Ci svegliamo alle 2 della notte
per un'incursione dell'esercito israeliano all'interno del campo.
Sentiamo gli spari vicinissimi a noi, sotto le finestre che
danno sulla via principale del campo. Si sentono anche le grida
dei soldati e tutta la famiglia si è riunita al nostro piano;
siamo solo in attesa che qualcuno entri dalla porta; non possiamo
affacciarci alla finestra e possiamo far poco. Ci guardiamo
negli occhi e cerchiamo di comunicare con i nostri compagni
delle case vicine. Scopriamo così che i militari sono nella
casa vicina alla "nostra", dove si trovano Annick ed Elisabetta.
I militari hanno fatto uscire tutti, hanno chiesto se ci sono
uomini all'interno, poi sono entrati ed hanno perquisito, con
il loro metodo, tutta la casa. Con loro ci sono anche dei bambini
e il capofamiglia, pur sapendo di essere a rischio, ha preferito
non ospitare stranieri maschi perché in casa ci sono tre ragazze
giovani.
In una seconda telefonata (ci è sembrato strano che lasciassero
usare i telefoni), Annick mi dice che hanno visto passare due
uomini palestinesi in arresto e uno sembra essere stato identificato
come cugino della loro famiglia ospite (Muhammad Abu Zour).
Trasmetto il nome a Josh, un "americano" che si trova vicino
a me (a lui piace presentarsi come proveniente dagli United
Snakes of America, Serpenti Uniti d'America!) e lui a sua volta
trasmette il nome agli avvocati che si occupano di diritti umani
in Palestina. Tra di noi ci sono anche tre fotografi-giornalisti
free-lance che non smettono di scattare foto e riprendere tutti
noi.
Ancora una telefonata di Annick: ci dice che da loro il pericolo
è passato, sono rientrati in casa e stanno cercando di mettere
a posto e di tranquillizzare i bambini. Da noi sparano ancora
per interminabili minuti proprio di fronte alla porta di casa,
ma nessuno entra. I soldati si allontanano e poco dopo vediamo
uscire da una stanza vuota fino a poco prima il giovane fratello
dei nostri ospiti: si era nascosto da qualche parte prima che
noi ci svegliassimo ai primi segni di pericolo e ora è rientrato
senza il minimo rumore.
Adesso possiamo affacciarci alla finestra; la sorella del ragazzo
appena passato mi dice che i militari vogliono deportare suo
fratello a Gaza; poi mi indica una vecchia signora della casa
di fronte che porta fuori una sedia e si siede tranquillamente,
come fosse mezzogiorno; i suoi nipoti ormai svegli escono e
si mettono a giocare. E' in questo modo che si riesce a sopravvivere
a queste notti di terrore: come farebbero a crescere i bambini
se non si lasciassero giocare, se non si desse loro, appena
possibile, un'immagine di normalità? Chissà se i sostenitori
della politica di Sharon si sono mai chiesti come si possa crescere,
con quali idee e sentimenti, in un campo come questo.
Sono ormai le 4 del mattino e non ho ancora visto un terrorista,
se non quelli che indossano la divisa israeliana. La gente del
campo, quando parla dei militari, li chiama Jewish, gli ebrei,
e per fortuna oggi alcuni ebrei si interrogano sulle cause di
questa situazione, che non possono essere religiose o culturali.
Torniamo a dormire per qualche ora.
Dal
diario di Elisabetta |
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Io
e A. conversiamo con i gesti e i sorrisi perché non parlano
l'inglese ma solo l'arabo. A., la madre, M., il padre,
Ma., la sorella e Ta., No., due bimbi di circa 7, 8 anni
; ci sono poi una sorella più grandicella , un altro ragazzino
e infine il fratello di 15 anni. Manca I., il fratello
più grande, di 17 anni. Chiacchiere serene fino all'una
e andiamo a dormire, io sono in stanza con A. Alle due
e mezza circa, colpi e urla in una lingua che non capisco,
arabo, grida a noi di uscire e picchiano con il calcio
del fucile contro la porta di metallo,. Sparano, tremo
come una foglia e fatico ad allacciare la fibbia delle
scarpe, caccio tutto nello zainetto. A. fa lo stesso,
entrano in camera le donne della casa, teniamo il passaporto
in mano e scendiamo al piano di sotto. Il padre apre la
porta, lo facciamo indietreggiare e A. va avanti verso
i soldati con me che la seguo, sempre a mani alte e passaporto
in vista. Fanno avanzare A. e a me intimano di rientrare
in casa con gli altri. In inglese chiedono quanti uomini
ci sono in casa. A. risponde che ci sono solo donne e
bambini e il padre, dicono che è una bugiarda, poi gridano
di fare uscire il padre, dai vicoletti attorno e dalle
case vicine arrivano spari e mitragliate continue, grida
minacciose in ebraico ed arabo. Nel frattempo A. è sulla
soglia, infila una mano dentro, compone dei numeri sul
telefonino e me lo passa, ma sono tutti occupati. Gli
altri ragazzi che dormono presso la famiglia Ti. (un fratello
ucciso e uno che si è fatto esplodere) lì vicino saranno
a loro volta al telefono per chiedere aiuto, intorno spari
e mitragliate, stanno entrando nelle case di tutto il
campo.
Finalmente suona il cellilare, è F.rancesco, gli racconto
cosa sta accadendo, poi mettiamo giù. I soldati ci fanno
uscire, ci ordinano di sederci a terra, noi, le donne
e i bambini, siamo nel vicoletto stretto,. Sei soldati
entrano con il padre in casa, si sentono spari, altri
sei tengono noi sotto tiro. I bambini non piangono, non
parlano, non respirano, sono statue di gesso ammutolite
e senza vita, le donne pregano e piangono piano,. Ci stringiamo
le mani, ci teniamo abbracciate, io e A. proviamo a parlare
con i soldati, arriva il rumore di cose distrutte dall'interno
della casa, stanno buttando tutto per aria,. A. chiede
ad un soldato di dire di smetterla, io chiedo ad un altro
se ha una madre e dei fratelli, chiedo perché, perché,
perché....la risposta è un fascio di luce accecante negli
occhi e urla che ci intimano di stare zitte.
Ad un certo punto tra noi passano alternandosi un soldato
ed un palestinese, un soldato ed un altro palestinese,
ne hanno fermati sei, mi pare, tra loro il figlio di 15
anni della famiglia. A., la madre, ha un sussulto, cerco
di trattenerla abbracciandola, lei prega e piange piano.
Ho pensato che stessero uccidendo qualcuno con tutti quegli
spari, ho temuto di trovare dei cadaveri all'interno della
casa. Si sono fatte le tre e mezza circa, i soldati che
ci tenevano sotto tiro sono andati via, gli spari sono
andati calando e piano la gente si riversa nei vicoletti,
tutto il campo è in giro per le case.
Entriamo e troviamo tutto per aria, divani, il contenuto
degli armadi, sembra che sia passato un ciclone, mettiamo
un pochino d'ordine, per fortuna non hanno arrestato nessuno
della famiglia, poi andiamo a visitare una casa dove hanno
arrestato due fratelli, uno di 34 e uno di 19 anni. Troviamo
la madre in lacrime, anche qui tutto è distrutto e i soldati
hanno sparato in casa, a terra e nella parte bassa dei
muri i segni dei proiettili, hanno sparato davanti ai
bambini. Fotografiamo le stanze e ascoltiamo i racconti
di tutti, tutti hanno bisogno di parlare con noi, sperano
che possiamo fare qualcosa, ci chiedono di dormire anche
nella casa dove hanno subito gli arresti.
Nel frattempo sono arrivati J. ed altri internazionali
dalla casa della famiglia Ti., ci dicono che lì non sono
entrati e tutti stanno bene, ci danno la loro solidarietà,
a noi e soprattutto alle famiglie. Poi usciamo tutti insieme
per dirigerci verso casa, quando loro sono in fondo alla
strada partono delle mitragliate vicinissime, vediamo
la luce degli spari, corriamo tutti verso la casa abbassandoci,
poi più nulla, ci chiediamo a distanze se tutto va bene,
hanno voluto spaventarci ancora...
Torniamo a casa, e stiamo svegli a mettere a posto e a
parlare fino alle 5. Provo a far giocare i bambini, che
sono molto provati. Alle 5 andiamo a letto e, a parte
il gallo che comincia a cantare, dormiamo un paio d'ore.
La mattina sappiamo che i soldati hanno detto alla famiglia
A. che a mezzogiorno verranno a demolire la casa... In
realtà non verranno, ma chiameranno 5 volte al telefono
per dire che vogliono il ragazzo di 17 anni, I., altrimenti
demoliranno la casa. |
Alle 10 inizia la riunione dell'ISM
nella T.House; oggi mi colpiscono le presentazioni dei compagni:
Tom, nato in Svizzera, Ahmed nato a Jaffa, sembra che nessuno
abbia una nazionalità, solo un luogo di nascita.
Josh racconta come è andata l'aggressione della notte, i calci
sulla porta, i colpi sparati sul pavimento e sulle pareti,
la distruzione della foto del "martire", la promessa di uccidere
gli altri figli maschi, la minaccia di distruggere la casa.
Ci dividiamo in piccoli gruppi come al solito: io e Donato
siamo destinati al villaggio di Azmut, isolato dall'inizio
del coprifuoco. Con noi verranno Ahmed, Aisa, Tom e Brook,
una ragazza di 17 anni.
Solita trafila dei posti di blocco, il tratto di strada a
piedi e infine il vero check point: qui, dopo un tentativo
di dialogo, riusciamo ad ottenere il permesso di transitare,
ma Ahmed, essendo palestinese, deve tornare indietro, pur
essendo l'unico ad indossare una casacca con il simbolo sanitario.
Noi insistiamo e a questo punto il militare che sembra essere
il capo parla in arabo ad Ahmed: noi comprendiamo benissimo
il senso del messaggio e chiediamo spiegazioni. Il militare
dice "prometto che non lo arresto, ma lui non può passare",
come i bambini quando scoperti in piedi sulla sedia dicono
che non stavano cercando la marmellata! Decidiamo allora di
non lasciarlo solo; io torno indietro con Ahmed e gli altri
proseguono.
Torniamo alla T.House, dove trovo altri due giornalisti giapponesi.
A sera saremo in molti nella casa di Azour, perché durante
il giorno hanno ricevuto varie telefonate di minaccia; potrebbe
essere solo un modo per dirottare la nostra attenzione, ma,
non essendoci mai alcuna certezza, saremo con loro, anche
perché la notte precedente lo shock è stato grande. Nella
casa di Azour, io e Donato rimaniamo a piano terra, con altri
uomini internazionali, mentre la famiglia e le donne salgono
ai piani superiori. C'è stata una breve assemblea degli "scudi
umani" durante la quale qualcuno ha lanciato la proposta di
rimanere nella casa "ad ogni costo" per impedirne la distruzione;
io ho detto che sarebbe meglio non prendere decisioni assolute
a priori, a meno che non ci sia la certezza di mantenere la
decisione, cosa poco salutare quando hai di fronte l'esercito
israeliano. Dopo riusciamo a sdrammatizzare la situazione
con alcune battute, soprattutto del giovane giapponese che
ha nascosto una telecamera e ci promette che, anche nel caso
ci vada male, le immagini saranno bellissime!
Francesco
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