizione, ma un’occasione speciale e gioiosa di nutrimento della nostra anima.
Lucia Valori