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I Berretti Bianchi in Palestina


Notizie, testimonianze, informazioni

16-17 agosto 2002

Elenco contributi
Hamdi e Hassib
Sabato, 17 agosto 2002


Partiamo per Betlemme con uno sherut, fino al posto di blocco; con noi ci sono due suore cristiane palestinesi. Come al solito, attraversiamo a piedi il check point e dall'altra parte contrattiamo il prezzo del secondo taxi; ci porta un tassista che chiede subito di dove siamo e, saputa l'origine italiana di alcuni di noi, sfoggia tutte le sue conoscenze, che sono al solito calcistiche. Poi ci dice anche che conosce Hamdi (fratello di Nasser) e tutti gli italiani che frequentano il campo. A noi la cosa sembra strana, ma in effetti, arrivati al campo, possiamo verificare che la fama di Hamdi è vera.
Superiamo l'ingresso del campo, dove c'è la distribuzione di viveri da parte dell'UNRWA e, fatti pochi passi, chiediamo nel primo negozio del campo se conoscono Hamdi: la parola è magica perché subito un giovane ci propone di seguirlo e ci porta proprio all'appartamento di Hamdi. L'ingresso è costituito da un grosso buco praticato nella parete esterna dai militari israeliani, loro bussano in questo modo. Hamdi ci accoglie con l'ospitalità tipica palestinese, anche se la sua casa è già piena di italiani, come diceva il tassista. Ci offre un caffè italiano e poi facciamo un giro per il campo. Ci spiega come il campo sia gestito da un comitato, chi fa parte del comitato e come si prendono le decisioni; ci racconta della cooperativa che organizza il lavoro di pulizia e ricostruzione all'interno del campo e ci mostra il Centro sociale e culturale del campo in fase di costruzione, dove si svolgeranno varie attività. Poi ci riporta a casa, ci presenta la sua famiglia e si mette a cucinare per noi. Sembra impossibile, eppure ci sentiamo a casa, a migliaia di chilometri di distanza e con persone conosciute da pochi minuti.
Dopo mangiato Hamdi ci accompagna all'uscita del campo e ci aiuta a prendere un taxi per tornare a Gerusalemme, dove incontriamo Hassib. Veniamo aggiornati sulla situazione dei centri più in difficoltà, tra i quali si trova Nablus, nostro obiettivo originario. La situazione, però, sembra ancora complicata per l'ingresso in città e così aspetteremo una sua chiamata per farci dire dove è possibile andare. Comunque fissiamo un appuntamento per le 8 del mattino.

Francesco

 
Jenin
Venerdì, 16 agosto 2002


Per arrivare a Jenin percorriamo una strada che è riservata a vetture israeliane; lungo il fiume Giordano e vicino a estese coltivazioni di datteri e banane; di tanto in tanto gli insediamenti, con una segnaletica moderna e recinzioni di filo spinato che contrastano con i prati verdi che proteggono.
Ai vari check point inventiamo le solite bugie. Dopo l'ultimo blocco dei militari usciamo dalle belle strade asfaltate e ci inoltriamo per una delle piste tra i campi a cui siamo ormai abituati. Arriviamo così al Madical Relief Center di Jenin alle 10.45. Ci ricordano che il venerdì è festa per i paesi arabi e perciò è il direttore in persona che ci riceve. Ci dice che in questi giorni il coprifuoco è in vigore dalle 20 alle 8 del mattino; è possibile però arrivare a Jenin con le auto e questo, rispetto ad altre città come Nablus e Ramallah, è un bel vantaggio. Da due mesi il loro Centro dispone di un'ambulanza che ha l'autorizzazione a muoversi anche sotto il coprifuoco; anche a Jenin si stanno attuando campi estivi per i bambini; il problema più grande è la presenza di situazioni di violenza quotidiana, che condizionano fortemente la crescita psicologica dei giovani. Ci avviamo verso il Campo profughi di Jenin, che ospita circa 14.000 persone; è un campo che esiste fin dal 1948. 800 case sono andate distrutte nel massacro perpetrato dalle truppe israeliane, i senza tetto sono 4.000 e oggi si cerca di spostare il tema della discussione sul numero effettivo dei morti.
Dal diario di Elisabetta
  Jenin è l'inferno. Scendiamo dal pulmino e visitiamo il cimitero del massacro, circa 50 tombe e ci sorprende che nel mondo si discuta ancora sui numeri, 500, 50 morti... che differenza fà? Sono stati uccisi sistematicamente e senza pietà dei civili. 800 case rase al suolo con chi ci viveva dentro, uomini, donne, bambini... andiamo al Ground Zero di Jenin, 4.000 mq. di campo profughi spianato, camminiamo sulle macerie appiattite e mi sembra di violare dei corpi, appoggio piano i piedi nella polvere e mi sembra di calpestare delle tombe... siamo tutti ammutoliti in quella distesa oscena e polverosa.... mi siedo su un cumulo di macerie e comincio a piangere disperatamente, una mano si appoggia consolatrice sulla mia spalla... non so a chi appartiene, sono troppo scossa e ho gli occhi pieni di lacrime... poi vengo lasciata nel mio dolore che è quello di tutti i miei compagni... la sensazione è di impotenza e c'è tanta tristezza.
Dopo la strage è stato vietato l'ingresso al campo ai sanitari e agli internazionali e ancora oggi ci sono centinaia di persone arrestate senza una precisa accusa. Tutti i senzatetto sono ormai sistemati presso amici o parenti e le 64 tende che gli organismi internazionali hanno allestito sono inutilizzate. Tra l'altro, le tende sono prive di ogni servizio (acqua, luce, fognature etc.).
Da due settimane hanno iniziato i lavori di sgombero delle macerie nel luogo della strage, ma ci vorranno ancora mesi. Il medico che ci accompagna ci spiega poi che l'obiettivo del Medical Relief non è solo la salute fisica, ma il benessere della persona in tutti i suoi aspetti: la salute è un obiettivo politico, anche la reale parità tra uomo e donna fa parte della salute della persona. "Io in questo momento sto bene -dice- ho casa, lavoro, salute, ma non sto bene veramente: la mia famiglia vive a 100 chilometri da qua, io non posso andare a trovare i miei figli, che intanto crescono; ma crescono con il rumore della guerra nelle loro orecchie; non è una situazione sanitaria corretta."
Ancora un trasferimento: andiamo a vedere uno dei punti dove è in costruzione il muro di Sharon: 950.000 m² di terreno sono stati confiscati al Comune per la costruzione del muro; l'area era destinata ad impianti sportivi, e in effetti si può vedere poco oltre il muro un campo da calcio; molti appezzamenti di terreno confiscato sono stati poi venduti a buon prezzo ad israeliani perché il terreno in questa zona è particolarmente produttivo; scattiamo alcune foto mentre la "sicurezza" controlla che i lavori procedano regolarmente; non è un film.
Ci prendiamo un tè a casa del medico che ci accompagna e alle 16 ripartiamo per Gerusalemme. Io chiedo a Nour un incontro di chiarimento perchè, pur essendo il viaggio molto interessante, non mi sento molto utile alla causa palestinese. Quando arriviamo a Gerusalemme ci fermiamo in un punto molto panoramico da cui si ha una immagine spettacolare della città vecchia. E' qui che Nour mi propone il chiarimento che avevo chiesto. Io dico che fino a questo punto, pur essendo stato il viaggio estremamente interessante, ci è sembrato diverso da quello che era il nostro proposito: dare il massimo aiuto possibile nelle situazioni in cui è richiesta la presenza di "internazionali": fino a questo momento abbiamo avuto molti contatti con persone ed associazioni, ma il nostro lavoro non ci è sembrato mai indispensabile. Nour risponde che ha cercato di darci tutto quanto per lui è stato possibile, ma essendo lui solo un "autista" e per di più giunto da poco alla associazione, non è in grado di prendere decisioni "politiche"; in questo periodo la dirigente è all'estero per conferenze. Ci lasciamo con l'impegno di risentirci per eventuali spostamenti e il nostro gruppo di sei decide di andare il mattino seguente al Campo di Deheishe, presso Betlemme, dove abita la famiglia di Nasser, compagno palestinese che vive a Siena, e nel pomeriggio ad un appuntamento con Hassib, un conoscente di Annick.
Francesco