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http://mir10.mir.it/mani/Quotidiano-archivio/08-Gennaio-1999/art11.html
Museveni totem d'Uganda
Padrone incontrastato del paese in guerra con il Congo di Kabila
- ALESSANDRA GOBERTI -
D odici anni di scontri e di guerriglie al confine con il Sudan tra il governo ugandese e il Lord resistance army. Nessun cambiamento nemmeno sul fronte del Congo, dove continua il conflitto con Kabila. Questi i problemi dell'Uganda, un paese che si presenta sulla scena internazionale attraverso l'immagine del presidente Yoweri Museveni, leader incontrastato della politica ugandese. Dopo dieci anni da unico protagonista della vita politica, Museveni si è riscritto la Costituzione su misura per farsi nominare presidente della Repubblica.
Yoweri Museveni, cinquantaquattro anni, è il totem della vita politica e non solo ugandese. C'è lui, a muovere i fili, a fare il presidente ma anche il ministro della difesa, a decidere strategie politiche internazionali filo americane, a divertirsi a non avere un nemico legittimato. C'è solo lui. Gli altri partiti politici li ha cancellati. Un colpo di mano e il presidente decide che "nessuno qui può fare attività politica pubblica". Tanto c'è la nuova Costituzione che lo permette. E dal 1996 in Uganda c'è un uomo solo al comando e un solo partito. Il suo, il National resistance movement. Tutto questo mentre va in scena la guerra civile e le tensioni con il Congo crescono.
Questa è l'Uganda. Un paese di venti milioni di persone che vive nel cuore dell'Africa dove su mille bambini che nascono più di cento muoiono, un paese dove le religioni professate vanno da quella cattolica a quella musulmana passando per l'induismo e l'animismo, con più di trenta tribù e cinquantuno dialetti parlati.
Kampala, la capitale, è una città che ha voglia di vivere nonostante le differenze sociali siano forti e sotto gli occhi di tutti: per la strada, in ogni angolo della città. In città vivono i ricchi, i benestanti che hanno l'ufficio in cima a enormi palazzi con vetri a specchio e guardie di sorveglianza. Lungo la strada, invece, sfilano i poveri a chiedere l'elemosina, a trascinarsi sulle braccia perché le gambe è come non esistessero più a causa di una qualche malattia deformante. Così sono costretti ai margini, in piccoli spazi ritagliati tra la città e la campagna e molti non hanno nemmeno una casa. Per i bambini per strada, poi, l'alternativa non esiste. Vivono in un'interminabile distesa di terra bruciata, nera, opaca, una sorta di discarica di rifiuti cresciuta tra il mercato e una delle vie principali della capitale.
Gli altri poveri popolano le campagne tra infinite sagome di banani che ricoprono gli altopiani senza nient'altro attorno che non sia un raro villaggio fatto di fango. Sono prevalentemente i piccoli contadini che ogni giorno trasportano su vecchie, arrugginite biciclette il raccolto dei campi fino al mercato più vicino. Ma sono anche i pescatori che ogni notte escono al largo del lago Vittoria, il più grande dell'Africa, la principale risorsa ittica locale minacciata da un giacinto d'acqua che sta ricoprendo la superficie del lago, togliendo così l'ossigeno necessario alla riproduzione dei pesci e mettendo a repentaglio l'economia e la vita del lago che per gli ugandesi è la prima fonte d'acqua per l'irrigazione dei campi e soprattutto per l'uso quotidiano.
Tra la gente il malcontento cresce per i combattimenti tra ribelli e governo. Al nord la guerra è in corso da dodici anni, un decennio segnato da migliaia di morti e terrore. Donne e bambini sono stati mutilati di orecchie, naso e lingua e molti giovani rapiti spariscono per sempre. Per impedire questo spargimento di sangue, il governo non ha fatto grandi sforzi. Convinto della propria forza bellica ha preso tempo invece di mettere le basi per reali negoziati di pace, giustificando la propria presa di posizione intransigente come risposta obbligata ai metodi incivili dei ribelli: "Si faranno dei negoziati quando ci troveremo di fronte delle persone civili". Parola di Museveni.
A questo si vanno ad aggiungere gli interessi economici personali di alcuni ufficiali dell'esercito perché la guerra è un giro d'affari che fa gola. Anche se il prezzo da pagare è una brutta immagine dell'Uganda agli occhi dell'opinione pubblica internazionale, come succede oggi a causa degli scontri con l'Allied democrate front al confine con la Repubblica democratica del Congo. Scontri che Museveni giustifica come questione di sicurezza. In realtà il governo, oltre a voler trovare una terra per i Tutsi, la tribù che da sempre lo appoggia, è interessato ai territori a ovest perché ricchi di giacimenti d'oro.
Tutta questa situazione suscita forti perplessità anche tra i paesi della South Africa development community, organizzazione internazionale degli stati africani nata con lo scopo di migliorare le condizioni economiche dei paesi dell'Africa del sud. Tanto che Angola, Namibia e Zimbabwe hanno condannato il comportamento del governo ugandese nei confronti del Congo di Kabila.
Ma Museveni comanda e pensa in grande: all'unione degli stati africani sulle orme del modello federale americano che almeno oggi, però, fa a pugni con la condizione politica e sociale da questa parte del mondo.