[8] Bollettino N. 8 Sui Grandi Laghi Africani

Text:

Subject:

bollettino n. 8 sui Grandi Laghi Africani
Date:
Wed, 17 Feb 1999 20:46:46 í (MET)
From:
"serv. informazioni Congosol" <congosol@skyol.it> To:
gruppi 1 2 3 <congosol@skyol.it>




Bollettino n. 8
GRANDI LAGHI AFRICANI

a cura di
Caritas Diocesana di Bologna - Centro Missionario Diocesano



Congo, il verme e il fagiolo

Pare che il calvario dei popoli del Congo non abbia fine. All'inizio dell'anno, all'angelus, il papa ha ricordato la tragedia che travolge il paese, riferendosi all'ennesimo massacro. In tre giorni (29 dicembre '98 - 1 gennaio '99), in rappresaglia a un attacco di mayi-mayi (1) , i ribelli (2) hanno massacrato quasi 600 civili a Makobola II, a 18 km da Uvira (Sud Kivu). Il massacro si inscrive nella "normalita" della guerra: uccisioni, deportazioni, sparizioni, ruberie e violenze di ogni genere. Secondo un rappresentante delle Nazioni Unite, gli sfollati di questa guerra (iniziata il 2 agosto), sarebbero almeno 200 mila. A questi si aggiungono migliaia e migliaia di rifugiati in Uganda, in Tanzania e in Repubblica Centroafricana. Anche le Forze armate congolesi (Fac) sono responsabili di saccheggi, di violenze su civili nonche' di numerosi massacri. A fine gennaio 1999, il 50% della Repubblica democratica del Congo e' in mano ai ribelli, sotto lo strapotere dei loro padrini, nonche' di bande armate che opera no nella regione. «Non viviamo che di uccisioni, di massacri, di distruzioni, di arruolamenti forzati di minori... Ragazzi della stessa famiglia sono inviati su fronti diversi, per combattersi. La morte colpisce i soldati e i civili, gli adulti e i ragazzi, i congolesi e gli stranieri, difficilmente distinguibili gli uni dagli altri. Tutti sono vittime della violenza cieca, sistematicamente organizzata», hanno scritto i vescovi del Kivu nell'ottobre 1998.
Nelle zone sotto controllo "tutsi" i genitori si rifiutano di mandare i bambini a scuola, per paura che siano rastrellati e portati al fronte. L'impossibilita' di coltivare, di produrre ha distrutto le reti commerciali. L'insicurezza, la miseria e la fame regnano soprattutto nelle regioni in guerra, alle quali non hanno accesso ne' gli organismi umanitari internazionali ne' nazionali.
Nonostante la situazione, le popolazioni dell'est del Congo fanno di tutto per boicottare gli aggressori, non ne vogliono sapere di questa guerra, imposta loro dai governi dei paesi vicini, incapaci, quanto i dirigenti del Congo, di trovare soluzioni democratiche ai loro problemi. I vescovi, quanto le associazione di base, sono convinti che:

Come finira'?
Benche' la societa' congolese sia costituita da numerose etnie, vuole mantenere l'unita' nazionale, dentro le frontiere ereditate dalla colonizzazione, in ossequio alle disposizioni dell'OUA. Non vuole la balkanizzazione della zona, che invece interessa altri paesi. Ma, chi tiene conto delle aspirazioni dei popoli?
Qualcuno sa come andra' a finire e dice espressamente come vorrebbe che finisse. Chi ha liquidato Lumumba e imposto Mobutu, chi si e' opposto all'intervento delle forze dell'ONU in difesa dei profughi del Kivu (1996), chi ha portato Kabila al potere, chi ha avallato questa guerra? Senza nominarli, l'arcivescovo di Bukavu, mons. Kataliko, scrive che: «Il tentativo di ridefinizione geopolitica delle frontiere e' orchestrato dai grandi ed eseguito per procura, in disprezzo della Carta dell'ONU e dell'OUA e della sofferenza della gente». L'indifferenza dell'ONU, dell'Organizzazione dell'Unita' africana e dell'UE, fanno presagire un triste epilogo. Si parla, infatti, con sempre maggior insistenza della spartizione del Congo in almeno 4 parti. Preludi all'epilogo sarebbero le stipule, sempre piu' numerose, di accordi tra le forze ribelli e di occupazione con paesi e societa' minerarie transnazionali.

La voce della chiesa
La Conferenza episcopale del Congo, il 5 novembre 1998 ha incontrato il presidente Kabila. Mentre i vescovi hanno reiterato la condanna dell'aggressione ed espresso la necessita' di difendere l'integrita' territoriale, "non negoziabile", hanno chiesto al capo dello stato la democratizzazione della politica del paese e la celebrazione di libere e trasparenti elezioni, dichiarando la disponibilita' della chiesa a contribuire alla ricostruzione del paese, nonche' a partecipare alla costituente.
I vescovi, che in questi ultimi tempi hanno scritto numerose lettere per esprimere il loro pensiero sulla situazione e incoraggiare il popolo ("Conduci i nostri passi sulla via della pace", Kinshasa, 7. 11. '98, "Rimetti la tua spada nel fodero", Kinshasa, 1.10. '98), chiedono a questo di non lasciarsi travolgere da sentimenti di xenofobia.
Anche l'associazione dei moralisti del Congo interviene sull'argomento. «L'Associazione dei moralisti congolesi denuncia con forza la violenza che si e' installata nella nostra societa'. Al di la' dell'euforia cieca in cui questa guerra ci ha precipitato, le scene di violenza e di giustizia popolare, come l'arbitrarieta', che spesso le hanno accompagnate, contraddicono la volonta' di questo stesso popolo di incamminarsi verso uno stato di diritto, di pace e di giustizia. (...). Un popolo che prende gusto alla violenza diventa un pericolo per se stesso, per i suoi vicini e per i suoi dirigenti». Mentre mons. Monsengwo, arcivescovo di Kisangani, ricorda al governo del paese e agli occupanti che «non si massacra il popolo che si vuole governare», mons. Kataliko, invita i cristiani e le persone di buona volonta' a lavorare per la pace. Scrive: «La pace non e' solo un dono di Dio, da implorare ogni giorno con fervore, e neppure il frutto di negoziati, condotti altrove da alcuni grandi, senza la partecipazione del popolo. Essa e' soprattutto il frutto del nostro impegno quotidiano, fondato sui valori cristiani e umani della fiducia, della solidarieta', del perdono, della riconciliazione e della giustizia e del lavoro. La pace non e' sicuramente il risultato di una lotta armata, quanto il risultato di un combattimento umano, culturale e spirituale» (Bukavu, 5. 12. '98). A meta' gennaio 1999, il vescovo di Dungu-Doruma ha chiesto ai missionari europei di lasciare la sua diocesi, perche' non puo' fare nulla per assicurare la loro incolumita'. I bianchi, infatti, anche se missionari, sono ritenuti dei ricch i, pieni di soldi e di mezzi e, quindi, sono bersaglio di tutti coloro che hanno un'arma in mano: ribelli o soldati governativi.


Bologna, 29 gennaio 1999
Giacomo Matti


note

  1. Partigiani, prima alleati di Kabila contro Mobutu (1996-1997), poi in guerra contro Kabila che legittimava lo strapotere dei ruandesi e dei banyamulenge, suoi alleati (1998). Ora, combattono contro i "tutsi" (schieramento formato dagli oppositori armati congolesi a Kabila, da Uganda, Ruanda e Burundi).
  2. Con la denominazione ribelli sono indicati gli oppositori politici congolesi, che hanno preso le armi contro Kabila, e sono sostenuti da Uganda, Ruanda e Burundi. Fra i ribelli si trovano personalita' di spicco quali il prof. Wamba dia Wamba, N'Zahidi Ngoma, Jean-Pierre Mbemba, Ondekane, dignitari e militari dell'ex dittatore Mobutu, riuniti sotto la denominazione Rassemblement congolais pour la democratie (Rcd). I dissidi tra i leader della formazione dei ribelli e' giunta al pettine, tanto che hanno dovuto intervenire Museveni, presidente dell'Uganda e Kagame, vicepresidente del Ruanda per tentare una riconciliazione.


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