Homepage
 
I Berretti Bianchi in Palestina


Notizie, testimonianze, informazioni

20-22 luglio 2002

Elenco contributi
Rabbi Jeremy Milgrom
Lunedì, 22 luglio 2002


Arriviamo alla casa coloniale del rabbino più moderato di Jerusalem, che sorge proprio di fronte al King David Hotel, ci accoglie un uomo che sembra più un hippi californiano che un rabbino ebreo, comunque è molto gentile, ci invita ad entrare e ci offre un bel bicchierone di acqua ghiacciata.
Il rabbi, insieme al suo gruppo, si occupa di diritti umani, con i palestinesi ma anche con gli ebrei. Si occupano dei più deboli, dei disoccupati, dei poveri e della qualita della loro vita, così come delle condizioni dei beduini. Il gruppo lotta anche contro la demolizione delle case e cerca di aiutare le famiglie a ricostruirle, basandosi sull'idea che sia irragionevole demolire le case dei palestinesi e che ciò causi solo un aumento dell'odio e della rabbia verso gli ebrei. Comunque la loro priorità primaria consiste nell'impedire un eccessivo uso della forza da parte dell'IDF contro i palestinesi.
"Vorremmo parlare della società israeliana.
Molti ebrei scelgono di venire ad abitare in Israele perché ne sono attratti e vogliono far nascere qui i loro figli. In alcuni casi provengono da situazioni molto difficili, persecuzioni, povertà, ma in altri casi gli ebrei che visitano Israele decidono di venirci ad abitare perché sono attratti da questa società nuova e in grande crescita. Esiste poi un paradosso tra il calore della società israeliana verso gli ebrei che l'animano e il cinismo della repressione verso i palestinesi. Ma se si focalizza solo il conflitto israelo-palestinese è molto difficile capire gli israeliani ed accettarne l'atteggiamento. Se invece si focalizzano solo le dinamiche interne alla società israeliana, allora si scopre una società aperta e veramente straordinaria. Forse per uno straniero non ebreo è difficile separare le due cose, la società dal suo conflitto, ma se guardiamo alla società americana che con i suoi ideali di libertà ha sempre attratto moltissime persone, troviamo che anch'essa è passata attraverso il medesimo processo di democratizzazione, con la liberazione degli schiavi, l'emancipazione delle donne e altre cose positive, mentre dall'altro lato perpetrava lo sterminio dei nativi e la conquista dei loro territori. Così allo stesso modo la società israeliana instaura nuove dinamiche sociali tra le diverse identità degli immigrati, mentre dall'altro lato combatte e reprime la popolazione palestinese. Quello che è successo in America con i pellerossa, si ripete oggi in Israele con i palestinesi."
Obietto che ciò che è successo in America è avvenuto duecento anni orsono. Il rabbi si alza ed esce ad occuparsi del suo bucato, oggi è giorno di lavanderia per lui. Quando torna chiedo scusa per la gaffe -non c'é problema, risponde- e prosegue:
"Cercavo di esporre una caratteristica della società israeliana con la sua storia, i suoi miti, la sua letteratura, che allo stesso tempo ignora l'altra dimensione. E' una dura problematica ed è molto triste per me che Israele ripeta gli stessi errori e anche i crimini commessi a suo tempo dagli americani. Perché se guradiamo alla storia, un americano dovrebbe provare senso di colpa e vergogna per ciò che è stato fatto agli indiani d'America. E sono sorpreso che, specialmente gli americani consapevoli di quella tragedia, non siano attenti e preoccupati per ciò che Israele sta facendo ai palestinesi. Ma sono convinto che se si approfondisce la conoscenza della società israeliana, si scopre che essa fonda le sue basi su di un grande idealismo che si esprime nel processo di assorbimento delle diverse identità degli immigrati, e questo è decisamente positivo ed eccitante. Purtroppo più si ècoscienti di ciò che accade ai palestinesi, più si nutre diffidenza e indifferenza per questo processo di integrazione degli ebrei del mondo. Qui sta il paradosso, ciò che chiamiamo idealismo, cioé costruire una società equalitaria, basata su valori di solidarietà umana, non trova posto nella vita dei palestinesi che ne vengono brutalmente esclusi. Bisogna capire che una società basata su una popolazione immigrata e senza radici ha questa capacità di negare cittadinanza alla popolazione nativa, giustificandosi in mille modi, rivendicando il diritto alla sopravvivenza e alla lotta per la sopraffazione come si fosse in una giungla dove vige la legge del più forte, mentre si esprime grande solidarietà e compassione all'interno di essa.
Ora la domanda è, cosa ha spinto la società israeliana da una visione socialista e progressista all'intransigenza religiosa di questi ultimi anni?
All'inizio del ventesimo secolo, con il materialismo storico e i regimi totalitari, si pensava fosse finito il tempo delle organizzazioni religiose. Poi nella seconda metà del secolo è rinato l'interesse per tutte le religioni, cristianesimo, islamismo, giudaismo, buddismo e anche induismo. In Israele abbiamo avuto una nuova vita per gli ebrei, all'inizio gli ebrei ortodossi vivevano ai margini della società e non prendevano parte alla vita politica del paese, ma oggi sono diventati una delle forze di maggioranza del nostro parlamento, la Knesset: il partito degli ebrei ortodossi occupa un quinto dei seggi.
La società israeliana attuale si divide in 5 o 6 subculture ed è sbagliato pensare che tutti gli israeliani seguano la filosofia dei padri della patria, come Ben Gurion e altri, essi sono solo un altro quinto della società israeliana. Poi ci sono anche gli arabi israeliani che hanno voce in capitolo e che sono oltre un milione di persone. Un altro gruppo importante sono gli immigrati russi, un altro milione di persone e forse più. Tutti costoro non sono veramente rappresentati dalle politiche di Begin o di Sharon. Essi stanno imparando solo ora a far sentire la loro voce e ad essere coinvolti nella vita politica del paese. Gli europei difficilmente possono comprendere a fondo una realtà così complessa.
Si è sempre detto che una volta che Israele attuasse la pace con i palestinesi, allora ci sarebbero stati problemi all'interno della società israeliana: oggi il conflitto con i palestinesi favorisce l'unità di tutti gli ebrei nella lotta per la stessa causa. Forse questo è vero, non lo so. Ma, naturalmente, gli ebrei hanno paura dei palestinesi, non si fidano e non vogliono fare alcuno sforzo per avvicinarsi a loro, hanno molte buone ragioni per non farlo e non sono disponibili a nessun compromesso, non gliene importa nulla. E tutto ciò significa solo la continuazione e l'inasprimento del conflitto.
Oggi l'apporto dell'Europa alla pace è molto importante perché le Nazioni Unite non possono fare molto senza il consenso degli americani, che sostengono Israele per molte ragioni, non sempre giuste. E anche se gli europei incontrano non poche difficoltà a criticare Iisraele, per le ragioni storiche che tutti conoscono, è tuttavia molto importante che l'Europa controbilanci il peso del sostegno americano, spendendosi politicamente e finanziariamente in favore del popolo palestinese.
La gente qui pensa che il mondo sia un posto pericoloso dove vivere per un ebreo, perché hanno sempre dovuto sacrificarsi e lottare per sopravvivere alle persecuzioni e a mille altre difficoltà. Ma io non la penso cosìi, io credo che il mondo sia un posto meraviglioso dove gli ebrei possono vivere in pace affianco ai palestinesi. Iio non voglio vivere al di qua di un grande muro che ci separa.
Molti ebrei guardano al periodo in cui viviamo e vedono una terra promessa incompleta senza il Tempio che ne animava la società. E pensano che questa terra sarà completa solo quando sarà costruito il Terzo Tempio, perché avere il Tempio significa essere in contatto con Dio. Il Tempio rappresenta una sorta di connessione costante con Dio. Essi pensano che ricostruire il Tempio sarebbe un bene per il mondo intero e non solo per gli ebrei. Così vanno coltivando questo obbiettivo che desiderano intensamente e profondamente riuscire a realizzare. Il problema èche vogliono costruire il Tempio laddove si erge il Duomo della Roccia, quella roccia su cui Abramo offrì il figlio in sacrificio a Dio, che è il terzo luogo santo della religione islamica. E' chiaro che una cosa del genere appare impossibile e che comunque creerebbe un'infinità di pericolosissimi problemi e che non c'è alcun modo di convincere i mussulmani a cedere il Tempio della Roccia agli ebrei perché ci cotruiscano sopra il loro Terzo Tempio. Cosìi pensano che se Dio vuole che sia costruito un nuovo tempio, allora farà in modo che ciò sia possibile.
Forzare questa tendenza, oggi, sarebbe disastroso, almeno come portare un elefante in un negozio di vasellame cinese. Ma l'idea di costruire un nuovo tempio diventa possibile in una dinamica nostalgica, dove gli ebrei ritornano alla terra promessa per ripristinare ciò che è stato un tempo. Questo lo si può comprendere, ma bisogna avere una grande capacità di ragionevolezza, bisogna stare molto attenti a non perdere la testa, è molto facile diventare irragionevoli quando gli Stati Uniti offrono il loro appoggio incondizionato.
E' lo stesso con i palestinesi, quando Israele non rispetta le risoluzioni dell'ONU. La gente qui pensa che si può fare di tutto, che il mondo li sostiene. Ma in realtà è molto, molto pericoloso."

Saluti
Maurizio

 
Jabalia Camp
Sabato, 20 luglio 2002


Jabalia Camp è il campo di rifugiati più grande della Striscia di Gaza, vi abitano circa 80.000 rifugiati in un area di 2,5 km quadrati, con una densità di circa 32.000 persone per chilometro quadrato, in un abitato senza infrastrutture, con tubature dell'acqua e delle fogne improvvisate, così come gli allacciamenti alla corrente elettrica.
La maggioranza dei rifugiati che vi abitano sono stati sfollati dopo la costituzione dello stato di Israele nel 1948, altri dopo la guerra del 1967 e così via. Tutte queste persone hanno lo status di rifugiati e di conseguenza incontravano molte difficoltà ad andare a lavorare in Israele prima di questa Intifada, oggi è del tutto impossibile. La disoccupazione ha superato il 70% e questo provoca grandi frustrazioni e tensioni all'interno del campo, riflettendosi negativamente sulle relazioni interfamiliari, tra moglie e marito così come tra padre e figli. A causa di queste difficoltà, le priorità economiche delle famiglie vengono destabilizzate cosìi che, ad esempio, i disabili vengono trascurati e i giovani hanno difficoltà ad accedere allo studio.
Molti si arrangiano coltivando la terra e praticando qualche piccolo commercio, per altro l'UNRWA (United Nations Relief Work Agency) provvede ai servizi sanitari e alle strutture scolastiche così come alle forniture alimentari (50 kg di farina al mese per ogni famiglia, per un totale di circa 10.000 famiglie) sostenendo, sia pure in maniera insufficiente, le esigenze primarie della pura sopravvivenza degli abitanti del campo.
All'interno del campo non ci sono ospedali, solo piccole cliniche sostenute dall'UNRWA, dall'ANP e dall'UPMRC (Union of Palestinian Medical Relief Commitees).
Il funzionario del Medical Relief che mi parla, spiega che lavora nel campo ad un programma chiamato "Community based rehabilitation program" dove, con il suo staff, si prende cura dei disabili nelle loro case, seguendoli negli esercizi di riabilitazione e nella consulenza familiare, con lo scopo di integrare il più possibile i disabili all'interno della comunità.
Alla domanda sul perché mai non ci siano cantine sotto i palazzi e perché mai non ci siano rifugi antiaerei nella Striscia di Gaza, egli mi risponde che, "dopo cinquant'anni di guerre, che non abbiamo voluto noi, abbiamo costruito le nostre case senza cantine e le nostre comunità non hanno rifugi per difendersi da eventuali bombardamenti perché abbiamo creduto che il futuro dopo gli accordi di Oslo fosse migliore o almeno che sarebbe migliorato nel tempo. Nessuno poteva immaginare che ci saremmo trovati coinvolti in una seconda Intifada. E' vero che se oggi bombardassero la Striscia di Gaza ci sarebbero centinaia di migliaia di morti, ma tuttavia non crediamo che gli israeliani arriverebbero a tanto. Comunque ormai non possiamo più farci niente, avremmo dovuto pensarci prima, ma non ci aspettavamo una seconda Intifada."
A breve, oltre un centinaio di membri delle famiglie dei due attentatori del bus Emmanuel attaccato vicino a Tulkarem il 17 luglio e già in stato di arresto dopo aver provocato sette morti, tra cui un bambino, e oltre quindici feriti, andranno ad ingrossare le file dei diseredati della Striscia di Gaza, dove saranno deportati. Mentre le loro case saranno fatte saltare e spazzate via dai bulldozers.
Saluti
Maurizio