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BISOGNA SALVARE IL SEME

Pasqua 2015

Bisogna salvare il seme


Qualche tempo fa Padre Bruno mi ha chiesto di partecipare alla presentazione del suo ultimo libro, "Lettere dalla Collina". Confesso che la mia prima reazione, quando me lo ha chiesto, è stata di grande stupore. Ovviamente mi ha lusingato molto che avesse scelto me, ma inizialmente non capivo quale fosse il mio ruolo sul palco, insieme a tre sacerdoti e ad un Professore universitario, laico impegnato nella chiesa come un sacerdote. Poi però ho iniziato a leggere il libro, e, pagina dopo pagina, mi è sembrato di capire perché il Vescovo avesse voluto inserire una persona come me, una persona che non ha ancora ben chiaro che cosa il Signore voglia da lei o, meglio, PER lei, e si pone la domanda ogni giorno, in ogni momento, nel lavoro e nella vita privata. Ho pensato che per molti versi io incarnavo, forse più degli altri sul palco, l'interlocutore che Padre Bruno aveva immaginato di avere davanti quando ha scritto il libro. Tutti loro, infatti, hanno già risposto in modo visibile alla propria chiamata vocazionale e sono in cammino per realizzare il progetto che Dio ha pensato per ciascuno, ovviamente con tutte le difficoltà che la vita presenta e che Padre Bruno evidenzia in maniera così accorata nel libro. Io, invece, rappresento quella fetta di persone per cui la propria chiamata non ha ancora dei tratti ben definiti e la ricerca di senso nella propria vita è più pressante, fino a diventare a volte ossessiva. Non voglio con questo confondere la ricerca di senso con la realizzazione del progetto di vita. Sarebbe banale, riduttivo e anche molto fuorviante. Dico solo che aver compreso chiaramente quale sia la propria vocazione è un grande passo avanti nella comprensione di se stessi e quindi nella scoperta del volto di Dio, se pensiamo che Lui ci ha fatti a Sua immagine. Poi, certo, il sì va ribadito ogni giorno, in qualsiasi momento della ricerca e del cammino ci si trovi, e la cosa più difficile è rimanere, rimanere in Dio.
Ecco, credo che l'intento di Padre Bruno nello scrivere questo libro, almeno ciò che ho percepito io, sia stato quello di voler prendere per mano chiunque si sia messo in cammino per conoscere il volto di Dio per aiutarlo a rimanere.
Ma per mettersi in cammino bisogna essere inquieti. Nell'Enciclica Redemptor hominis, San Giovanni Paolo II, citando Sant'Agostino che nelle Confessioni diceva: “Ci hai fatto, Signore, per te ed è inquieto il nostro cuore, finché non riposa in te”, parla di "inquietudine creativa" , nella quale, secondo il grande Papa Santo, "batte e pulsa ciò che è più profondamente umano: la ricerca della verità, l’insaziabile bisogno del bene, la fame della libertà, la nostalgia del bello, la voce della coscienza."
Ho un caro amico che si professa ateo. Con lui ho fatto alcune delle discussioni più "accese" sul senso della vita e sull'esistenza di Dio. Mi stupivo di come lui riuscisse sempre a portare il discorso su Dio, anche quando iniziavamo con argomenti meno impegnativi. Leggeva e legge i libri del nostro vescovo, da cui era letteralmente affascinato, ma anche gli scritti di altri teologi contemporanei un po' fuori dal coro, che usava poi contro di me rimarcando delle contraddizioni che non riusciva a spiegarsi perché non illuminate dalla luce della fede. Ogni conversazione un duello. Finché un pomeriggio di fine primavera, una di quelle giornate con il cielo terso, poco prima del tramonto, ricevo una sua telefonata. Era da ore davanti alla finestra, intento a contemplare il mare. Mi dice: "sono qui in silenzio e mi manca poco così ad afferrare il senso di tutto questo, ma non ci riesco. Tu sei fortunata perché tu ci riesci". Anni di conversazioni anche dure, di letture profonde, di confronti e di scontri non erano serviti a molto, invece anche questa volta il Signore si manifestava nella brezza leggera e aspettava solo che quell'anima in pena si abbandonasse al Suo abbraccio. Avrei voluto dirgli che non si tratta di essere fortunati.. Certo la fede è un dono, però, come ogni bel dono va accolto e soprattutto curato perché non si sciupi, perché la fede resti salda bisogna ingaggiare una lotta quotidiana con se stessi, contro la parte opaca di se stessi, e non è per niente facile restare in piedi, perseverare. Il grande Tolstoj diceva: "Non fate spegnere quella luce, ma vegliatela come cosa preziosa e lasciatela dilatare. In questo espandersi della luce risiede l'unico grande gioioso senso della vita di ogni uomo".
Alcuni anni dopo, in questo libro, nella lettera "Cercare Dio", Padre Bruno ha reso chiari e semplici quei concetti che quel giorno erano rimasti un po' confusi nella mia mente. Il credente, scrive il nostro vescovo, non è che un povero ateo che ogni giorno si sforza di cominciare a credere. Se il credente non fosse tale la sua fede non sarebbe altro che una rassicurazione mondana, una delle tante ideologie che hanno ingannato il mondo.
E ancora: se il credente è un ateo che ogni giorno si sforza di cominciare a credere, non sarà forse il non credente pensoso nient'altro che un credente che ogni giorno vive la lotta inversa, quella di cominciare a non credere? Se c'è una differenza da marcare, chiosa Padre Bruno, non sarà forse quella tra credenti e non credenti, ma quella tra pensanti e non pensanti, tra uomini e donne che hanno il coraggio di vivere la sofferenza, di continuare a cercare per credere, sperare e amare, e uomini e donne che hanno rinunciato alla lotta, che sembrano essersi accontentati dell'orizzonte penultimo e non sanno più accendersi di desiderio e di nostalgia al pensiero dell'ultimo orizzonte e dell'ultima patria.
Parole forti, che incidono nel più profondo delle nostre anime, ma nello stesso tempo parole rassicuranti e piene di comprensione e di speranza.
Nella lettera sulla Fede leggiamo che: chi crede cammina nella notte, pellegrino verso la luce. La sua è una conoscenza vespertina, non ancora una conoscenza alla chiara luce del giorno. ... Ma poi: c'è sempre un Tabor per rischiarare il cammino.
Simone Weil diceva: "al di sopra dell'infinità dello spazio e del tempo, l'amore infinitamente più infinito di Dio viene ad afferrarci".
Anche se scalpitiamo, se fatichiamo a liberarci del nostro io così ingombrante, se preferiremmo crocifiggere Cristo sulla croce delle nostre attese invece di accettare di crocifiggere le nostre attese sulla croce di Cristo, Lui viene ad afferrarci.
C'è solo uno sforzo da fare: tenere lo sguardo dritto verso Dio. Ricordo un bellissimo dialogo fra Don Camillo e Gesù, un pezzo di poesia di Giovannino Guareschi, in cui troviamo un Don Camillo preoccupato per la deriva che sta prendendo il mondo, che si rivolge al Crocifisso, dicendo: "Signore, oggi la gente crede soltanto in ciò che vede e tocca. Ma esistono cose essenziali che non si vedono e non si toccano: amore, bontà, pietà, onestà, pudore, speranza. E fede. Cose senza le quali non si può vivere. (..) L’uomo, mi pare, sta distruggendo tutto il suo patrimonio spirituale. L’unica vera ricchezza che in migliaia di secoli aveva accumulato. (…) Signore, se è questo ciò che accadrà, cosa possiamo fare noi?”.
Il Cristo sorrise: “Ciò che fa il contadino quando il fiume travolge gli argini e invade i campi: bisogna salvare il seme. Quando il fiume sarà rientrato nel suo alveo, la terra riemergerà e il sole l’asciugherà. Se il contadino avrà salvato il seme, potrà gettarlo sulla terra resa ancor più fertile dal limo del fiume, e il seme fruttificherà, e le spighe turgide e dorate daranno agli uomini pane, vita e speranza. Bisogna salvare il seme: la fede. Don Camillo, bisogna aiutare chi possiede ancora la fede e mantenerla intatta".
Mi sembra che "Lettere dalla Collina" voglia fare proprio questo: aiutarci a salvare il seme.

Raffaella