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I Berretti Bianchi in Palestina


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24 agosto 2002

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Sabato, 24 agosto 2002


Sabato 24 agosto il potente esercito israeliano è stato colto di sorpresa da una manifestazione nonviolenta di attivisti israeliani e palestinesi.

In circa 400 ci eravamo dati appuntamento nel villaggio arabo di Kafr Quasem, sulla linea verde, per partire da lì alla volta di Nablus con un convoglio di aiuti umanitari per la popolazione ridotta allo stremo da ormai 64 giorni di coprifuoco. Nel giardino di una casa gli attivisti (israeliani arabi ed ebrei arrivati da tante parti del paese) ascoltano le spiegazioni degli organizzatori, l'Associazione
Ta'ayush: "Abbiamo organizzato questo convoglio su richiesta della leadership palestinese di Nablus. C'è una gravissima carenza di cibo in città, particolarmente di latte; molte famiglie sono obbligati a sfamare i neonati con acqua zuccherata. Abbiamo con noi tre camion carichi principalmente di farina e latte in polvere. Ma il nostro scopo non è solo consegnare questi aiuti. Vogliamo manifestare insieme ai palestinesi, per protestare contro il coprifuoco e contro l'occupazione. La gente di Nablus e gli abitanti delle città che attraverseremo per arrivarci, come Hawarah, ci aspetta e si sta preparando a scendere in strada con noi. Non sappiamo se riusciremo ad arrivare a destinazione. Se l'esercito tentasse di bloccarci, ricordate una cosa: questa è una manifestazione assolutamente nonviolenta. Non rispondete alle provocazioni dei soldati e nemmeno a quelle dei coloni, se dovessero avvicinarsi."

Partiamo su otto pullman, con i tre camion di aiuti. Entriamo in Cisgiordania e ci dirigiamo ad est sulla grande strada riservata ai coloni; l'uso di questa strada è proibito ai palestinesi nonostante sia stata costruita su terreno confiscato a loro. La strada è quasi deserta perché i coloni sono molto religiosi e non viaggiano di sabato. Percorriamo senza interferenze molti chilometri. Ma l'esercito ci aspetta vicino allo svincolo di Tapuach, dove la nostra strada incrocia quella che porta a nord, verso Nablus. Gli autobus e i camion si fermano vicino ad una piccola baracca verde ornata di volgari scritte razziste - opera dei coloni della vicina Tapuach.
Gli organizzatori di Ta'ayush vanno a negoziare il passaggio con gli ufficiali responsabili e noi ci prepariamo ad una lunga attesa. Le notizie filtrano a rilento, dal posto di blocco alla testa della colonna e poi giù fino alla coda. Il passaggio viene negato; i manifestanti propongono un compromesso: che si faccia arrivare fino a qui alcune centinaia di manifestanti palestinesi. Gli ufficiali non possono prendere una decisione così importante, bisognerà aspettare l'arrivo del colonnello, sembra che sia già per strada. Ma dopo un'ora il colonnello non si vede ancora.
A questo punto i negoziatori di Ta'ayush immaginano che gli ufficiali ci stanno solo facendo perdere tempo, che non c'è nessun colonnello in arrivo. Improvvisamente i portavoce dei gruppi comunicano una decisione: "Partiamo a piedi. Subito. Sbrigatevi." Prendiamo in mano più barattoli di latte in polvere possibile e i cartelli che abbiamo preparato per la manifestazione.
     "Sicurezza per due popoli = Indipendenza per due popoli = Pace per due popoli."
     "60 giorni di coprifuoco = 60 giorni senza cibo o medicine."
Ci incamminiamo per i campi, su per una collina e poi giù dall'altra parte, e sbuchiamo sulla strada per Nablus ben aldilà del checkpoint!
Prevediamo che l'esercito ci insegua e gli organizzatori ci distribuiscono delle belle fette di cipolla cruda - un antidoto ai lacrimogeni usato dai palestinesi fin dai tempi della prima intifada. Ma nessuno ci insegue: i soldati sembrano disorientati dalla nostra mossa improvvisa. Non ci sono ostacoli di fronte a noi e possiamo percorrere la strada verso nord indisturbati. Dopo circa 5 chilometri di
cammino cominciamo a vedere delle case. Stiamo entrando ad Hawarah, pochi chilometri a sud di Nablus, una città stretta nello stesso coprifuoco di Nablus.
Ai margini della città l'esercito ha messo su in fretta e furia un posto di blocco. Gli organizzatori ci fanno fermare, così da ricompattare il gruppo. Poi formiamo dei cordoni compatti e avanziamo verso il checkpoint gridando:
     "Pace sì - Occupazione no!" e
     "I nostri partner per la pace stanno dall'altra parte del checkpoint!"
Improvvisamente, in un batter d'occhio, il posto di blocco è superato e siamo nella città di Hawarah! I militari non hanno sparato, non ci hanno bloccati.
Nel centro di Hawarah la strada è quasi deserta, nella morsa del coprifuoco. Ma mentre avanziamo gli abitanti palestinesi della città, all'inizio alcuni, timidamente, poi sempre più numerosi, scendono per strada per unirsi a noi. Poi sentiamo urla dalla testa del gruppo: dei soldati stanno cercando di trascinare via uno dei palestinesi, per arrestarlo. I manifestanti israeliani lo circondano, lo
abbracciano e lo proteggono dai soldati. E i militari rinunciano. La scena si ripete varie volte, ma sempre i militari rinunciano di fronte alla determinazione nonviolenta dei manifestanti israeliani.
Poi, d'improvviso, la tattica cambia. I militari afferrano un israeliano e, prima che gli altri compagni riescano a reagire, lo portano via e lo fanno entrare in una macchina della polizia. Immediatamente centinaia di manifestanti si siedono in terra, tutt'intorno alla macchina, ne bloccano il passaggio. Dopo una decina di minuti di impasse, la portiera della macchina si apre e il manifestante (un
giovane di Tel Aviv, con la barba e i capelli lunghi) viene fatto scendere. La sua liberazione è accolta da applausi. Poi, da sud, dalla direzione dalla quale siamo arrivati, sentiamo scandire degli slogan:      "Yaskut Al-Ikhtila! - Abbasso l'Occupazione" e
     "Free, Free Palestine!"
Si sta avvicinando un blocco compatto di centinaia di palestinesi: sono gli abitanti di Hawarah, principalmente giovani ma accompagnati anche da anziani e con alla testa il sindaco ed altri notabili. Il corteo israeliano si gira, va loro incontro per riuscire rapidamente ad inglobarli e proteggerli: tutt'intorno ai palestinesi si formano dei cordoni di israeliani che si tengono per mano. Così
formiamo una scudo difensivo con i palestinesi al centro. I due gruppi si mescolano con tanti sorrisi, strette di mano e abbracci. Tra i palestinesi ci sono anche degli stranieri dell'International Solidarity Movement, che non stati affatto scoraggiati dall'arresto proprio ieri di due di loro, accusati dell'orrendo crimine di "consegna di aiuti umanitari".
Gli scalini di un negozio diventano un improvvisato palco sul quale si alternano isrealiani e palestinesi che parlano con un megafono. D'un tratto si sente forte il rumore dei blindati dell'esercito che si avvicinano. Nei normali giorni di coprifuoco anche un solo blindato, con il suo minaccioso mitragliatore, sarebbe stato sufficiente a svuotare la strada. Oggi, l'intero convoglio di decine di blindati passa
a lato della manifestazione ed ogni soldato viene apostrofato dai manifestanti israeliani e palestinesi in coro, con le parole in ebraico:
     "Soldato tornatene a casa!"
I militari alla guida dei blindati si voltano dall'altra parte, fanno finta di non vederci. Per un attimo, in questa polverosa strada di una città palestinese, abbiamo costruito una realtà alternativa: un'isola che si è liberata dell'oppressione quotidiana del coprifuoco.


Lettera ricevuta da Lisa Clark dei Beati Costruttori di Pace