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Dal "Crocifiggilo" al "buttate via le chiavi": è sempre la stessa storia ...

Pasqua 2017

C'è un fenomeno vecchio quanto l'uomo, che in questi ultimi tempi ha ripreso vigore ed ha assunto forme nuove, che merita una riflessione anche su queste pagine: il populismo penale. Direte: è una questione tecnica, da Tribunali.. che cosa c'entra un giornalino parrocchiale con il populismo penale? C'entra, eccome se c'entra. Basti pensare che una delle folle impazzite più famose della storia, di quelle che cercano il capro espiatorio e tentano di condizionare chi comanda o giudica affinché la pena sia esemplare, l'abbiamo ricordata proprio qualche giorno fa, Venerdì Santo. Quel "crocifiggilo" urlato a Pilato nel giorno più drammatico della storia dell'uomo ancora risuona forte nelle coscienze di tutti noi. Sono passatiduemila anni, tutto è cambiato da allora, ma il meccanismo è sempre lo stesso. Si è solo arricchito di nuove modalità ed ha assunto tinte più forti.
Il populismo penale è un fenomeno che spesso non ha un capo carismatico e per questo è più strisciante rispetto alle altre forme di populismo che conosciamo. E' la carica emotiva che ciascuno di noi porta dentro di sè quando accadono fatti gravi, è l'indignazione che si fa teoria e vorrebbe condizionare e direzionare la giustizia a proprio piacimento. Ormai si è diffusa a dismisura la convinzione che attraverso la pena pubblica si possano risolvere i più disparati problemi sociali. L’opinione pubblica, aizzata e strumentalizzata da un'informazione senza scrupoli, chiede risposte sempre più forti. Ed è così che il legislatore ha bisogno di darle per acquisire consensi e il sistema giustizia, quello "reale", soffre il condizionamento di una giustizia parallela celebrata nei talk, nei giornali e nei bar. E questo cortocircuito, già abbastanza evidente, arriva al paradosso se si considera che è in atto, parallelamente, una costante azione di delegittimazione delle istituzioni in materia di giustizia. In parole semplici: al legislatore si chiede di aumentare le pene previste per i reati, al magistrato si chiede severità nell'applicazione della Legge, ma poi non ci si fida nè dell'uno nè dell'altro (e loro stessi certo non aiutano in questo), immersi come siamo in una sorta di rassegnazione al fatto che "tanto non funziona niente", "lo arrestano ma tanto uscirà domani". Da qui l'ansia di farsi giustizia da soli, con tutte le gravi e dolorose conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti.
Si è tenuto qualche mese fa un interessante convegno sull'argomento e il Prof. Luciano Eusebi, che insegna Diritto Penale all'Università Cattolica di Milano, sosteneva che il diritto penale è stato troppo spesso usato come alibi. Certo il reato, piccolo o grande che sia, è sempre una frattura delle relazioni umane e questa frattura ha bisogno di essere gestita e, ovviamente, il diritto penale è chiamato per sua natura ad occuparsi di questa gestione. Occorrerebbe, però, ed oggi più che mai, prima di introdurreun aumento di pena o una nuova fattispecie di reato, chiedersi se si è fatta una corretta strategia di prevenzione. Se consideriamo che, per raffigurare la giustizia, tradizionalmente si usa l'immagine della bilancia, è evidente il messaggio che si vuole veicolare: al negativo si risponde in modo corrispondente, con un altro negativo. L'unico modello di prevenzione che passa con l'immagine della bilancia è l'intimidazione. Ma il fulcro della buona prevenzione non sta nell'intimidazione, bensìnella capacità dell'ordinamento giuridico, della comunità, di tenere elevati i livelli di adesione alle norme per scelta personale, per consenso. Troppo complicato, vero? Bisognerebbe cambiare mentalità. Chissà quante volte abbiamo sentito dire intorno a noi (e, Dio non voglia, lo abbiamo detto anche noi) "per ciò che ha fatto dovrebbe marcire in galera". Eppure siamo Cristiani, battezzati. Certo, finché non toccano direttamente noi o non ci si rovina la cena con l'annuncio di una notizia tragica al Tg.
Che poi, il messaggio cristiano secondo il quale dinnanzi al male ciò che dà vita è solo un progetto di bene per chi ha compiuto quel male, non è "roba da sacrestie". Anzi, è un concetto laico, che oggi più che mai è necessario all'umanità. La nostra società non può più permettersi “l’occhio per occhio”: avremmo modi e maniere pe restare tutti ciechi. E' necessario che si torni a comunicare il buono, il bello e il vero, se vogliamo sperare di andare avanti.Ognuno di noi è chiamato in prima persona a farlo, come può e dove può. Non facciamo l'errore di considerarli discorsi da Tribunali o da Parrocchie. Sono discorsi che riguardano ciò che di umano è rimasto in ciascuno di noi.
Raffaella