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Kenya

Il ricatto sessuale dei pescatori

L’epidemia di AIDS ha sterminato gran parte della popolazione dei distretti situati sulle sponde del Lago Vittoria, producendo un enorme numero di orfani e vedove. Il contagio si diffonde anche per colpa di certe tradizioni, come quella che vieta alle donne di pescare.
Zachary Ochieng

I distretti più colpiti dall’Aids sono quelli del Kenya occidentale: Kisumu, Nyando, Homa-Bay, Busia, Migori, Suba, Rachuonyo e Kuria. In questi distretti l’epidemia è stata tanto grave che i decessi sono diventati routine, tragico evento di tutti i giorni. Ci sì è talmente abituati alla morte che l’atmosfera triste che accompagna i funerali è ormai superata, divenuta una vecchia consuetudine del passato. E’ subentrata l’indifferenza.

I dati raccolti dai VCTS, Centri Volontari d’Assistenza ed Analisi, indicano che in questi distretti si è arrivati ad un’incidenza di sieropositività del 35%. A livello nazionale ci si è stabilizzati ora intorno a un 13%, un punto in meno del valore dell’anno scorso. A Homa-Bay, uno dei distretti più colpiti, l’incidenza è del 34% e sono le donne che soffrono il peso maggiore della malattia.

La causa di ciò è la tradizionale pratica del passaggio in eredità delle mogli. Oggi, oltretutto, questa tradizione, una volta onorata e rispettata, è fatta oggetto d’abusi. Secondo Damian Ongewe, di 75 anni, lo scopo di ereditare una sposa era di custodirla per evitare che potesse avere delle relazioni, fuori della casa del marito e continuasse a prendersi cura dei figli e delle proprietà lasciate dal defunto. Oggi, invece, i parenti del marito pretendono di dormire con la vedova, perfino quando è risaputo che il marito è morto di AIDS. Ancor peggio, si guardano bene dall’assumersi qualsiasi responsabilità parentali e si appropriano tout court delle proprietà lasciate dal defunto.

La ventiseienne Lorna Akeyo, consigliere volontaria del Gruppo Donne che Lottano Contro l’AIDS in Kenya (WOFAK), filiale di Homa-Bay, è lei stessa sieropositiva e non può nascondere il disgusto per questa tradizione. Afferma di essere stata contagiata dopo la morte del marito e che colui che l’ha “ereditata “, che aveva già due mogli, aveva ricevuto un’altra donna solo tre giorni prima di ereditare lei. Si tratta di una tradizione terribile, dice la donna. La Akeyo e l’altra moglie lo avevano presto cacciato e s’erano messe a stare con un altro “erede“, un pescatore, questa volta. Anche quest’uomo era stato ben presto buttato fuori di casa, ma, era troppo tardi! La Akeyo, ormai, si era ammalata gravemente ed era stata portata al gruppo per ricevere consigli ed assistenza, più tardi all’ospedale distrettuale dove il test della sieropositività era risultato positivo.

Un’altra donna di Homa-Bay, ammalata di AIDS, una certa Roseline Abongo, si lamenta di aver perso il marito in un incidente stradale nel ’97. Sarebbe rimasta in salute se avesse rifiutato di essere “ereditata”, poiché è convinta che è proprio colui che l’ha ricevuta in moglie ad averla contagiata, poiché è morto poco dopo.

Il terribile problema dell’AIDS è stato anche aggravato dall’apparizione di una sorta di “eredi professionisti”, chiamati in lingua do-luo, Jokowiny. Infatti, nonostante tutto, un minimo di consapevolezza dei gravissimi pericoli di contagio si è ormai diffusa fra la gente ed alcuni uomini si rifiutano di “ereditare” le loro cognate. Ecco allora che entrano in campo questi professionisti, che ricevono del denaro per sostituirsi al legittimo “erede sposo”. Questi Jokoviny sono mandati avanti con l’intento di purificare la donna, ma, disgraziatamente, sono proprio questi individui che contribuiscono all’elevatissima diffusione del virus, andando di casa in casa a convivere con le vedove, molte delle quali hanno avuto il marito morto di AIDS. Purtroppo, quest’antica tradizione di ereditare le vedove continua a ricevere sostegno perfino da parte delle persone più evolute ed in vista della comunità Luo. Quando, tempo fa, l’ex Commissario Provinciale di Nyanza, Joseph Kaguti, si mise in testa di darsi da fare per convincere la comunità ad abbandonare questa tragica tradizione si trovò molto a mal partito e, in difficoltà, fu costretto a lasciare la carica e la regione.

La gran povertà che caratterizza i distretti vicini al lago non manca certo di contribuire in modo decisivo alla diffusione dell’AIDS. Dopo aver perso i mariti, non necessariamente di AIDS, gran parte delle donne si prostituisce nel tentativo disperato di tirare a campare ed il più delle volte finisce per contagiarsi. Anche per loro ci sarebbe la pesca, che, sulle rive del lago Vittoria, è la maggiore risorsa, l’occupazione principale: il pesce viene pescato e venduto. Ma la tradizione impedisce alle donne di pescare sul lago poiché si crede che gli spiriti che vi circolano all’alba possano essere provocati dalla loro presenza sul territorio, con effetti tragici per pescatori e naviganti. Approfittando di ciò i pescatori hanno imposto alle pescivendole una sconcia regola non scritta. Niente sesso, niente pesce, il che significa che i vogliosi pescatori obbligano le donne a dormire con loro se vogliono essere rifornite di pesce, anche se lo pagano al prezzo di mercato che é loro richiesto. Ne consegue che i pescatori si accompagnano a molte donne, a molte venditrici di pesce che vengono contagiate e di questi tempi muoiono in numero allarmante.

Una pescivendola, che ha chiesto di rimanere nell’anonimato, ci ha detto disperata:” Non ho alternative ad andare con loro, se voglio avere pesce da vendere e sfamare i miei bambini…” E, purtroppo, un pescatore di nome Owango rincara la nostra amarezza per questa triste situazione affermando:” Non si da niente per niente. Prima il sesso, poi i soldi.” Confermando che quest’immorale e umiliante stato di cose è ben radicato da queste parti e comporta, inesorabilmente, che le povere donne non possono lavorare se non soddisfano i desideri dei pescatori. Si tratta di qualcosa che sconcerta chiunque ne venga anche solo a conoscenza, come Mary Mboya che, da infermiera di AMREF, lavora da quelle parti nell’assistenza di vedove ed orfani. La donna si domanda come sia possibile che, dato l’alto livello di consapevolezza dell’AIDS raggiunto, a suo dire, nella zona, siano ancora diffusi comportamenti del genere. Concludendo, però, che certi aspetti tradizionali di una cultura, spesso i più retrivi e nefasti, sono spaventosamente duri a morire. Sembra, in ogni modo, si possa intravedere un po’ di luce alla fine del tunnel! Un paio di organizzazioni non governative, quella denominata “Preparazione e Sostegno all’Iniziativa Comunitaria (TACI) ” e l’Uhai Lake Forum, in collaborazione con UNICEF, hanno deciso di muoversi per venire incontro alle giovani donne che, sulle rive del lago, sono esposte a questo tragico stato di cose. Uhai, che in kiswahili significa vita, è un gruppo che raccoglie associati fra le comunità di pescatori della regione del lago.

Durante le celebrazioni della giornata del Lago Vittoria, il 12 aprile, la segretaria dell’Uhai per il distretto di Nyando, la signora Karen Owiti, ha affermato: “ Le donne hanno bisogno di forza economica autonoma per mettere fine a questo sfruttamento, che è alimentato dalla povertà.” La TACI ha già iniziato un programma di formazione per venire incontro alle donne delle zone rivierasche; si tratta soprattutto di metterle in condizione di far lavori di sartoria e produrre vestiti. Finora si sono già diplomate ventun donne ed una di queste, la signora Oneko, racconta: “ La mia vita è completamente cambiata, non dovrò più soffrire il ricatto dei pescatori. Utilizzerò la mia competenza, il mio mestiere di sarta per sfamare i miei bambini, le mie sorelle ed i miei fratelli”