Sulla devozione alla Madonna dei Miracoli
Così, nel Trionfo della morte (1894), Gabriele D’Annunzio introdusse il viaggio che i protagonisti avrebbero intrapreso verso il santuario della Madonna dei Miracoli e dove avrebbero trovato «[…] uno spettacolo meraviglioso e terribile, inopinato, dissimile ad ogni aggregazione già veduta di cose e di genti, composto di mescolanze così strane aspre e diverse che superava i più torbidi sogni prodotti dall’incubo […] tutte le basse tentazioni agli appetiti brutali, tutti gli inganni alla semplicità e alla stupidezza, tutte le ciurmerie e le impudicizie professate in pieno meriggio: tutte le mescolanze erano là, ribollivano, fermentavano, intorno alla Casa della Vergine».
Queste e le successive pagine del romanzo offrono uno spietato e magistrale affresco delle masse di pellegrini invocanti la grazia ai piedi della Vergine. Seguendo la biografia dell’autore, è possibile cogliere il parallelismo tra la sua esperienza personale e quella dei protagonisti. Le lettere a Barbara Leoni – dell’11 giugno 1887 e del 10 giugno 1891 – non solo testimoniano la presenza dello scrittore a Casalbordino ma offrono elementi per coglierne l’altalenante posizione: l’urgenza di prendere la distanza dallo «strato infimo della razza» e la costante attrazione verso di esso.
«[…] il disgusto li prendeva alla gola, li eccitava a fuggire; eppure l’attrazione dello spettacolo umano era più forte, li tratteneva nelle strettoie della calca, li portava dove la miseria appariva peggiore, dove si rivelavano con peggiori eccessi la crudeltà, l’ignoranza, la frode, dove le grida irrompevano, dove le lacrime scorrevano».
Alle vivide e potenti descrizioni di Gabriele D’Annunzio è possibile aggiungere un altro resoconto, del 1869, stilato dal frate minore Giustino e inviato al suo confratello Alessandro da Crecchio, futuro vescovo di Bovino.
«Se foste qui, vedreste innumerevoli compagnie composte di più centinaia, provenienti dai tre Abruzzi, dalla Capitanata, dalla Puglia, dalla provincia di Molise, da Avellino, dalle Marche, empire lunghe e spaziose vie, e correre in folla per visitare e sciogliere i loro voti alla Madonna dei Miracoli. A cominciare dall’antivigilia, cioè 9 giugno […] per più miglia da Casalbordino, da tutti i lati, giorno e notte, non si sentono altro che altissime e pietosissime voci che echeggiano per l’aria, ed imbalsamano l’estesissima atmosfera di queste contrade, cantando preghiere ed inni devoti di lodi e di benedizioni a Maria. Per più metri, prima di giungere al Santuario […] alcune intere compagnie danno il devoto spettacolo di porsi in ginocchio e, così ginocchioni, camminare per via, accostarsi ed entrare in Chiesa a venerare la Madonna dei Miracoli. Che dire poi di talune altre che per la stessa via, prostrandosi con tutta la persona sul polverosissimo suolo, fan solco, tra la molta polvere, con la lingua che strisciano per terra fino all’altare di Maria, cui vanno a ringraziare dei benefici ricevuti? Questi ed altri simili spettacoli che intere processioni presentano ai riguardanti, per le strade, fuori e dentro il tempio della Vergine, inteneriscono il cuore di tutti».
Il santuario e le sue pratiche religiose richiamarono non soltanto i fedeli ma anche osservatori attenti, incuriositi da quello che Gabriele D’Annunzio e il francescano definirono spettacolo. Tra questi osservatori giunti a Casalbordino è doveroso fare cenno a Basilio Cascella che riversò le sue sensazioni ne Il santuario di Casalbordino del 1896 o a Francesco Paolo Michetti e al suo monumentale dipinto, del 1900, intitolato Gli storpi,con il triste pellegrinaggio degli infermi verso il santuario dove l’artista francavillese, tra il 1895 e il 1900, venne più volte con la sua macchina fotografica per catturare «la dolente umanità dei pellegrini».
La chiesa descritta da Gabriele D’Annunzio è quella dell’architetto Torresi. Risalente al 1824, aveva una struttura a pianta greca con affreschi e decorazioni di Nicola De Arcangelis (1843). L’altare che conservava l’immagine della Vergine era stato modificato qualche anno prima la pubblicazione del romanzo quando, nel 1886, l’arcivescovo di Chieti Luigi Ruffo Scilla ordinò l’abbattimento dell’altare seicentesco in muratura per sostituirlo con uno in legno. L’affresco della Vergine, invece, fu distaccato dal muro e trasferito su tela.
Le notizie sul santuario, soprattutto nei decenni successivi l’apparizione oggi fissata all’11 giugno 1576 dopo che per secoli fu attribuita al 1527, sono quasi nulle. Un primo riferimento certo è rintracciabile nella Numerazione dei fuochi del 1665 in cui la chiesa di Miracoli è definita “chiesola” anche se usufruiva dei legati del marchese D’Avalos che aveva il diritto di nominare il cappellano. La prima visita pastorale alla nostra “chiesola” si ebbe solo nel 1681 da parte del vescovo di Chieti Niccolò Radulovich. Fu necessario attendere che la giurisdizione spirituale delle chiese di questo territorio passasse dai Padri Conventuali di Roma che controllavano i beni di S. Maria Arabona e di S. Stefano in rivo maris alla Curia teatina. Nel 1765 la visita pastorale si svolse l’11 giugno. Come ha evidenziato Luigi Lucarelli, nel documento non si accenna «ad alcuna festa o celebrazione o ricorrenza». Solo nella Visita pastorale del 1825 fatta dall’arcivescovo Carlo Maria Cernelli alla nuova chiesa – quella del Torresi – vi è descritto l’altare maggiore con l’immagine della Vergine ricco di voti e donativi. La somma divozione e concorso di fedeli portò, in questo stesso anno, l’arciprete di Casalbordino, Carmine Antonio Marchesani, ad avanzare richiesta, accolta dal pontefice Leone XII che, il 23 novembre 1825, concesse l’indulgenza a coloro che si sarebbero recati al santuario tra il 10 giugno e il 10 luglio. Si può quindi asserire che il culto a Miracoli si attestò tra gli ultimi anni del Settecento e gli inizi dell’Ottocento. L’aumento dei fedeli evidenziò i limiti gestionali del santuario legato all’autorità comunale e amministrato spiritualmente dal parroco della chiesa del SS. Salvatore di Casalbordino. Questo sarà uno dei motivi che favorirà l’arrivo, nel 1925, dei monaci sublacensi e alla costruzione del monastero.
Il bombardamento del 24 novembre del 1943, oltre a provocare 20 morti, danneggiò la chiesa del 1824. La necessità di riparare i danni e il desiderio di costruire un edificio più ampio portarono alla realizzazione della nuova chiesa, progettata da Giuseppe Zamboni e consacrata nel 1962. Gli anni sessanta e i decenni successivi tracceranno un solco profondo tra il “tempo antico” e il nuovo, modificheranno le pratiche religiose e spazzeranno via usi e consuetudini.
La trasformazione di questo spazio, nel corso dei secoli, non ha modificato la sacralità del luogo. Luogo esistente, concreto, diventa per tutti – credenti e non – testimonianza della nostra storia. Senza spazio, la memoria diventa incerta e rischia di sparire. Quando la memoria si oblìa, si annulla anche l’identità. Senza identità si è orfani della consapevolezza: di quello che si è e di quello che si potrebbe diventare; di quello che si ha e di quello che si potrebbe ricevere dall’Altro. In definitiva, in questo luogo, c’è una parte della nostra identità, di donne e di uomini, c’è la nostra umanità.
Michele Del Monte