Editoriale
Il 56° numero di Africanews in lingua italiana riprende l'argomento dell'AIDS, il flagello che tuttora sta decimando la popolazione africana. Nell'articolo di apertura il teologo Laurenti Magesa sostiene il diritto del malato a conoscere la propria condizione anche se non esistono più speranze di guarigione.
Magesa ricorda come in certe zone rurali dell'Africa resista ancora la tradizione misericordiosa secondo la quale l'atto di morire diventa un fatto pubblico cui assistono parenti e amici. Il malato legge sui loro volti il suo destino inevitabile ma contemporaneamente gradisce il loro conforto e il fatto di non essere solo nel momento cruciale.
Il compito di assistere spiritualmente e psicologicamente il malato toccherebbe oggi a medici, religiosi cappellani, assistenti sociali o paramedici, ma ciò raramente accade. Anzi, sovente il medico non rivela neppure al paziente che ha ormai i giorni contati.
Affrontare la morte è sempre stato il grande banco di prova della nostra esistenza. Ci sono logiche ed evidenti definizioni della morte, assolutamente ineccepibili e inconfutabili. Ma la mente umana è restia ad accettarle, anzi le rifiuta.
Magesa ne ricorda una che dice: "La morte non è un nemico da battere o una prigione da cui scappare, bensì quella parte integrante della nostra vita che da un senso all'esistenza. Pone un limite al nostro tempo in questa vita, spingendoci a fare qualcosa di produttivo con quel tempo, dal momento che ci spetta e va usato."
Questo è vero, ma tutti noi, o quasi, quando arriva il momento finale ci sembra che la nostra vita sia incompiuta e vorremmo un'aggiunta, una dilazione, uno sconto. Anche se i nostri giorni sono ormai privi di senso e tutti uguali, gli uni agli altri.
La paura della morte, della malattia senza speranze viene descritta nel secondo articolo. Parla di molti giovani dello Zimbabwe che non hanno il coraggio di ritirare gli esiti degli esami per il controllo della sieropositività. La paura di aver contratto il virus li annichilisce e gli fa preferire la fuga dalle proprie responsabilità.
Ignoranza del problema e pregiudizi provocano poi situazioni assurde come in Botswana con gli infermieri che colpevolizzano e perseguitano le persone colpite dall'AIDS. Per questi motivi molti giovani preferiscono rivolgersi ai guaritori tradizionali. I pazienti di questi "stregoni" non faranno grandi progressi ma, d'altra parte, con la scarsissima disponibilità di medicinali che c'è in Africa, anche negli ospedali le speranze di miglioramento sono molto, ma molto tenui.
L'AIDS venne reso pubblico il 5 giugno 1981 da alcuni medici americani ma soltanto nel 1986 l'Organizzazione mondiale della sanità lancia la sua campagna di lotta mondiale. Da allora il virus a mietuto 22 milioni di persone e degli attuali 36 milioni di malati, il 95% risiede nei paesi del terzo mondo. L'Africa è il continente più colpito.