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Gesù e la Cananèa

Pasqua 2015

Gesù e la cananea


Come preannunciato, in questa occasione si analizzerà un secondo incontro di Gesù con una donna della periferia del Suo mondo: se per la Samaritana si trattava di una periferia storica, sociale e culturale, qui si tratta invece di una periferia proprio in senso geografico, di una donna straniera, come indica genericamente, come sinonimo, l'aggettivo cananèa, oltre che riferirsi propriamente al popolo di Canaan che contese per secoli agli ebrei la terra promessa e da cui discendono molti popoli abitanti successivamente in quella regione come i Fenici, con le loro città di Tiro e Sidone nell’odierno Libano (così come noi usiamo genericamente, e purtroppo in senso talvolta dispregiativo, l'aggettivo "marocchino" per indicare semplicemente uno straniero, con riferimento forse alla cattiva fama attribuita ai soldati marocchini francesi, di passaggio in Italia durante la seconda guerra mondiale).
L'episodio è riportato in questi termini dai Vangeli di Matteo, al capitolo 15:
[...] [21Partito di là, Gesù si diresse verso le parti di Tiro e Sidone. 22Ed ecco una donna Cananèa, che veniva da quelle regioni, si mise a gridare: "Pietà di me, Signore, figlio di Davide. Mia figlia è crudelmente tormentata da un demonio". 23Ma egli non le rivolse neppure una parola.
Allora i discepoli gli si accostarono implorando: "Esaudiscila, vedi come ci grida dietro". 24Ma egli rispose: "Non sono stato inviato che alle pecore perdute della casa di Israele". 25Ma quella venne e si prostrò dinanzi a lui dicendo: "Signore, aiutami!". 26Ed egli rispose: "Non è bene prendere il pane dei figli per gettarlo ai cagnolini". 27"È vero, Signore, disse la donna, ma anche i cagnolini si cibano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni". 28Allora Gesù le replicò: "Donna, davvero grande è la tua fede! Ti sia fatto come desideri". E da quell'istante sua figlia fu guarita. [...];

e Marco, al capitolo 7:
[...] 24Partito di là, andò nella regione di Tiro e di Sidone. Ed entrato in una casa, voleva che nessuno lo sapesse, ma non poté restare nascosto. 25Subito una donna che aveva la sua figlioletta posseduta da uno spirito immondo, appena lo seppe, andò e si gettò ai suoi piedi. 26Ora, quella donna che lo pregava di scacciare il demonio dalla figlia era greca, di origine siro-fenicia. 27Ed egli le disse: "Lascia prima che si sfamino i figli; non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini". 28Ma essa replicò: "Sì, Signore, ma anche i cagnolini sotto la tavola mangiano delle briciole dei figli". 29Allora le disse: "Per questa tua parola va', il demonio è uscito da tua figlia".
30Tornata a casa, trovò la bambina coricata sul letto e il demonio se n'era andato.[...]

Dalla lettura dei due brani si può notare innanzitutto che, se l'ambientazione geografica è più o meno la medesima (la zona di frontiera vicino all'odierno Libano o proprio lo stesso Libano), la situazione pratica in cui si svolge l'incontro è leggermente diversa, poiché mentre Marco ci descrive un Gesù quasi in vacanza che vorrebbe prendersi una pausa dalla sua faticosa missione con un soggiorno in incognito a casa di amici, con la protagonista che vi si reca dopo averlo saputo per vie traverse, in un contesto, quindi, quasi privato, Matteo pone invece l'incontro sulla pubblica via, mentre è in cammino, attorniato dai suoi discepoli, in un situazione in cui, quindi, l'irruzione della donna con il suo problema costituisce, come vedremo, un pericoloso caso teologico, la cui soluzione avrebbe influenzato la pubblica opinione e il sentire comune del popolo ebraico di cui anche Gesù faceva parte e che pure doveva interpretare.
Passando ora alla figura della protagonista, mentre in Matteo viene semplicemente etichettata con l'aggettivo di cananea, ossia come abbiamo visto, di straniera, non appartenente al popolo eletto e per questo non destinataria della salvezza del Messia, l'evangelista Marco, residente a Roma e quindi più abituato al suo cosmopolitismo di capitale dell'Impero, ce ne traccia un vero e proprio identikit etnico definendola una donna di origine locale, ma appartenente, forse per matrimonio, ad un ambiente greco e perciò istruita in quella cultura, essendo probabilmente di un'alta classe sociale (quindi anche riassumendo simbolicamente in sé la maggior parte delle radici culturali non ebraiche di quella parte del Mediterraneo).
La nostra protagonista è anche madre di una bambina, e questa condizione la rende capace di tutto, pure di rivolgersi, gridando per strada, ad un Uomo sconosciuto con fama di guaritore, ma di un popolo e un paese ostile, quindi con minime possibilità di successo, oppure secondo l'altra versione, di recarsi in una casa altrui dove, solo per sentito dire, dovrebbe trovarsi questo Sant'Uomo, specialmente quando, come in questo caso, la sua creatura è crudelmente “posseduta da uno spirito immondo" (immaginatevi ad esempio un attacco epilettico con dolorose convulsioni).
Ma qual è, a questo punto la reazione di Gesù? Secondo la versione di Matteo, l’atteggiamento iniziale è di chiusura totale: il Maestro non le rivolge nemmeno una parola e anche quando i discepoli lo implorano di esaudirla (in verità non tanto perché hanno davvero pietà per il suo problema, ma per farla tacere), Questi si limita a rispondere freddamente, facendosi interprete del sentimento collettivo di essere, come già si accennava sopra, il popolo eletto e quindi il solo destinatario della salvezza operata con la propria missione, con le parole: "Non sono stato inviato che alle pecore perdute della casa di Israele". [...]"Non è bene prendere il pane dei figli per gettarlo ai cagnolini".
Ora qui si deve per forza notare come la durezza di tale risposta sia dovuta più che altro all'impostazione narrativa generale del Vangelo di Matteo, che vuole ribadire il carattere puramente ebraico della storia e della missione di Gesù, tanto che inizia il suo racconto con la certificazione della genealogia nazionale del Salvatore (tanto da far pensare che la sua scrittura sia stata influenzata anche dal clima culturale degli anni immediatamente precedenti alla presa di Gerusalemme del 70 d.C. per le guerre giudaiche, caratterizzati da un diffuso sentimento nazionale).
Dico questo perché nella versione di Marco, che come si è già detto è ambientata in un contesto quasi privato o comunque alla presenza di poche persone, la risposta di Gesù assume tutto un altro sapore, un'altra sfumatura, visto che qui la salvezza non viene negata ai popoli stranieri, ma se ne fa più che altro una questione di priorità, essendo questa destinata innanzitutto al popolo che Dio si era scelto all'inizio dei tempi e poi allargata all'intera umanità, come si può dedurre leggendola attentamente: "Lascia prima che si sfamino i figli; non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini" (si tenga presente che Marco utilizza la testimonianza oculare di Pietro, da lui ospitato nella comunità di Roma dopo la caduta di Gerusalemme - pure Matteo è un testimone oculare, ma forse non dai primi tempi della predicazione come Pietro).
La controrisposta della donna invece è quasi uguale in entrambe le versioni: così in Matteo: :"È vero, Signore, [...], ma anche i cagnolini si cibano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni" e così in Marco:"Sì, Signore, ma anche i cagnolini sotto la tavola mangiano delle briciole dei figli". Essa documenta, attraverso lo sviluppo della metafora del pane dei figli gettato ai cagnolini introdotta dal suo Interlocutore, la volontà di far capire che la salvezza deve essere per tutti gli uomini, perché i cagnolini in fondo mangiano le briciole dello stesso pane dei figli dei padroni e perciò che tutti i popoli fanno parte della stessa famiglia, ovvero dell'unica famiglia umana, considerati anche i legami che si instaurano tra loro, ovvero, per proseguire con la metafora, tra i figli e i cagnolini.
Arriva così finalmente la svolta: Gesù concede la guarigione della figlia alla donna, come viene attestato da Matteo : "Donna, davvero grande è la tua fede! Ti sia fatto come desideri" e da Marco: "Per questa tua parola va', il demonio è uscito da tua figlia".
Attenzione però, perché ad una lettura accurata delle due sentenze ci si accorge che le motivazioni riportate come alla base della concessione sono radicalmente diverse, così come le modalità logico-sintattiche con cui esse vengono espresse. In quella di Matteo, la concessione vera e propria viene preceduta da una formula che si trova in altre narrazioni di miracoli riportati nei Vangeli, ossia quella relativa alla fede del miracolato come base dell'ottenimento del miracolo stesso, ovvero nel caso di cui si parla, della tenacia, dell'insistenza, nell'intensità, della testardaggine, quasi, che la donna ha adoperato per ottenerlo, qualità positive indubbiamente, ma con una leggera sfumatura spregiativa proveniente dal contesto di boicottaggio che sembra circondarla.
In quella di Marco, invece, la concessione del miracolo viene sancita con la frase "Per questa tua parola ...", il che vuol dire che Gesù è rimasto impressionato da ciò che la donna ha detto, dal suo ragionamento dall'intelligenza alla base dei concetti espressi, dall'abilità con cui la donna ha saputo continuare con la metafora del pane e dei cagnolini per ribadire la sua richiesta, con l'effetto di mettere in piedi un sincero dialogo tra pari, in cui ciascuno è reciprocamente riconosciuto: Gesù per la validità della sua missione da una non appartenente al popolo eletto e la donna per il riconoscimento della sua integrità di essere umano pari all'altro sesso, il che è una rivoluzione per la mentalità maschilista dell'epoca. Infine, la diversità delle motivazioni, come si diceva, si riflettono anche nelle modalità logico-sintattiche usate: nel brano di Matteo la concessione del miracolo è preceduta dalla formula isolata con un punto: "Donna, davvero grande è la tua fede", mentre in Marco la concessione viene introdotta dal complemento di causa messo proprio all'inizio del periodo: "Per questa tua parola ...".
In altre parole, e in conclusione, mentre Matteo ci riporta semplicemente ciò che considera uno dei tanti miracoli compiuti dal Nazareno e tramandati dalla tradizione, da trascrivere quindi con le consuete formule riservate a questi episodi, filtrandolo attraverso una mentalità corrente certo non favorevole alle donne, Marco ci descrive autenticamente il riconoscimento operato da Gesù nei confronti del genio femminile in generale (scrivo questo articolo nel mese della Festa della Donna), e in particolare di quello di una donna, la Cananea che, per la guarigione della sua bambina, è stata capace persino di far cambiare la scala delle proprie priorità al Salvatore del mondo. E questo, a me, donna del Terzo millennio, è piaciuto moltissimo. E a voi?
Perpetua