Una scenetta autentica, registrata
ai giardini pubblici di una grande città. Un vecchietto,
capelli bianchi, occhiali cerchiati d'oro sulla punta del naso,
sta leggendo un libro, seduto su una panchina. Tutt'intorno è
un gran rincorrersi di bambini che giocano con pistole e pugnali
di plastica. "Bang! Bang!", "Sei morto! Ti ho
beccato!".
Il vecchietto osserva i bambini
al di sopra degli occhiali e poi chiede: "A che cosa giocate?".
"Giochiamo alla guerra!", rispondono i bambini. Il
vecchietto li guarda sorridendo: "Perché non giocate
alla pace?". "È una buona idea", dicono
i bambini. Formano un conciliabolo
fitto fitto bisbigliano un po', poi piombano nel silenzio. Un
bambino torna dal vecchietto e chiede: "Nonno, ma come si
gioca alla pace?". Che mondo è mai quello nel quale
i bambini non sanno giocare alla pace? Durante la Guerra del
Golfo, le vendite di giocattoli rappresentanti armi e guerrieri
sono aumentate vertiginosamente. La guerra, anche quella quotidiana
scatenata dalla micro e maxidelinquenza, è uno spettacolo.
Giorno dopo giorno tutti ci avviciniamo al- l'assuefazione dell'aggressività
e della violenza, accompagnati dalla constatazione che "non
ci possiamo fare niente ". Dobbiamo sopravvivere in una
società che è stata definita un "serbatoio"
di violenza: teppismo, delinquenza, pestaggi, liti, cabine telefoniche
a pezzi, scatti nervosi, insulti...
A oltre ventimila giovani hanno chiesto: " Se vedi
picchiare qualcuno, come reagisci? ". Il 65 per cento ha
risposto: "Dipende da chi lo picchia ", oppure "Scappo
o sto a guardare". "Pensare ai fatti propri, oggi,
è una legge generale. Il racconto che presentiamo intende
far riflettere sulla "radice" dell'aggressività,
conficcata nel cuore dell'uomo. Ed è dal cuore dell'uomo
che occorre incominciare a "costruire" la vera pace.
Secondo quanto afferma Gesù: "È dal cuore
che vengono tutti i pensieri malvagi che portano al male: gli
omicidi, i tradimenti, i peccati sessuali, i furti, le menzogne,
gli insulti... Sono queste le cose che fanno diventare impuro
l'uomo" (Matteo 15,19-20).


UNA GAMBA DI SEDIA
Tutto cominciò nella sede dell'
Alto Comando di Tutte le Guerre. Un giovane con la divisa da
sergente del Super Esercito era stato convocato da uno dei Grandi
Generali. Una sentinella lo fece entrare nell'ufficio del Generale.
"Si sieda, giovanotto ", disse l'alto
ufficiale.
"Grazie ", rispose il giovane sergente,
e si sedette.
"Ho sentito voci sul suo conto",
esordì l'ufficiale in tono di simpatia. "Oh, niente
di importante. Nervosismo. Un certo senso di disagio. Sono mesi
ormai che sento parlare di lei, e così ho pensato di chiamarla.
Magari le piacerebbe cambiare lavoro. All'estero, forse, o in
una zona di guerra? Se stare dietro una scrivania l'annoia, vorrebbe
tornare alle vecchie battaglie? ".
"Credo di no ", rispose il giovane
sergente.
"Che cosa vuole allora?".
Il sergente scrollò le spalle e si guardo
le mani: "Vivere in pace. Sapere che durante la notte, chissà
come, i cannoni di tutto il mondo si sono arrugginiti, i batteri
delle armi batteriologiche non sono più buoni neanche
a fare lo yogurt, i carri armati e i bombardieri sono sprofondati
come mostri preistorici nelle strade trasformate in pozzi di
catrame. Ecco che cosa vorrei ".
"È quello che tutti vorremmo, naturalmente",
disse l'ufficiale, anche se i suoi occhi dicevano il contrario.
"Ma ora basta con queste chiacchiere idealistiche e mi dica
dove vorrebbe essere mandato. A lei la scelta: o la Zona di Guerra
orientale o la Zona di Guerra settentrionale".
Il Generale indicò una mappa rosa distesa
sul tavolo.
Ma il giovane sergente continuò come
se stesse parlando con le sue mani che continuava a muovere e
a fissare intensamente. "Che cosa fareste voi ufficiali,
che cosa faremmo noi soldati, che cosa farebbe il mondo se domani,
svegliandoci, scoprissimo che tutte le armi si sono ridotte in
polvere? ".
La Macchina
L'ufficiale si accorse che doveva dare
fondo a tutta la sua diplomazia per trattare con il sergente.
Accennò un sorriso. "È una domanda interessante.
Mi piacciono molto le discussioni teoriche e sono convinto che
se accadesse una cosa del genere, il mondo intero cadrebbe in
preda al panico. Ogni nazione penserebbe di essere l'unica disarmata
e accuserebbe i nemici della responsabilità del disastro.
Ci sarebbe un'ondata di suicidi, i mercati azionari crollerebbero,
insomma un milione di tragedie. Mi creda: è la guerra
che fa vivere il mondo! ".
"E dopo? ", domandò il sergente.
"Quando la gente si accorgesse che è vero, che ogni
nazione è disarmata e che non c'è nulla da temere,
se fossimo tutti nelle condizioni di ricominciare daccapo un
nuovo modo di vivere, che cosa succederebbe?".
"Le nazioni si riarmerebbero il più
in fretta possibile".
"E se anche questo potesse essere impedito?
".
"Ci si combatterebbe a pugni. Sterminati
eserciti di uomini armati di guantoni con punte d'acciaio si
schiererebbero ai confini di ogni paese. E se si strappassero
loro i guantoni, si combatterebbe con le unghie e con i denti.
E se gli si amputassero le braccia, si sputerebbero addosso.
E se gli si tagliasse la lingua e gli si conficcasse in bocca
un tappo, riuscirebbero a riempire l'atmosfera con una concentrazione
di odio tale da uccidere tutti gli insetti e far piombare stecchiti
a terra gli uccelli dai fili del telefono".
"Allora non pensa che sarebbe una cosa
buona? ", domandò il sergente.
"Neanche per sogno. La guerra è
utile. È la forza che manda avanti il mondo! Metta via
la sua "ruggine" e pensi ad una bella battaglia! ".
Il giovane sergente alzò la testa di
scatto. "Come fa a sapere che ce l'ho? ".
"Che cosa? ".
"La ruggine, naturalmente ".
"Ma di che cosa sta parlando? ".
"Posso farlo, capisce? Potrei mettere
in moto la ruggine stasera stessa, se volessi".
L'ufficiale scoppiò a ridere. "Lei
sta scherzando ".
"Non mi sogno neanche. Volevo venire io
da lei a parlare. Sono lieto che mi abbia chiamato. È
da anni che lavoro a questa mia invenzione, è il sogno
della mia vita. Ha a che fare con la struttura di certi atomi.
Se si studiano attentamente, si scopre che la sequenza degli
atomi nell'acciaio obbedisce a una regola precisa. Quello che
cercavo io era un fattore che mettesse scompiglio negli atomi.
Come sa, io sono laureato in fisica e metallurgia. L'idea da
cui sono partito è che esiste nell'aria, in ogni momento,
una sostanza ossidante. È il vapore acqueo. Ho trovato
il modo di dirigerlo a colpo sicuro. Un raggio di vapore acqueo
concentrato. Non lo dirigerò contro ogni tipo di metallo,
naturalmente. La nostra civiltà è fondata sull'acciaio
e io non vorrei certo distruggere la maggior parte degli edifici.
Mi limiterei a eliminare i cannoni e i proiettili, i carri armati,
gli aerei, le navi da guerra. Posso adattare la macchina anche
al rame, all'ottone e all'alluminio, se necessario. Basta che
passi vicino a quelle armi per farle disgregare".
Il generale guardava il sergente con gli occhi
fissi e la bocca aperta. Gli si leggeva in faccia un pensiero
preciso: "Hanno proprio ragione, è completamente
matto! ". Infilò una mano nella tasca interna della
giacca e ne trasse una costosa penna a sfera il cui cappuccio
era costituito da una pallottola di fucile. Tolse il cappuccio
e cominciò a riempire un modulo. "Voglio che porti
questo al dottor Mattei e che si faccia visitare dalla testa
ai piedi. Non che sospetti niente di male, sia chiaro. Ma non
sente anche lei il bisogno di rivolgersi ad un medico?".
Un mucchietto di polvere
finissima
"Lei pensa che io stia mentendo
a proposito della macchina", ribatté il sergente.
"Invece non mento. È così piccola che la si
può nascondere in un pacchetto di sigarette, ma ha un
raggio d'azione di millecinquecento chilometri. Potrei coprire
l'intero paese in pochi giorni, adattando la macchina ad un certo
tipo d'acciaio. Le altre nazioni non potrebbero approfittarne,
perché farei subito arrugginire le loro armi se tentassero
di invaderci. Nel giro di un mese il mondo intero sarebbe liberato
per sempre dalla guerra. Non so come sono riuscito a inventare
la macchina. È impossibile, a prima vista. Ma dicevano
impossibile anche la radio e l'aeroplano. Nessuno pensa che potrà
mai esserci la pace. Ma la pace verrà".
"Vada subito a farsi visitare dal dottor
Mattei ", disse in fretta l'ufficiale.
"No. Lascio la base entro pochi minuti.
Ho un lasciapassare".
Il sergente aprì la porta dell'ufficio
e uscì.
L'uscio si richiuse e l'ufficiale rimase solo.
Sospirò. Si strofinò le mani sugli occhi. Poi trillò
il telefono. Rispose con voce assente.
"Oh, salve, dottore. Stavo proprio per
chiamarla". Una breve pausa. "Quel sergente è
matto da legare. Volevo mandarlo da lei. Può andare in
giro così? Ah, è innocuo. Se lo dice lei, dottore.
Probabilmente ha bisogno di riposo, di un lungo riposo. Il povero
ragazzo ha delle allucinazioni piuttosto interessanti. Sì,
sì. Un vero peccato. Ma sono i guai che combina una guerra
così lunga, immagino ".
Cominciò a parlare il medico.
Il Generale stette ad ascoltarlo annuendo.
"Voglio prendere un appunto. Aspetti un istante". Si
infilò la mano nel taschino per prendere la penna. Niente.
Si passò le mani in tasca. Si mise a perlustrare tutti
i cassetti. Ricontrollò il taschino del giubbotto. Niente.
Poi infilò lentamente le dita nel taschino, fino in fondo.
Fra il pollice e l'indice afferrò un pizzico di qualcosa.
La sparse sulla scrivania: un mucchietto di
polvere finissima, ruggine color arancione.
Restò immobile a guardarla per qualche
secondo. Poi afferrò il telefono di servizio. "Pronto,
posto di guardia, ascoltatemi. C'è un uomo che vi passerà
davanti da un momento all'altro, lo conoscete, il sergente Hollis.
Fermatelo, sparategli addosso, uccidetelo se è necessario,
non fategli domande, è il comandante che vi parla. Sì,
uccidetelo, avete sentito bene! ".
"Ma, signore", disse una voce sconvolta
all'altro capo della linea. "Non posso, proprio non posso...
".
"Come sarebbe a dire che non può,
maledizione! ".
"Il fucile si è polverizzato...
".
Il Generale sprofondò nella poltrona.
Per mezzo minuto rimase inerte, boccheggiante.
Fuori, in quel momento, gli hangar si stavano
sbriciolando in soffice polvere dorata, i bombardieri venivano
portati via dal vento in una nuvola di ruggine rossiccia, i carri
armati stavano sfaldandosi. Anche le autoblindo si stavano dissolvendo
in sbuffi di polvere, i loro autisti si trovavano improvvisamente
a sedere sull'asfalto ancora con i pugni chiusi intorno ad un
volante che non c'era più.
"Ascoltatemi, ascoltatemi ", urlò
l'ufficiale. "Inseguitelo, prendetelo con le mani, strozzatelo
con i pugni, pestatelo con i piedi, ma prendete quell'uomo! ".
Riappese il ricevitore.
Istintivamente aprì di scatto l'ultimo
cassetto della scrivania per prendere la pistola. Un mucchi etto
di ruggine bruna riempiva la fondina nuova di cuoio. Balzò
in piedi.
Mentre usciva dal suo ufficio afferrò
una sedia. È di legno, pensò. La scaraventò
due volte contro il muro e la sedia andò in pezzi. Raccolse
una delle gambe, la impugnò con forza, il volto rosso
di eccitazione e rabbia, il respiro che gli usciva affannoso
dalle narici, la bocca spalancata. Si percosse il palmo della
mano sinistra con la gamba della sedia, come per provarla. "Va
bene, a noi! ".
Si precipitò all'aperto con un urlo
sbattendo si la porta dietro le spalle.
Come finirà questa storia? Il Generale raggiungerà
il sergente e lo fermerà con la sua clava? O il sergente
riuscirà a polverizzare tutte le armi del mondo? Provateci
voi ad inventare un finale.


L'esperienza nascosta nel
racconto
La domanda "più urgente fra tutte quelle che
si pongono oggi alla civiltà" è esattamente
la stessa che Einstein poneva a Freud più di cinquant'anni
fa, nel 1932: "C'è un modo per liberare gli uomini
dalla fatalità della guerra?" Oggi, ancora più
di ieri, "rispondere a questa domanda è divenuto
questione di vita o di morte per la civiltà da noi conosciuta"
(S. Freud). La "polverizzazione" di tutte le armi,
per esempio, farebbe scomparire la guerra? A questa domanda la
nostra storia risponde in modo pessimistico: gli uomini continuerebbero
a combattere ugualmente, con le gambe delle sedie o a pugni e
calci. Perché la voglia di guerra nasce "dentro"
l'uomo. La conclusione, allora, è semplice: è "dentro"
l'uomo che dobbiamo far nascere l'avversione alla guerra e la
volontà di pace.
Per il dialogo
È importante che gli allievi provino a continuare
la storia. I vari finali suggeriti possono essere discussi insieme.
Uno dei punti chiave della storia è il dialogo tra il
Generale e il giovane sergente. L'insegnante può rivedere
e discutere con i suoi allievi le argomentazioni sostenute da
entrambi. Il senso della storia può essere approfondito
con l'aiuto di alcune domande: . Provate a rispondere alla domanda
del giovane sergente: "Che cosa farebbe il mondo se domani,
svegliandoci, scoprissimo che tutte le armi sono diventate polvere?
". . Che cosa vi ricorda il Generale che, armato di una
clava di legno, insegue urlando il giovane sergente? . "La
guerra è utile ", afferma il Generale. A chi è
utile una guerra? . Conoscete delle "guerre" che si
combattono ogni giorno, magari anche in classe? Quali sono i
motivi che le fanno scoppiare?
Per l'attività
L'insegnante può insegnare la pace soprattutto attraverso
dei giochi. È qui che i ragazzi imparano il senso della
fiducia reciproca e della cooperazione. Uno dei più semplici
è Il gioco della carta. Si tratta di una tecnica che aiuta
le persone a condividere le proprie idee riguardo a certi problemi.
L'insegnante consegna un foglio di carta ad ogni allievo e chiede
di scrivere la risposta ad una domanda che può esse- re:
"Tre aspetti che non mi piacciono della scuola, tre cose
che mi fanno paura, ecc. ". Quando tutti hanno finito, mischia
i fogli e li riconsegna in modo che tutti abbiano il foglio di
qualcun altro. Chiede di leggere il primo commento sul foglio
specificando se può riferirsi anche a se stessi. Si tratta
di un esercizio che aiuta a rendersi conto che gli altri hanno
le stesse preoccupazioni e paure. È una constatazione
che aiuta il senso di comunità.
Anche la Bibbia racconta...
Quando le guardie andarono ad arrestare Gesù, uno
dei suoi discepoli sguainò la spada e colpì il
servitore del Sommo Sacerdote. Ma Gesù lo fermò
e anzi guarì il ferito. L'episodio è raccontato
dall'evangelista Luca 22,49-50.

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