Quale Natale?
“Quando vedete una nuvola salire a ponente, subito dite: Viene la pioggia, e così accade. E quando soffia lo scirocco, dite: Ci sarà caldo, e così accade. Ipocriti! Sapete giudicare l'aspetto della terra e del cielo, come mai questo tempo non sapete giudicarlo? E perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto?” (Vangelo di Luca). Anche quest’anno è arrivato Natale, è arrivato il tempo delle feste. Ma come ci siamo entrati? Quali sono stati i segni, i gesti e i comportamenti che ci hanno immerso nel tempo delle feste di questo Natale? A fine anni Novanta la Corte Suprema USA scrisse in una sentenza che il Natale “aveva cessato di essere una festa religiosa” da tempo. E per noi? I segni dell’immersione sono stati le file per il nuovo aifòn, le luminarie, le promozioni commerciali, la corsa frenetica allo shopping consumista? O l’Avvento del Calendario Liturgico, i presepi nelle nostre Parrocchie, le riflessioni liturgiche, l’attesa del Bambino che anche quest’anno chiede calore e culla in ogni cuor?
Don Tonino Bello scrisse che le parrocchie non devono essere i luoghi dove “una bella liturgia ti fa dimenticare i problemi della vita” ma “luogo pericoloso dove si fa memoria eversiva della Parola di Dio” . Nel Vangelo di Luca Gesù rivela di essere venuto “a portare il fuoco sulla terra” . Dov’è quel fuoco? Lo stiamo accendendo? Arde e freme nella nostra vita? Stiamo contando i giorni per l’attesa di tornare a Betlemme per imbatterci “nella fragilità di un bambino”, che rapisce i cuori e conquista gli animi come nessuno nel creato, o dei regali sotto l’albero dei centri commerciali? Non siano queste da considerare banali domande retoriche ma veri, inquieti interrogativi. Perché tanto, troppo spesso, nelle nostre case il bambinello di legno è un orpello tra le decorazioni dell’albero, i frutti del consumismo esasperato e una quotidiana, frenetica, distratta, indifferente sopravvivenza. Ce lo ripete spessissimo anche don Silvio, la messa non è un momento da vivere superficialmente per poi rimanere “gli stessi di prima” nel resto della settimana. Davanti a Lui dobbiamo cambiare, oserei scrivere rivoluzionare, le nostre esistenze, modellarle sul suo Amore. Senza se e senza ma.
Un anno fa eravamo nel pieno del “Giubileo della Misericordia”. Sui giornali, in tv ma anche nelle nostre quotidiani conversazioni, l’attenzione stava andando a paure, timori, questioni di ordine pubblico e sicurezza, economiche. Il Dio Incarnato, colui che è venuto in un’umile stalla ed ha poi vissuto le sofferenze più atroci e disumane per tutti noi, spesso neanche sottovoce venne citato con mente e cuore interamente occupati da preoccupazioni e certezze umane... Se veniamo toccati nei personali interessi economici o insultati personalmente subito partiamo all’attacco, gridiamo, ci indigniamo, ci arrabbiamo, cerchiamo subito la reazione più veemente possibile. E può anche essere un diritto da riconoscere. Ma quando sentiamo bestemmiare, nominare più che invano, il nome del Bambino che dovremmo andare a festeggiare, della sua Mamma o di tanti Santi, perché è raro che ci sentiamo offesi nella stessa maniera? Perché capita che non ci sentiamo feriti e indignati nella stessa maniera? Non si può essere credibili se davanti ad offese con parole indicibili verso la nostra Chiesa e i suoi massimi rappresentanti, davanti a chi dice che il Papa deve tacere per le sue basse speculazioni egoistiche (o arriva ad irridere e manipolare uno dei capisaldi del Vangelo quale “Ama il prossimo tuo come te stesso”), si rimane in silenzio, non ci si sente toccati minimente. O addirittura si applaude e si concorda.
Quel Bambino nella culla, che con infinita tenerezza e dolcezza ci apre le sue braccia, non accetta il part time. E il cuore lo vuole tutto intero. Tornando a chiederlo ogni giorno, donandoci quotidianamente ogni nuova occasione di cogliere, condividere e ardere con lui. Davanti all’altare o nei momenti più impensabili di ogni giorno. Perché Gesù non è venuto una volta per sempre, non è lontano da noi. “Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi” . Nell’impoverito che stende la mano per chiedere aiuto, nel malato o nell’anziano che cerca conforto anche solo con gli occhi (perché non riesce ad esprimersi diversamente), nel bambino che vorrebbe solo giocare ma non può, che vuol ridere ma è costretto a piangere, ci viene donata la possibilità di cogliere l’Amore, di essere credibili roveti ardenti.
Giunge a noi la Buona Novella che conforta i cuori, che consola gli afflitti e solleva chi è caduto, che dona dolcezza, tenerezza, la forza dell'Amore che s'incarna e trasforma il mondo. Non il ripetersi di una ritualità dovuta solo al succedersi degli anni sul calendario, ma incendiata dalla tenerezza del Bambino nella culla che com-muove. Sia Natale per chi non sa cosa l’aspetta l’indomani e vive nell’incertezza e nella paura, per chi sopravvive ai margini delle nostre città e che – nella frenesia e nella corsa quotidiana – nessuno vede. Sia Natale nei slum delle periferie della Storia e nei paesi dilaniati dalle guerre, per chi sogna in viaggio un futuro migliore. Sarà Natale asciugando le lacrime di chi attende la Buona Novella, accendendo comete nei cuori. Sia Natale per chi soffre in un letto d’ospedale, in una casa di riposo, per chi è solo e si sente abbandonato e cerca solo autentica umanità, una dolce, commovente carezza il cui calore scenda come balsamo nel cuore. La Santa Notte cerchiamo di cogliere la cometa che passa e annuncia la Buona Novella. Perché la vera cometa non passa veloce in cielo, non è una combinazione astrale, ma la dobbiamo accendere noi, nei cuori di chi ci vive accanto e nella vita di chi sogna un po’ di umanità, una carezza e tanto amore. Accendiamo qualche luce in meno sull'albero e tante comete in più nei cuori degli ultimi, degli impoveriti, degli indifesi, di chi soffre la disumana brutalità che intossica il mondo, mettiamo l'umanità del Bambinello di fronte ai regali e ai “grandi pranzi”. Diciamo no con coraggio a falsi profeti, a seminatori di zizzania, a chi pensa al Natale, al presepe, al Vangelo della Vita come meri orpelli piegabili agli interessi terreni. I nostri non siano auguri di circostanza, rituali. Abbracciamo, stringiamo (come il bambino con il suo piccolo amico ferito) e cerchiamo di apprezzare appieno, di sentire nel profondo, l'umanità di chi abbiamo di fronte. Siano i nostri, abbracci veri, intensi, forti, una dolce, commovente carezza al cuore.
Alessio