Editoriale
I due articoli che aprono il 51° numero di Africanews in lingua italiana ci descrivono l'ingegnosità degli africani. Il primo riguarda il Kenya dove la drammatica carenza di posti di lavoro ha spinto molti giovani a intraprendere la carriera del taxista, un taxista un po' speciale dato che il solo mezzo è una bicicletta sulla quale trova posto un solo viaggiatore o della merce.
In Kenya il 90% delle strade non è asfaltato e anche quelle che vengono definite tali, magari nella stessa capitale Nairobi, sono disseminate di buche da far paura ai fuoristrada. D'altra parte il 70% dei 30 milioni di abitanti vive ancora in campagna e per quanto gli africani di strada a piedi ne facciano parecchia, i taxisti a due ruote sono molto richiesti per raggiungere villaggi lontani, addirittura per portare malati in casi di urgenza.
Situazioni che sembrano lontane da noi centinaia di anni ma che sono state vissute in molte zone dell'Italia sino agli anni Cinquanta, quando la bicicletta era l'unico mezzo privato di trasporto per la stragrande maggioranza della nostra popolazione.
Il secondo articolo parla del problema dei rifiuti a Lusaka, capitale della Zambia. In questa città di oltre due milioni di abitanti, il servizio comunale dovrebbe raccogliere circa 1000 tonnellate di rifiuti al giorno con tre camion e tre trattori. Questi ultimi carichi di anni e di chilometri percorsi stanno esalando l'ultimo respiro. Servirebbero almeno 100 automezzi ma la spesa è molto al di fuori delle possibilità del bilancio comunale.
Ecco allora dei giovani disoccupati intraprendere un'attività di raccolta rifiuti. Procedono alla selezione e tutto ciò che può essere riutilizzato viene venduto a chi lo riciclerà. In questo modo i giovani hanno risolto il loro problema lavorativo dando anche un piccolo aiuto nel mantenere pulita la città.
Questi due casi, i taxisti con la bicicletta in Kenya e gli "spazzini-commercianti" di Lusaka sono prove dell'arte di arrangiarsi degli africani. Ne giungono di nuove, geniali e fantasiose, da ogni parte del continente. Parlare però solo di arte dell'arrangiarsi è molto riduttivo.
Queste attività sono vere e proprie forme di resistenza, di lotta. Lo dice chiaramente il padre della teologia africana, il camerunese Jean-Marc Ela che dal 1995 è in esilio in Canada. In un'intervista a "Nigrizia", Ela afferma: "Da 20 anni l'Africa vive una devastante crisi economica e la gente ha reagito attraverso l'invenzione di strategie di sopravvivenza. Questo dinamismo è nato, so è sviluppato e penso che sia irreversibile. Le persone agiscono ormai con la consapevolezza di essere in grado di reagire e di inventare la loro vita. Certo, mancano risorse per portare a termine i loro sforzi; per questo hanno bisogno di aiuto - senza vivere però secondo la mentalità di assistiti".