Intorno al Vangelo di Giovanni
Nel corso dei nostri ultimi "pareri" siamo venuti annotando le ragioni per cui l'attribuzione del Vangelo di Giovanni al più giovane tra gli Apostoli risulta essere quantomeno problematica (tale attribuzione è dovuta infatti, più che altro, alla sua diffusione e trasmissione insieme all'Apocalisse attribuita allo stesso Giovanni, la cui paternità è certamente più sicura, se non altro per la narrazione in prima persona che la caratterizza), riferendoci in particolare:
- alla mancanza, nel suo testo, di episodi che gli altri Vangeli canonici ci riferiscono come vissuti da protagonista da Giovanni, come la Trasfigurazione di Gesù a cui assistette insieme al fratello Giacomo e a Pietro, che vi fa riferimento nella sua seconda lettera in 2 Pietro, 1,17-18:
17Egli ricevette infatti onore e gloria da Dio Padre quando dalla maestosa gloria gli fu rivolta questa voce: "Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto". 18Questa voce noi l'abbiamo udita scendere dal cielo mentre eravamo con lui sul santo monte;
- al Prologo, la pagina iniziale dello stesso Vangelo, che è troppo piena di riferimenti al Vecchio Testamento e di complicati concetti teologici per essere stato scritto da un giovane pescatore, sia pure divinamente ispirato (secondo una certa teoria pare che invece tale pagina sia stata concepita negli ambienti del Sinedrio, ossia della massima assemblea ed autorità religiosa ebraica di Gerusalemme dell'epoca di Gesù sotto il governo dei sommi sacerdoti, i famigerati Anna e Caifa protagonisti della condanna del Salvatore, come ora dimostrerebbe una copia antica di tale testo);
- all'impostazione generale data al testo, che vuole gli episodi narrati come puntate di un continuo confronto tra Gesù e le correnti teologiche e culturali del tempo come i farisei e i sadducei (si ricorda ancora una volta che i primi volevano un ritorno alle rigide prescrizioni della legge mosaica in verità più formale che sostanziale tanto da meritarsi la qualifica di ipocriti da parte di Gesù, mentre i secondi non credevano alla resurrezione dei morti, tanto da metterlo alla prova con la paradossale storia della moglie con sette mariti defunti);
- e, per concludere, ad una circostanza che ci induce a considerare i tratti identificativi del narratore del Vangelo di Giovanni, vale a dire un narratore colto, addentrato nel dibattito culturale, teologico e politico del suo tempo, abitante di Gerusalemme (ci riporta precisamente le denominazioni dei luoghi in cui Pilato esercitava la giustizia) e conoscitore dei suoi centri di potere, come assai coincidenti con la figura di Giuseppe d'Arimatea, ma ancora di più con un'altra figura che compare solo nel Vangelo di Giovanni, in tre sequenze diverse e che sembra accompagnarlo nella deposizione dalla Croce e nella sepoltura di Gesù, ossia quel Nicodemo che era andato a cercarlo per un contatto segreto prima del Suo arresto per ottenere chiarimenti teologici e che durante il processo davanti al Sinedrio aveva cercato di difenderlo (poiché evidentemente faceva parte, insieme allo stesso Giuseppe, della corrente di minoranza di quella assemblea che non approvava l'operato degli altri, come ci testimoniano gli altri Vangeli), ossia la circostanza della deposizione e del rituale della sepoltura di Gesù, come narrato in Giovanni, 19,38-42:
38Dopo questi fatti, Giuseppe d'Arimatéa, che era discepolo di Gesù, ma di nascosto per timore dei Giudei, chiese a Pilato di prendere il corpo di Gesù. Pilato lo concesse. Allora egli andò e prese il corpo di Gesù. 39Vi andò anche Nicodèmo, quello che in precedenza era andato da lui di notte, e portò una mistura di mirra e di aloe di circa cento libbre. 40Essi presero allora il corpo di Gesù, e lo avvolsero in bende insieme con oli aromatici, com'è usanza seppellire per i Giudei. 41Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora deposto. 42Là dunque deposero Gesù, a motivo della Preparazione dei Giudei, poiché quel sepolcro era vicino.
In questo passo sembra essere clamorosamente smentito quanto affermato da Marco e dagli altri Vangeli sinottici di Luca e Matteo, ossia l'avvolgimento del corpo di Gesù in un lenzuolo e quindi l'esistenza stessa della Sindone, a favore di un normale rituale ebraico di derivazione egizia, con l'impiego di bende e di una grande quantità di essenze e olii aromatici, di cui il nostro personaggio è fornitore (di tale divergenza tra i Vangeli canonici ci siamo già occupati in un nostro precedente "parere" dal titolo Quel funerale, di sera, a Gerusalemme ), ma, come già accennammo in quella occasione, tale divergenza probabilmente è solo apparente (a meno che non si voglia considerare menzognero gli uni o l'altro), poiché il lenzuolo sindonico può essere benissimo stato usato solo in un primo momento per il trasporto al sepolcro in attesa dell'arrivo di Nicodemo (anzi, pare che di quel trasporto rimanga anche un'altra reliquia, il cosiddetto "cappuccio di Toledo", appunto perché conservato nella omonima città spagnola, un drappo contenente macchie di sangue in posizioni tali da far dedurre che avrebbe coperto per poco tempo il capo del Salvatore durante la deposizione dalla Croce).
Quanto detto sopra sembra essere stato anche precisamente rappresentato in uno strano affresco del XII secolo, raffigurante la Sepoltura, che si trova nella chiesa di Santa Lucia a Rocca di Cambio, in cui si vede Gesù nel sepolcro avvolto in bende, con un personaggio che ha in mano un strano oggetto che sembra proprio un lenzuolo.
Inoltre, come si vede, nel testo sono presenti particolari, come il numero quasi esatto delle libbre e delle denominazioni degli unguenti utilizzati per la conservazione del corpo (cento libbre di mirra e aloe), tali che solo chi ha effettuato l'acquisto in prima persona avrebbe potuto conoscere e da cui si riceve conferma dell'ipotesi sopra descritta che il lenzuolo utilizzato per avvolgere il corpo, che oggi si identifica con la Sindone, sia stato probabilmente un mezzo per trasportarlo fino al sepolcro, dove è avvenuta poi la sepoltura vera e propria con il normale rituale ebraico, come del resto è sancito dalle stesse parole di Giovanni («com'è usanza seppellire per i Giudei ») e come si ricava anche dall'episodio della risurrezione di Lazzaro, in cui Gesù medesimo ordina ai presenti di sciogliere le bende dell'amico risuscitato per lasciarlo andare, nonché dal versetto di Luca, 24, 12 che conferma indirettamente la versione di Giovanni, affermando che Pietro nel sopralluogo al sepolcro dopo la Resurrezione, vide solo le bende («Pietro tuttavia corse al sepolcro e chinatosi vide solo le bende. E tornò a casa pieno di stupore per l'accaduto»).
A questo proposito non si può fare a meno di notare come la sostituzione della parola "bende" con "teli" nell’ultima traduzione italiana del passo del Vangelo di Giovanni sulla perlustrazione, quasi da ispezione della scena del crimine di sottrazione di cadavere, di Pietro e dello stesso Giovanni al sepolcro dopo la notizia della Resurrezione, sembra essere quantomeno, diciamo così, eccessivamente zelante, perché, se la volontà era quella di accreditare maggiormente la Sindone, come si è visto non ce ne era assolutamente bisogno, in quanto quest'ultima viene accreditata autonomamente dal passo precedente sulla sepoltura dei Vangeli sinottici di Marco, Matteo e Luca, che la individua con il lenzuolo usato per il trasporto al sepolcro, dando per assodato invece che il "sudario che gli era stato posto sul capo", trovato "piegato in un luogo a parte", sia da identificare con il drappo oggi venerato con il nome di "Volto Santo di Manoppello". Ciò rende oltretutto illogico anche l'uso del plurale "teli", essendo uno solo il lenzuolo sindonico e parlandosi successivamente a parte del già detto sudario; e tutto questo a prescindere dalle valutazioni filologiche, quali la parola greca antica precisa usata nel testo (sembra strano che il greco antico abbia la medesima parola per definire due oggetti così diversi come la benda e il telo, che di solito è molto più grande e che, in caso sia proprio la stessa, i traduttori precedenti abbiano commesso un errore così evidente) e trascritta negli apografi, cioè nelle copie dei testi più antichi tramandatici dei Vangeli, scritti appunto in greco antico, che, per la cronaca, sono contenuti nel Codice Vaticano B, conservato presso la Biblioteca Apostolica Vaticana di Roma.
Un'altra circostanza in cui il narratore del Vangelo di Giovanni entra in contraddizione, come vedremo ancora una volta apparente, con gli altri Vangeli canonici, in particolare con quello di Luca, è la descrizione dei processi davanti al Sinedrio e Pilato e della crocifissione di Gesù, in riferimento specificamente al dibattimento in Sinedrio, alle reazioni di Pilato, alle sue decisioni, alle reazioni dei suoi membri a queste ultime e ai malfattori con Lui condannati e al loro atteggiamento, visto che tutto ciò viene riportato con dovizia di particolari e annotazioni inedite. Ci si riferisce al fatto che Pilato dettò personalmente l'iscrizione da mettere sulla Croce o che i membri del Sinedrio furono contrari alle espressione in essa inserita di "Re dei Giudei", come se fosse stato presente di persona sul luogo, e che viene ignorato l'episodio del buon ladrone riportato da Luca, limitandosi ad affermare la presenza dei due ladroni, come si legge in Giovanni, 19,17-18
7Essi allora presero Gesù ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo del Cranio, detto in ebraico Gòlgota, 18dove lo crocifissero e con lui altri due, uno da una parte e uno dall'altra, e Gesù nel mezzo.
come se avesse seguito l'arrivo del corteo sulla scena della Crocifissione da un'altra direzione, mescolandosi alla folla che arrivava sul luogo per curiosare, tanto che ci riferisce come molti cittadini di Gerusalemme lessero l'iscrizione dettata da Pilato, pur confermando che il più giovane degli Apostoli era presente insieme a Maria, ma facendo anzi in tempo ad annotare quelle che sarebbero state alcune delle parole di Gesù sulla Croce, ovvero l'affidamento di Giovanni (e di tutti noi) alla Madre e viceversa: una umanissima preoccupazione per il futuro delle persone a Lui più care.
Poi pone l'attenzione sull'operato dei soldati, che prima si dividono le vesti di Gesù, poi ne tirano a sorte la tunica (c'è anche un celebre film americano degli anni '50 intitolato appunto La Tunica, con Victor Mature), Gli porgono da bere aceto e Gli squarciano il fianco con una lancia, non spezzandogli invece le gambe per portarlo via come avrebbero voluto invece le autorità ebraiche, al fine di interpretarlo come adempimento delle Scritture profetiche, da narratore colto quale è ed infine concludere con l'annotazione di quelle che sarebbero state le ultime parole di Gesù: un sobrio e rassegnato:«Tutto è compiuto»; non dunque il drammatico appello supremo al Padre celeste che ci raccontano gli altri Vangeli, anche perché sembra che i condannati alla crocifissione, per gli effetti di sfiancamento polmonare tipico della pena, non potessero certo permettersi di gridare.
A conclusione di questa sia pur sommaria ricognizione, si può serenamente affermare che il Vangelo di Giovanni (ma a questo punto, forse, anche se con tutta la prudenza del caso, sarebbe meglio dire di Nicodemo o dello pseudo-Giovanni) non è certo una voce fuori dal coro dei Vangeli sinottici (su cui peraltro ci sarebbe molto da dire) da isolare o regolarizzare a tutti i costi, ma un punto di vista diverso sulla vicenda terrena del Salvatore, che ci racconta come questa era veduta e vissuta da un intellettuale e politico dell'apparato istituzionale ebraico del tempo, ma di grande apertura mentale e favorevole alla tolleranza, che cercò di opporsi alla condanna di Gesù e che pertanto ci fa ragionevolmente sperare in un futuro riconoscimento della Sua missione messianica anche da parte dei nostri "fratelli maggiori", come sono stati chiamati gli Ebrei da San Giovanni Paolo II.
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