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21-24 gennaio 2003
Il muro a Tulkarem e Qalqiliya |
Venerdì,
24 gennaio 2003
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L'area intorno alle città
di Tulkarem e Qalqiliya è conosciuta come il paniere palestinese
dei vegetali (frutta e verdura), qui si producono circa il 60%
del fabbisogno di vegetali dell'intera West Bank, questa ragione
è da noi meglio conosciuta come Samaria.
Il muro che circonda e attraversa la regione occupa 150 metri
di terreno in larghezza ed è alto circa otto metri. Il
risultato è la nuova erosione di altri 27.200 dunum = 2.720
ettari idi territorio coltivabile palestinese.
A sud di Tilkarem hanno perso circa 2.000 ettari di terra, inghiottiti
dalla costruzione del muro insieme a quattro villaggi agricoli
che rimarranno tagliati fuori dai territori. Alcuni di questi
villaggi hanno perso tutta la loro terra coltivabile e le circa
30.000 persone che vi abitano non hanno più mezzi per sopravvivere
in quanto le attività principali erano l'agricoltura e
la pastorizia. In uno di questi villaggi sono stati sradicati
circa 12.000 alberi di ulivo.
Nell'area di Qalqiliya il muro ha sottratto circa 35.000 dunum
= 3.500 ettari di terreno circondando completamente la città
di Qalqiliya che rimane accessibile da una solo strada. In questo
modo le attività di scambio mercantile dai villaggi agricoli
verso la città e vice versa saranno completamente strangolate.
Inoltre, intorno a Qalqiliya ci sono circa 29 pozzi che attingono
alla falda acquifera più importante della West Bank, che
produce annualmente circa 3.880.000 metri cubi di acqua potabile,
ora sotto il completo controllo degli israeliani.
Alla fine quando, verso l'anno 2006 dell'era di Cristo, il muro
sarà ultimato, avrà una lunghezza tripla di quella
dell'ex muro di Berlino e sarà alto circa il doppio. Complessivamente
sottrarrà alla West Bank il 23% dei terrotori palestinesi
rispetto ai confini prima della guerra del 1967, percentuale che
si va ad aggiungere all'attuale 43% già sottratto dagli
insediamenti dei coloni e dalle by pass road che attraversano
la West Bank per collegare tra loro gli insediamenti.
E' chiaro, inoltre, che la parte sottratta è sempre la
più fertile e la più appetibile per gli occupanti.
Si osserva quindi che gli scopi per la costruzione di questo muro
sono principalmente due.
il primo è di sottrarre risorse alla sopravvivenza della
popolazione palestinese, come le falde acquifere, le terre coltivabili,
i pascoli, i mercati e le fabbriche che vengono demoliti o strangolati
lentamente con la pressione esercitata dai check points che controllano
l'accesso alle città e ai villaggi della West Bank.
La seconda ragione è di stabilire una nuova linea di confine,
con una diversa mappatura dei territori, su cui basare eventuali
nuovi negoziati.
In questo contesto non si rilevano ragioni fondate a sostenere
la sicurezza dello stato di Israele, ma, al contrario, la sicurezza
viene continuamente messa in crisi dalle pressioni che le operazioni
per la costruzione del muro attuano sulla popolazione palestinese.
Saluti
Curzio
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Demolizione del mercato di Nazlet Issa |
Martedì,
21 gennaio 2003
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La mattina del 21 e' piovosa e nebbiosa
a tal punto che sembra di essere nella pianura Padana.
Prendiamo il taxi che ci porterà da Jenin a Tulkarem. Arrivati
a 15 km da Tulkarem, nel paesino di Nazlet Issa, incontriamo il
nostro contatto che ci porta nel luogo dove stanno demolendo il
locale mercato coperto.
Arriviamo a piedi sotto la pioggia battente mentre i soldati israeliani
cercano di disperdere con i lacrimogeni un gruppo di palestinesi
che tenta di opporsi alla demolizione.
Durante la scorsa estate i soldati in servizio nella caserma che
confina con il mercato avevano richiesto i documenti di costruzione
del mercato stesso, adducendo il dubbio che il mercato fosse abusivo
e quindi soggetto a demolizione. I permessi di costruzione erano
stati forniti, ma questo non ha impedito che fosse emanato l'ordine
di demolizione.
Sulla linea di confine del 1948 (tra il territorio dello stato d'Israele
e i territori palestinesi, oggi occupati) esistevano molti villaggi
che erano stati divisi dal confine.
Nel punto di comunicazione tra le due parti erano sorti mercati
palestinesi frequentati da entrambe le popolazioni. Purtroppo dall'inizio
della seconda Intifada i coloni non si servivano più in questi
mercati che erano divenuti un ingombro al libero passaggio, così,
nonostante la linea del confine non attraversi precisamente i mercati,
per ragioni di sicurezza essi sono stati demoliti.
Il mercato del Nazlet Issa era l'ultimo della regione rimasto ancora
operativo. Erano oltre 250 i negozi che si aprivano sotto le strutture
di lamiera, per un valore complessivo di oltre 5 milioni di dollari.
Già alle otto del mattino oltre 500 palestinesi insieme a
una trentina di israeliani dell'Associazione Bet'Selem, impegnata
nella difesa dei diritti umani, e ad una dozzina di internazionali
erano scesi in corteo sulla via principale che conduce al mercato
per tentare di impedirne la demolizione.
E' subito scontro, volano lacrimogeni e gli israeliani di Bet'selem
vengono maltrattati dall'esercito che ne arresta uno caricandolo
su una jeep.
Mentre volano i lacrimogeni, per altro inefficaci a causa della
fitta pioggia, ci uniamo ad un gruppetto di palestinesi che tenta
di osservare più da vicino la demolizione dei loro negozi.
Uno di loro ci racconta di aver perso tre negozi e chiede a Carla
di unirsi a lui per fronteggiare i quattro giovani soldati che chiudono
il passaggio verso il mercato.
A lato della stradina sono in piedi sotto una piccola tettoia una
decina di donne in lacrime, tra cui la moglie del nostro amico palestinese.
Uno dei soldati tenta di spingerci via, ma Carla non si muove e
chiede in inglese perché ci spinge via, mentre quello, fingendo
di non capire, minaccia il gruppetto con il suo M16.
Allora il nostro amico palestinese, esasperato, inizia a parlare
in arabo dicendo che vuole semplicemente guardare la demolizione
dei suoi negozi con i propri occhi. Ma il soldato risponde, arrogante,
che no, dobbiamo retrocedere, e non si può neppure guardare.
Carla sottolinea che "siamo persone di pace che testimoniano
la vergogna di quello che stanno facendo e che vogliamo rimanere
a osservare". Il nostro amico palestinese mi sorride scuotendo
la testa e ci invita ad andarcene, così retrocediamo tutti
insieme.
Le armi l'hanno avuta nuovamente vinta, ma forse la coscienza no.
Nel frattempo, le ruspe scuotono la fragile struttura di alluminio
che forma i capannoni del mercato e ammucchia le pareti contorte
sotto le lenti delle TV israeliane e delle videocamere degli internazionali.
Dopo qualche ora finisce la prima parte della demolizione, che continuerà
probabilmente l'indomani, molti palestinesi stanno ancora traslocando
le loro merci quando le due ruspe vengono caricate sui loro trasporti
e scortate via dalle jeep militari.
Più tardi proseguiamo per Tulkarem e Qalqilya, ma è
in atto il coprifuoco e siamo costretti ad una lunga diversione
a piedi tra le colline rocciose, per fortuna non piove più,
ma comincia a far buio.
Gli amici che ci accompagnano si fermano ad un chilometro da una
jeep con i lampeggianti che controlla di documenti di coloro che,
dall'area di Qalqiliya, vogliono entrare in quella di Tulkarem.
Per noi il percorso è inverso, attraverso la by pass road
verso la jeep; non sappiamo esattamente se riusciremo a passare,
ma ci incamminiamo comunque.
Arrivati alla jeep mostriamo i documenti e proseguiamo oltre,
passando davanti ad una fila di lavoratori palestinesi fermi sotto
il tiro dell'M16 di un soldato.
Pernotteremo in un ufficio del Medical Relief a Qalqiliya, dopo
aver superato altri due check point.
Alberto, Flavio, Maria Carla, Maurizio.
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