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I Berretti Bianchi in Palestina


Notizie, testimonianze, informazioni

18 agosto 2002

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A Hebron e Duran
Domenica, 18 agosto 2002

Annick mi chiama alle 7.30 e mi dice che partiremo alle 8, ma per andare ad Hebron. Così, insieme a Donato ed Elisabetta, lasciamo il Faisal in tempo per incontrarci con gli altri al Jaffa Gate. Percorriamo con un pulmino una strada detta by-pass, perché riservata agli israeliani, fino alla sua intersezione con quella "normale" per i Palestinesi che debbono entrare ad Hebron: è una strada sterrata, che incrocia perpendicolarmente quella degli israeliani, asfaltata; le persone, numerose, attraversano a piedi la strada asfaltata con i loro fardelli sulle spalle. Noi scendiamo e ci avviciniamo ai soliti taxi per palestinesi. La pista sale e scende per i soliti avvallamenti provocati dalle ruspe e si avvicina alla città con un percorso da rally. Quando arriviamo nel centro cittadino, invece, si apre la solita dimensione surreale: il mercato, le auto e le varie attività commerciali. Ogni città è come una grande prigione, la vita al suo interno sembra quella di una città qualunque.
Ci presentiamo alla sede di una Organizzazione per la Gioventù Palestinese e parliamo con il suo presidente, Adli Dahana, una persona molto aperta e decisa che ci espone il quadro della situazione: il 25% dei giovani palestinesi soffre di malnutrizione; Hebron è una città divisa in due, anche nel suo centro storico; gli ebrei sono il 20%, ma ovviamente il loro "peso" non è proporzionale al numero; ci sono stati più di 200 giorni di coprifuoco nel 2001; i 400 abitanti ebrei del centro sono "protetti" da più di 1000 soldati. Adli dice però che questa situazione rende gli stessi israeliani vittime insieme ai palestinesi. L'associazione che ci ospita è stata fondata nel 1997 e promuove scambi tra giovani europei e palestinesi. Le pareti sono addobbate con manifesti, alcuni dei quali italiani. Nel corso della conversazione, Adli si sfoga anche sui difetti dell'ANP: l'attuale ministro degli affari civili è un impresario edile e, stranamente, vince tutti gli appalti di costruzione degli insediamenti israeliani e delle strade di collegamento tra gli insediamenti. Il distretto di Hebron ha 450.000 abitanti; un terzo di tutta la popolazione povera palestinese vive in questo distretto. Ci sono in media 7,1 persone per famiglia e gli abitanti dei villaggi vedono il medico da una a tre volte la settimana, ma tutto dipende dalle decisioni dell'esercito che possono cambiare in ogni momento. Nel sottosuolo palestinese ci sono circa 800 milioni di metri cubi di acqua, ma sono tutti sotto il controllo israeliano e ai palestinesi si lascia solo l'acqua non potabile.
Quando lasciamo l'ufficio ci affidiamo a Satomi, una ragazza giapponese che vive da sei mesi ad Hebron, e così visitiamo anche il centro storico. Ogni pochi metri si incontrano militari che impediscono il passaggio ai palestinesi. Nelle strette vie del centro delle reti proteggono i passanti dal lancio di oggetti vari dalle finestre degli abitanti israeliani. Ad uno dei tanti blocchi troviamo una ragazza, palestinese, che tenta di passare con noi: dice di essere venuta con la madre e che si è perduta. Tentiamo una trattativa con i militari, ma non c'è nulla da fare. Si avvicina anche un israeliano e comincio una conversazione con lui: parla di diritto al ritorno, perché dice che nel 1929 gli ebrei vennero cacciati dagli arabi. Gli chiedo se il diritto al ritorno deve essere riservato agli ebrei, o se può valere per tutti. Lui allora passa al pericolo degli arabi che sparano dalle finestre: quindi gli arabi vanno allontanati. Io replico che semmai vanno allontanati coloro che sparano, senza preoccuparsi se siano arabi o italiani. Gli ricordo che nel 1929 anche in Europa si sparava agli ebrei, ma oggi noi europei abbiamo il permesso di passare mentre i palestinesi no. Alla fine ci rendiamo conto che la discussione non porta alcun cambiamento, soprattutto per la ragazza palestinese, e ci allontaniamo.
Tornando verso il punto di partenza della nostra escursione passiamo davanti alla Grande Moschea di Hebron, quella che ospita le tombe di Sarah e Abramo, luogo in cui l'esaltato israeliano, per alcuni eroe, ha compiuto una strage di persone riunite per la preghiera del venerdì (era il 1994); anche qui, però, il controllo di chi entra viene eseguito ovviamente dall'esercito israeliano. Mentre mangiamo in uno dei soliti locali sulla strada assistiamo ai perenni controlli dei documenti dei palestinesi.
Dal diario di Elisabetta
  Poi ci dirigiamo verso il centro della città, ci fermiamo nuovamente ad un posto di blocco dove un giornalista britannico attende che i soldati gli restituiscano il pass di giornalista, dopo avergli distrutto la telecamera. Attendiamo con lui ed altri giornalisti, siamo una decina, improvvisamente una forte esplosione, è una bomba, ci dirigiamo rapidamente in direzione dello scoppio e vediamo residui di fumo nero e gente che scappa, pochi attimi e una jeep di soldati a fortissima velocità arriva sgommando, non è successo nulla, è evidente che si fà terrorismo psicologico.
Chissà, forse i soldati hanno voluto distogliere la nostra attenzione dal ceck point. Nel centro della cittadina ci fermiamo in un localino a mangiare kebab, fuori arrivano i soldati e vediamo che fermano a caso gli uomini per strada o li fanno scendere dalle auto e li portano dietro a una traversa laterale.
Decidiamo di seguirli e li troviamo seduti a terra sotto il tiro dei soldati. Sono circa 15 giovani tra i 25 e i 35 anni, un fotografo di origine araba sta intanto discutendo animatamente con un soldato che gli ha sequestrato il pass e pare non volerglielo restituire, perchè fotografa gli arresti, arrivano tre dell' FLPH, un'associazione di osservatori internazionali, con telecamera, decidiamo, dopo aver discusso con loro, che a questo punto la nostra presenza è superflua e ci allontaniamo.

Chiamo al telefono Nabil, l'ingegnere che è venuto a Siena lo scorso maggio e che cura i rapporti tra il Comune di Dura, nel distretto di Hebron, e il Comune di Siena. Abbiamo deciso di incontrarci e così lui viene a prenderci per farci visitare la sua città. Ci mostra il palazzo comunale, dove ci incontriamo con la Giunta, le aree destinate al verde pubblico e ci parla dei progetti dell'amministrazione per il futuro. Ci offre poi un tè seduti per terra nella parte più alta della città, dove si trovano alcuni edifici scolastici e, si dice, uno dei possibili luoghi della tomba di Mosè; c'è una tranquillità quasi irreale, ma Nabil ci assicura che nessuno oserebbe rimanere là oltre il tramonto, per le sempre possibili scorribande dell'esercito israeliano. Ci racconta alcuni episodi dei momenti più crudi dell'occupazione, ma prevale la voglia di andare avanti. Ceniamo insieme e poi andiamo a dormire presso l'I.P.Y.L.
Francesco