Perchè un monumento al disertore a Rovereto
Sarebbe interessante approfondire il senso di queste argomentazioni, il tipo di comunicazione che sottintendono. E' significativo ad esempio che della diserzione si sottolinei l'aspetto della vigliaccheria, e non quello della capacità di pensiero critico e indipendente, o della saggezza di salvaguardare se stessi (e gli altri) a fronte di azioni distruttive di cui non si vede il senso. L'accusa di vigliaccheria è certamente un punto sensibile per tutti, in particolare per un giovane uomo, in una cultura machista. Sarebbe interessante anche capire quanto il timore di essere considerati vigliacchi o deboli, la preoccupazione di non "essere da meno", ha giocato nel rialzo della ferocia di gruppo esibita in tanti conflitti che abbiamo visto di recente e vediamo tuttora, dalla Bosnia al Ruanda, senza dimenticare l'Iraq e la squallida vicenda delle torture ai prigionieri.
Ma la questione della diserzione ci interessa, come movimento pacifista, soprattutto perché è o potrebbe diventare, o ci piacerebbe diventasse, fattore di disturbo negli scenari di guerra attuali e (purtroppo) futuri. Quanti, nell'ambito dell'impegno pacifista, non hanno sperato che fossero in tanti a disertare il richiamo "etnico" e patriottico che nella dissoluzione della Jugoslavia spingeva a massacrare anche i propri vicini? Così come ora si guarda con speranza al significativo movimento dei "refusenik", i soldati di leva e riservisti israeliani che rifiutano di servire l'esercito nei territori occupati dei palestinesi. Anche loro, per inciso, denigrati come vigliacchi e traditori. Forse è troppo pensare che sia la loro indisponibilità a far desistere i governi israeliani dalla colonizzazione del territorio palestinese, ma resta possibile sperare che il loro gesto pubblico serva a scuotere una coscienza collettiva spesso ignara e indifferente di quanto succede nei territori palestinesi. Forse più condivisa ancora è la speranza che siano tutti i giovani palestinesi a "disertare" la chiamata al terrorismo e al martirio suicida, anche questa sostenuta da un sentire diffuso (e alimentato a dovere) di esaltazione del coraggio e del sacrificio estremo, in cui in cui la massima autorealizzazione sociale diventa la distruzione propria e altrui. La diserzione, o l'obiezione di coscienza che non è più possibile, concretamente, nei nuovi eserciti di professionisti, non riguarda più solo la fuga di qualche militare dai propri doveri, come sta succedendo in qualche caso anche nelle file dell'esercito americano, o per crisi di coscienza o appunto per senso di professionalità, per cui si rifiuta di rischiare oltre il dovuto (e in ogni caso non possiamo dire che ci dispiaccia,). La diserzione, se non altro mentale e culturale, probabilmente riguarderà tutti noi, esortati a credere di volta in volta a guerre sempre più legittime e necessarie, a non evidenziarne le contraddizioni, a sostenere i "nostri ragazzi" perché non si può fare altrimenti, a entrare nella logica del "o noi loro", la stessa di tante guerre fratricide.
Rovesciare i paradigmi che finora hanno decretato l'onore al soldato obbediente e il bando al "codardo" spesso senza entrare nel merito delle situazioni storiche (nell'esercito nazista sono più meritevoli i fedeli o i pochi disertori?) non solo ci sembra legittimo ma necessario, soprattutto nel momento in cui intorno a noi sta cambiando l'impostazione delle strutture militari, con la scomparsa della leva el'introduzione del professionismo ma anche con l'arrivo sulle scene di guerra di figure ambigue e sconosciute, "contractors" o mercenari che si vogliano definire (mentre l'importante sarebbe capire che ruolo hanno) e si ristabilisce la legittimità della guerra per tutti gli usi. E questo non significa in alcun modo mancanza di rispetto per i soldati morti nelle guerre passate e recenti, ma al contrario l'esigenza di rivalutare in pieno la loro umanità, comprese le probabili paure che non hanno avuto il coraggio o la possibilità di esprimere, a fronte della strumentalità con cui si continua a celebrarli.
di Lorenza Erlicher, Rete di Lilliput del Trentino