Il terrore del marito violento
Negli ultimi due anni la ventitreenne Isabel Ucucho ha vissuto nel terrore di essere picchiata dal marito, che una volta l'ha quasi ammazzata di botte. La sua colpa? Essere stata accusata d'infedeltà. Il marito non si è mai dichiarato soddisfatto dalle spiegazioni che Isabel gli ha fornito riguardo un episodio, un disgraziato momento di un giorno a lei fatale, in cui è stata colta a parlare con un estraneo che le chiedeva per strada informazioni sulla direzione da prendere.
Il marito Pedro, in quell'occasione, decise di farsi giustizia da solo e prese a frustare e calciare la donna, indossando degli scarponi. In una recente dichiarazione, la donna ha raccontato di non poter ricordare quanto è durata l'animalesca sfuriata poiché si è risvegliata all'ospedale con braccia e gambe completamente fasciate. Intanto il marito era scomparso, secondo i parenti era scappato emigrando clandestinamente in Sud Africa, ma Isabel pensa impaurita che sia ancora in giro da quelle parti, pronto a ritornare minacciosamente da lei.
La Ucuchu ha deciso di lasciare la sua casa nella provincia di Inhambane e trasferirsi a Maputo, la capitale, a 700 chilometri di distanza, dove vive adesso con dei parenti. I famigliari più stretti l'hanno persuasa a non denunciare il fatto alla polizia, convincendola che avrebbero risolto la questione all'interno della famiglia. Ma, i "giudici" di famiglia non si sono mai incontrati e Isabel continua a vivere nel terrore che un giorno Pedro ricompaia e cominci a picchiarla selvaggiamente un'altra volta. La donna, madre di due bambini, dice testualmente: " Ancora oggi ho tremendamente paura che torni e riprenda a battermi. La mia famiglia è impotente e non può fermarlo, perché ha pagato la "lobola" per me e può fare della mia persona tutto ciò che crede." La donna è stata, oltretutto, separata dai suoi bambini, quando i parenti acquisiti glieli hanno portati via con la forza.
Il caso d'Isabel non è affatto né raro né isolato in questa nazione dell'Africa meridionale che conta 18 milioni di abitanti, dove un gran numero di donne vive all'ombra della violenza. Ed è proprio in questo contesto, in questo ambiente socialmente terrificante, che, nel '96, diversi gruppi femminili si sono uniti in uno solo, più forte, per combattere la violenza contro le vittime disgraziate, appartenenti al loro stesso sesso. Il gruppo fu denominato "Tutti Contro la Violenza."
L'associazione si è lanciata, fin dalla sua costituzione, in un programma multidisciplinare di tre anni, mirato all'educazione civica e allo sforzo di rinnovamento della legislazione in materia, discriminante della condizione femminile. Ha cercato anche di offrire un sostegno concreto alle vittime della violenza, attivando anche delle ricerche sulla dimensione del problema. Il gruppo ha così rilevato che l'alta incidenza di violenza contro le donne costituisce il maggior pericolo incombente sulla loro sicurezza.
L'Associazione comprende le seguenti organizzazioni: il Coordinamento per lo Sviluppo della Donna, il Forum Femminile, l'Associazione Mozambicana delle Donne nella Giustizia, L'Associazione Mozambicana per le Donne e l'Educazione, un Centro di Servizi dislocato all'Ospedale Centrale di Maputo, conosciuto come Kulaya, il Centro per gli Studi Africani, l'Organizzazione delle Donne Africane e l'Associazione per le Donne, la Legge e lo Sviluppo. Le organizzazioni associate e le istituzioni lavorano nelle loro rispettive aree di interesse, che vanno dal coordinamento di attività e diffusione dell'informazione, al rinnovo della legislazione attuale, l'assistenza sociale e psicologica, l'educazione civica e la creazione di centri di accoglienza per le donne colpite dalla violenza.
Sebbene la Costituzione mozambicana proibisca ogni discriminazione basata su razza, sesso, religione o inabilità, mancano dei meccanismi specifici in grado di assicurare che questa discriminazione non abbia veramente luogo. Un recente documento, pubblicato da alcune Organizzazioni Non Governative, che lavorano sugli abusi alle donne, fa presente che le più colpite sono le contadine delle zone rurali. In conformità a ciò, il gruppo è intervenuto poco tempo fa chiedendo al governo di rivedere il codice penale per includervi dei provvedimenti che permettano di condannare i colpevoli, documentando i casi ed incoraggiando le vittime a denunciarli. Anche se l'esistenza di organizzazioni come " Tutti contro la Violenza" è una manna dal cielo, sono purtroppo solo le donne che vivono in città a beneficiarne, mentre la gran parte di loro, per l'alto tasso di analfabetismo e di povertà, continua a non essere a conoscenza dei suoi diritti.
Quando il 25 novembre il Paese si è unito ad altre nazioni per commemorare la Giornata Internazionale per l'Eliminazione della Violenza contro le Donne, il governo e le organizzazioni non governative hanno parlato a lungo della necessità di sradicare questo crimine, ma in Mozambico, così come in molti Paesi in via di sviluppo, la donna delle campagne continua a non essere risparmiata da inveterate tradizioni culturali che comportano sottomissione ai loro mariti. Un lamentevole stato di cose che continuerà a perdurare nelle comunità rurali, finché organizzazioni come "Tutti contro la Violenza", non riusciranno a portare il problema all'attenzione e alla coscienza di tutti, soprattutto della gente che gode di minore educazione.
Lo scenario della violenza contro le donne non cambia granché, in lungo e in largo attraverso il continente africano. L'UNIFEM, il Fondo delle Nazioni Unite per l'Emancipazione della Donna, ha fatto presente in un rapporto del '99 la necessità di garantire di più e meglio i diritti delle donne africane. Questo si legge testualmente nel documento delle N.U." Le donne africane continuano a dover affrontare durissime prove, pesantemente colpite dal deterioramento della situazione macroeconomica del continente, dal conseguente aggravamento della povertà e, come se non bastasse, da ricorrenti guerre e conflitti. L'epidemia di AIDS contribuisce poi ad aggravare ulteriormente la situazione, dal momento che le donne devono sopportarne buona parte del peso in termini economici, sociali e di salute."
Nell'Africa sub-sahariana ben 15 milioni di donne sono ammalate di AIDS, il 58% del totale della popolazione colpita nel continente e un numero incommensurabile di altre di loro si prende cura dei membri della famiglia malati e dei bambini rimasti orfani, non ricevendo riconoscimenti o compensazioni di sorta per il loro lavoro.