Annick mi chiama alle 7.30 e mi
dice che partiremo alle 8, ma per andare ad Hebron. Così, insieme
a Donato ed Elisabetta, lasciamo il Faisal in tempo per incontrarci
con gli altri al Jaffa Gate. Percorriamo con un pulmino una
strada detta by-pass, perché riservata agli israeliani, fino
alla sua intersezione con quella "normale" per i Palestinesi
che debbono entrare ad Hebron: è una strada sterrata, che incrocia
perpendicolarmente quella degli israeliani, asfaltata; le persone,
numerose, attraversano a piedi la strada asfaltata con i loro
fardelli sulle spalle. Noi scendiamo e ci avviciniamo ai soliti
taxi per palestinesi. La pista sale e scende per i soliti avvallamenti
provocati dalle ruspe e si avvicina alla città con un percorso
da rally. Quando arriviamo nel centro cittadino, invece, si
apre la solita dimensione surreale: il mercato, le auto e le
varie attività commerciali. Ogni città è come una grande prigione,
la vita al suo interno sembra quella di una città qualunque.
Ci presentiamo alla sede di una Organizzazione per la Gioventù
Palestinese e parliamo con il suo presidente, Adli Dahana, una
persona molto aperta e decisa che ci espone il quadro della
situazione: il 25% dei giovani palestinesi soffre di malnutrizione;
Hebron è una città divisa in due, anche nel suo centro storico;
gli ebrei sono il 20%, ma ovviamente il loro "peso" non è proporzionale
al numero; ci sono stati più di 200 giorni di coprifuoco nel
2001; i 400 abitanti ebrei del centro sono "protetti" da più
di 1000 soldati. Adli dice però che questa situazione rende
gli stessi israeliani vittime insieme ai palestinesi. L'associazione
che ci ospita è stata fondata nel 1997 e promuove scambi tra
giovani europei e palestinesi. Le pareti sono addobbate con
manifesti, alcuni dei quali italiani. Nel corso della conversazione,
Adli si sfoga anche sui difetti dell'ANP: l'attuale ministro
degli affari civili è un impresario edile e, stranamente, vince
tutti gli appalti di costruzione degli insediamenti israeliani
e delle strade di collegamento tra gli insediamenti. Il distretto
di Hebron ha 450.000 abitanti; un terzo di tutta la popolazione
povera palestinese vive in questo distretto. Ci sono in media
7,1 persone per famiglia e gli abitanti dei villaggi vedono
il medico da una a tre volte la settimana, ma tutto dipende
dalle decisioni dell'esercito che possono cambiare in ogni momento.
Nel sottosuolo palestinese ci sono circa 800 milioni di metri
cubi di acqua, ma sono tutti sotto il controllo israeliano e
ai palestinesi si lascia solo l'acqua non potabile.
Quando lasciamo l'ufficio ci affidiamo a Satomi, una ragazza
giapponese che vive da sei mesi ad Hebron, e così visitiamo
anche il centro storico. Ogni pochi metri si incontrano militari
che impediscono il passaggio ai palestinesi. Nelle strette vie
del centro delle reti proteggono i passanti dal lancio di oggetti
vari dalle finestre degli abitanti israeliani. Ad uno dei tanti
blocchi troviamo una ragazza, palestinese, che tenta di passare
con noi: dice di essere venuta con la madre e che si è perduta.
Tentiamo una trattativa con i militari, ma non c'è nulla da
fare. Si avvicina anche un israeliano e comincio una conversazione
con lui: parla di diritto al ritorno, perché dice che nel 1929
gli ebrei vennero cacciati dagli arabi. Gli chiedo se il diritto
al ritorno deve essere riservato agli ebrei, o se può valere
per tutti. Lui allora passa al pericolo degli arabi che sparano
dalle finestre: quindi gli arabi vanno allontanati. Io replico
che semmai vanno allontanati coloro che sparano, senza preoccuparsi
se siano arabi o italiani. Gli ricordo che nel 1929 anche in
Europa si sparava agli ebrei, ma oggi noi europei abbiamo il
permesso di passare mentre i palestinesi no. Alla fine ci rendiamo
conto che la discussione non porta alcun cambiamento, soprattutto
per la ragazza palestinese, e ci allontaniamo.
Tornando verso il punto di partenza della nostra escursione
passiamo davanti alla Grande Moschea di Hebron, quella che ospita
le tombe di Sarah e Abramo, luogo in cui l'esaltato israeliano,
per alcuni eroe, ha compiuto una strage di persone riunite per
la preghiera del venerdì (era il 1994); anche qui, però, il
controllo di chi entra viene eseguito ovviamente dall'esercito
israeliano. Mentre mangiamo in uno dei soliti locali sulla strada
assistiamo ai perenni controlli dei documenti dei palestinesi.
Dal
diario di Elisabetta |
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Poi
ci dirigiamo verso il centro della città, ci fermiamo
nuovamente ad un posto di blocco dove un giornalista britannico
attende che i soldati gli restituiscano il pass di giornalista,
dopo avergli distrutto la telecamera. Attendiamo con lui
ed altri giornalisti, siamo una decina, improvvisamente
una forte esplosione, è una bomba, ci dirigiamo
rapidamente in direzione dello scoppio e vediamo residui
di fumo nero e gente che scappa, pochi attimi e una jeep
di soldati a fortissima velocità arriva sgommando,
non è successo nulla, è evidente che si
fà terrorismo psicologico.
Chissà, forse i soldati hanno voluto distogliere
la nostra attenzione dal ceck point. Nel centro della
cittadina ci fermiamo in un localino a mangiare kebab,
fuori arrivano i soldati e vediamo che fermano a caso
gli uomini per strada o li fanno scendere dalle auto e
li portano dietro a una traversa laterale.
Decidiamo di seguirli e li troviamo seduti a terra sotto
il tiro dei soldati. Sono circa 15 giovani tra i 25 e
i 35 anni, un fotografo di origine araba sta intanto discutendo
animatamente con un soldato che gli ha sequestrato il
pass e pare non volerglielo restituire, perchè
fotografa gli arresti, arrivano tre dell' FLPH, un'associazione
di osservatori internazionali, con telecamera, decidiamo,
dopo aver discusso con loro, che a questo punto la nostra
presenza è superflua e ci allontaniamo. |
Chiamo al telefono Nabil, l'ingegnere
che è venuto a Siena lo scorso maggio e che cura i rapporti
tra il Comune di Dura, nel distretto di Hebron, e il Comune
di Siena. Abbiamo deciso di incontrarci e così lui viene a
prenderci per farci visitare la sua città. Ci mostra il palazzo
comunale, dove ci incontriamo con la Giunta, le aree destinate
al verde pubblico e ci parla dei progetti dell'amministrazione
per il futuro. Ci offre poi un tè seduti per terra nella parte
più alta della città, dove si trovano alcuni edifici scolastici
e, si dice, uno dei possibili luoghi della tomba di Mosè;
c'è una tranquillità quasi irreale, ma Nabil ci assicura che
nessuno oserebbe rimanere là oltre il tramonto, per le sempre
possibili scorribande dell'esercito israeliano. Ci racconta
alcuni episodi dei momenti più crudi dell'occupazione, ma
prevale la voglia di andare avanti. Ceniamo insieme e poi
andiamo a dormire presso l'I.P.Y.L.
Francesco
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