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testimonianze, informazioni
20 gennaio 2003
Il
villaggio di Barta'a |
Lunedì,
20 gennaio 2003
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Oggi andiamo a visitare il villaggio
di Barta'a, 30km a sud di Jenin.
L'uscita dalla città è ingolfata da due carri armati
israeliani che controllano i documenti di chi transita sulla strada
principale, appena fuori Jenin.
Dopo una mezzoretta di saliscendi tra le colline pietrose e una
vastissima valle fertile squadrata da campi verdi e marroni, l'ambulanza
del Medical Relief s'infila in una carbonaia tra gli ulivi ed
inizia a salire verso Barta'a, in cima alla collina, per evitare
l'ennesimo check point che chiude l'unica via asfaltata per accedere
al paese.
Arrivati a Barta'a ci accoglie il sindaco che spiega la situazione.
Nel 1952, alla Conferenza per la divisione dei territori tra israele
e palestina, Barta'a è stata divisa in due parti dal corso
di un torrente che ormai è poco meno di una discarica.
La parte ovest del torrente è stata assegnata a Israele
e quella est alla West Bank sotto il controllo Giordano.
Il paese è comunque rimasto, di fatto, un unico insieme
di edifici abitati da palestinesi e diviso solo idealmente dal
torrente che oggi segna il confine della Green Line.
Complessivamente vivono a Barta'a 4.200 persone del clan Kabar.
Sono 150 le famiglie che vivono a Barta'a ovest con documenti
israeliani, mentre le oltre 250 famiglie della parte est non possono
andare ad ovest senza il permesso dell'autorità israeliana.
I palestinesi sorpresi nella parte ovest senza permessi possono
essere condannati per direttissima ad un anno di carcere.
Inoltre il paese ospita una mezza dozzina di fabbriche che producono:
elettricità, abbigliamento, prodotti chimici e beni di
prima necessità. Anche il Suk (mercato), composto da oltre
300 negozi, è un centro commerciale molto importante, frequentato
anche dai paesei vicini.
Complessivamente vengono impiegati nelle diverse attività
oltre 3.000 lavoratori.
A novembre sono venuti i soldati israeliani che hanno distribuito
74 ordini di demolizione per altrettante case e negozi che sorgono
in prossimità del torrente (la Green Line) da oltre 30
anni, tra cui una piccola clinica privata messa in piedi da un
medico locale.
Per quanto riguarda il muro di sicurezza, i cui piani includono
la confisca di 6.700 dunum = 670 ettari di terreno palestinese,
esso chiuderà Barta'a fuori dai territori dell'ANP tagliando
l'unica strada di accesso ed escludendo il paese dal mercato,
cosicché alla fine Barta'a sarà isolata, la sua
florida economia strangolata definitivamente, chiusa tra il muro
che dovrebbe essere costruito sulla Green Line e quello in via
di costruzione che la taglierà fuori dai territori palestinesi.
Il sindaco conclude dicendo che "nessun palestinese può
impedire la costruzione dei muri, ma è altrettanto certo
che non possiamo accettare la demolizione delle nostre case e
per questo abbiamo incaricato un avvocato di seguire la causa
in corso presso l'Alta Corte Israeliana, con lo scopo di impedire
le demolizioni".
Queste informazioni sono state fornite dal sindaco di Barta'a
che presiede il comitato locale contro il muro. Per ulteriori
info si può scrivere in inglese a: faris1995@yahoo.com
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Lungo
la strada per Barta'a |
Lunedì,
20 gennaio 2003
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Mentre col pulmino del Medical Relief
percorriamo la strada per arrivare a Barta'a, il paese che, già
diviso in due parti dalla Green Line, verrà, secondo i
progetti di costruzione del muro, inglobato all'interno del territorio
israeliano, parliamo con Ahmed, un uomo di un villaggio vicino.
Egli ha vissuto per alcuni anni a Tel Aviv e ci dice di pensare
che gli israeliani, come maggioranza di popolazione civile, desiderano
la pace non meno dei palestinesi. Ma lo strapotere militare ed
economico, la cattiva informazione e la paura impediscono alla
gente comune di vedere le cose nella loro realtà.
Egli parla anche della grave
situazione che i palestinesi sopportano oggi, perché, a
causa della segregazione di Arafat e della sua dlegittimazione
politica, l'ANP non riesce più a controllare la vita delle
città e dei territori. Manca quindi un'autorità
riconosciuta.
E, se pure in questa drammatica situazione non si cade nella completa
anarchia, è solo grazie al lavoro di monitoraggio sociale
che le organizzazioni civili come il Medical Relief, Grassroots
International eccetera, svolgono in Palestina.
Si può quindi osservare come la capillare diffusione delle
informazioni su ogni soggetto familiare registrate da queste reti
di auto-aiuto svolgano l'unico e sperimentale modello di controllo
sociale, per la prima volta in un paese del mondo, non in modo
repressivo e autoritario, secondo il nostro modello di controllo,
ma in modo informativo, educativo e di sostegno economico. Queste
associazioni si trovano quindi ad operare nel momento più
buio e drammatico della storia palestinese e lo fanno con successo.
Ringrazio Ahmed per la sua testimonianza e, dopo averlo salutato,
ci apprestiamo a scendere sotto una fitta pioggia per vedere con
i nostri occhi il confine della green line e quello del nuovo
muro.
Maria Carla
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