IL FIUME SENZA PONTE


introduzione


fiaba


didattica


Viva la pace!


Alle elementari spesso gli insegnanti propongono una lezione sulla guerra perché i bambini "prendano coscienza ". La maestra spiega dove sono la Bosnia, la Somalia o la Georgia, e racconta che cosa succede cercando di trasmettere ai bambini i valori della pace. Poi si fa la discussione in classe e si scrivono temi e pensieri. "La guerra scoppia per motivi religiosi, economici e politici", ha scritto Davide, 8 anni. "La guerra è una cosa brutta che si fa per i soldi e per conquistare i paesi degli altri ", dice Alessandro, quarta elementare. Idee giuste, certo. Ma il bambino sente davvero quello che dice, o ripete idee e parole che gli restano terribilmente estranee? L'impressione, a volte, è che i piccoli recitino un copione scritto da altri, un po' come a Natale si recita la poesiola che parla di pace e di amore.
Antonio Faeti, pedagogista e docente di letteratura infantile all'Università di Bologna, afferma: "Fino a 10-11 anni i bambini possono afferrare genericamente che la guerra è una cosa brutta e da condannare, ma non sanno e non possono capire di più. I bambini sanno essere opportunisti: oggi capiscono dall'atmosfera generale che bisogna essere dalla parte della pace e si adeguano, ma questa non è una garanzia che sappiano di cosa stanno parlando ".
Dalle piccole Guardie Rosse di Mao ai Figli della Lupa di Mussolini, il mondo ha tanti esempi di bambini che ripetono slogan di pace o di guerra senza capirli, per far contenti gli adulti.
Le parole d'ordine che oggi propongono gli insegnanti e i genitori più impegnati sono giuste, positive: no alla guerra, no alla mafia, pace, libertà, democrazia. Ma i bambini hanno bisogno di assimilarle pian piano, un poco alla volta, con termini e concetti "su misura ", senza scimmiottare i grandi.
Per questo si può incominciare a parlare di ciò che significa la pace, anche partendo da una storia semplice e un po' buffa come la seguente.




IL FIUME SENZA PONTE

  C'erano una volta due paesini, uno sulla riva destra e l'altro sulla riva sinistra di un fiume. Il paese a destra si chiamava Riano Dilà, quello a sinistra Riano Diqua.
   Il fiume che scorreva in mezzo, quasi sempre placido e tranquillo, si chiamava Orco. Un nome feroce, dovuto solo al fatto che un tempo nella sua sabbia si era trovato l'oro. Ma poteva riferirsi anche ai riflessi dorati delle sue acque al tramonto.
   Il fiume non poteva essere attraversato. Non che fosse così difficile, ma non esistevano ponti e, soprattutto, nessuno ci provava.
   Perché quelli di Riano Dilà odiavano con tutte le loro forze gli abitanti di Riano Diqua. Quando qualche dilaese vedeva qualche diquaino sull'altra riva del fiume, come prima cosa lo investiva con coloriti insulti e poi, esaurite le parolacce, incominciava a tirare pietre. Chi stava sull'altra riva faceva la medesima cosa. Le pietre non arrivavano mai da una riva all'altra, per fortuna. Facevano "pluf!" "pluf! nell'acqua.
   Era diventato un rumore abituale. Quando si sentivano dei "pluf! ", significava che qualcuno si era avvicinato troppo alla riva. Anche i bambini, quando d'estate si tuffavano nell'acqua chiara dell'Orco, non passavano mai la metà del fiume. Le rare volte che succedeva, i piccoli dilaesi e i piccoli diquaini se le suonavano di santa ragione.
   Quelle sere si sentiva il rumore dei cerotti e degli impacchi sia di qua che di là dell'Orco, che si girava nel suo letto di sabbia, brontolando appena.

I due musei

   I due paesi avevano un municipio, un sindaco, un'osteria e, caratteristica singolare, un museo.
   Anche se entrambi i musei, formati da un'unica minuscola stanzetta, custodivano un solo reperto prezioso. Dentro una teca di vetro a prova di topo e formiche, nel museo di Riano Diqua c'era una botticella d'argento, nel museo di Riano Dilà un boccale d'argento. Per questo sul gonfalone di Riano Diqua troneggiava una botticella, mentre sul gonfalone di Riano Dilà campeggiava un boccale.
   Antiche leggende di Riano Diqua raccontavano che la botticella d'argento era fatata: poteva versare vino senza svuotarsi mai. In realtà, quando era stata ben scossa, aveva versato solo un po' di polvere e un ragnetto seccatissimo per essere stato disturbato durante la siesta.
   Le antiche leggende di Riano Dilà sostenevano che il massiccio boccale d'argento, simbolo e orgoglio del paese, era veramente prodigioso. Chiunque lo avesse accostato alle labbra avrebbe potuto bere a sazietà il vino più buono della Terra. In realtà, tutti quelli che avevano provato a bere dal boccale d'argento avevano percepito solo l'amaro sapore del nulla.
   Questo non impediva alla popolazione dei due paesi di vantare la superiorità del proprio oggetto fatato.
   Erano successi anche fatti incresciosi, rimasti in gran parte ancora nell'ombra del mistero.
   Una notte infatti un gruppo di robusti giovanotti di Riano Diqua aveva deciso di fare una spedizione punitiva a Riano Dilà e portare via l'orgoglio dei dilaesi: il famoso boccale d'argento. Si erano infilati dei passamontagna neri e sui gommoni dei pompieri erano sbarcati di notte sulla riva di fronte.
   Il caso aveva voluto che nello stesso istante, una banda di giovanotti di Riano Dilà avesse avuto la stessa idea. Mascherati di nero, sui barchini dei pescatori erano sbarcati a Riano Diqua per andare a rubare la botticella d'argento.
   La notte prescelta era stata buia e tempestosa, cosicché le due criminose imprese avevano avuto esito felice.
   In un primo momento nei due municipi si era fatta festa grande per la buona riuscita del furto, e i giovanotti erano stati felicitati da tutti. Ma il giubilo non era durato a lungo, perché dopo un po' tutti si erano accorti di avere semplicemente pareggiato.
   "Sono delinquenti! ", gridava il sindaco di Riano Diqua. "Prova ne sia che non rifuggono nemmeno dal furto ".
   "Sono banditi! ", strepitava il sindaco di Riano Dilà. "La dimostrazione è che non esitano nemmeno a rubare nei musei".
   "Abbasso i diquaini! ", si strillava sulla riva destra del fiume.
   "Abbasso i dilaesi!", si urlava sulla riva sinistra.
   In un battibaleno erano state preparate due nuove spedizioni: due gruppi di giovani disposti a tutto pur di ricuperare il simbolo perduto dei rispettivi paesi. In una notte illuminata solo a tratti dai fulmini di un violento temporale, i due gruppi avevano di nuovo attraversato il fiume e riconquistato gli uni la botticella e gli altri il boccale. Così tutto era tornato come prima.
   Le uniche conseguenze erano state alcune ammaccature in più, sulle teste e sull'orgoglio. Per il resto, dilaesi e diquaini continuavano a detestarsi e a farsi dispetti con tutto il cuore.

L'argenteo abbraccio del fiume

   In mezzo, placido e tranquillo, scorreva il fiume. Almeno fino ad un certo autunno. Quell'anno cominciò a piovere alla fine di settembre.
   In principio era la solita pioggia autunnale, fresca e dolcemente malinconica.
   A metà ottobre, il cielo cominciò invece a rovesciare torrenti d'acqua e il buon vecchio Orco fu costretto ad uscire dal suo letto. L'acqua invase i campi vicini alle rive, poi, lemme lemme, arrivò nei paesi.
   "Prima o poi smetterà di piovere ", pensavano a destra e a sinistra, anche se non essendoci più le rive del fiume, era difficile capire dove cominciavano e finivano la destra e la sinistra.
   Non smise.
   L'acqua che scendeva dai monti gonfiava il fiume che allagò il pian terreno delle case. La gente si rifugiò ai primi piani, nelle soffitte e sui tetti.
   Quando finalmente tornò il sereno, i due paesi si scoprirono uniti dall'abbraccio argenteo dell'acqua.
   La straordinaria alluvione, però, aveva provocato un fatto singolare.
   I sindaci avevano organizzato delle squadre di salvataggio per portare all'asciutto i concittadini e i loro animali. Le squadre si muovevano con gommoni, barche, barchette e tutto ciò che rimaneva a galla. Ma siccome non era facile governare le imbarcazioni, ognuna salvava i primi che trovava. Cosi barche dilaesi avevano caricato diquaini e viceversa. Il fatto singolare è che nessuno ci aveva fatto caso.
   Ultimi, sul tetto dei rispettivi municipi, attaccati all'antenna della televisione, rimasero i due sindaci. Ognuno stringeva tra le braccia il simbolo del paese. Il sindaco di Riano Diqua la botticella; il sindaco di Riano Dilà il boccale.
   Erano tutti molto stanchi. A prendere i sindaci andò una barca sola.
   Riluttanti fino all'ultimo, con una smorfia significativa, i due sindaci si sistemarono uno vicino all'altro. Senza smettere per questo di guardarsi rigorosamente in cagnesco.
   Il fiume aveva incominciato a ritirarsi e, a tratti, si formavano dei gorghi e delle rapide. Una di queste fece inclinare paurosamente la barca e gli augusti passeggeri comunali ruzzolarono poco dignitosamente uno sull'altro.
   Fu così che accadde.
   La botticella e il boccale sfuggiti alle mani dei due sindaci cozzarono una contro l'altro. In quel preciso istante dalla botticella sgorgò un fiotto di vino rosso e profumato che riempì il boccale.
   Lo assaggiarono. "Perbacco! ", esclamarono quasi all'unisono. Era il vino più buono della Terra. Finalmente capirono. Ridendo si abbracciarono. I loro concittadini che li guardavano da lontano, in qualche modo intuirono l'accaduto, e tutti insieme gridarono: "Urrà!".
   La giornata si concluse con una bevuta colossale. Ogni volta che il boccale era avvicinato alla botticella si riempiva di quel vino fatato, che metteva allegria, non dava alla testa e scaldava il cuore.
   Oggi, l'Orco scorre placido e tranquillo, le sue rive sono unite da un bellissimo ponte. Al centro del ponte sono sistemate una botticella e un boccale d'argento. Basta accostare il boccale alla botticella per vedere sgorgare un vino buono e frizzante.
   E per trovare il posto, basta cercare sulle carte geografiche il nome di Riano. Semplicemente.


L'esperienza nascosta nel racconto

I due paesini hanno lo stesso nome, perché hanno tutto in comune, ma sono divisi dai pregiudizi. Come succede in gran parte della Terra. Le creature umane hanno tutto da guadagnare scoprendo ciò che li unisce, ciò che li fa, in un certo senso, complementari. La solidarietà e la collaborazione non sono buoni sentimenti, sono il mezzo necessario con cui gli uomini diventano veramente tali. La botticella fatata ha un senso solo se viene usata insieme al boccale. Gli abitanti dei due paesini scoprono il valore dell'accordo nel pericolo. L'Umanità può salvarsi solo se scopre radici e valori comuni. Allora si può costruire il ponte durevole della pace e si scopre di portare lo stesso "nome" e di essere divisi soltanto da elementi assurdi, come l'abitare di qua o di là di un fiume.

Per il dialogo

Il racconto contiene alcuni simboli che possono stimolare la fantasia dei bambini come il ponte, la botticella e il boccale, il fiume. Può essere interessante andare insieme alla scoperta di altri simboli che servono a parlare della pace.
Il dialogo può essere stimolato con qualche domanda.
Perché botticella e boccale cominciano a funzionare quando si toccano?
Quanti altri oggetti si conoscono che sono inservibili se non vengono usati insieme (ago e filo, per esempio)? Perché non inventiamo delle storie che abbiano per protagonisti degli oggetti così?
Perché spesso si usa come simbolo della pace l'arcobaleno? Non è anche quello una specie di ponte?
Dove si dovrebbero costruire dei ponti attualmente nel mondo? Non c'è, per caso, qualche ponte da costruire anche qui, vicino a noi, nella nostra classe, magari tra qualche papà e qualche mamma?
Non ci saranno per caso, anche nella nostra classe, botticelle e boccali che si riempiono solo di polvere, perché quelli che li possiedono non riescono a collaborare?

Per l'attività

Si possono invitare i bambini a costruire o disegnare un ponte-puzzle in cui ogni pietra porta scritta una delle qualità della vera pace.

Anche la Bibbia racconta...

L'insegnante può raccontare la storia della torre di Babele (Gn 11,1-9), cercando di far scoprire ai bambini il significato del "parlare la stessa lingua".


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