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10 febbraio 2003
Una
"normale" giornata (per i palestinesi, per me eccezionale) |
Lunedì,
10 febbraio 2003
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Partenza presto da Ramallah per raggiungere Nablus, fino a Qalandia
(il posto di blocco per uscire da Ramallah) tutto normale. Qui,
tra l'affollato casino cerco il service (taxi collettivo) per
Nablus ,dopo un po' lo trovo. Aspettiamo che si riempia (qui si
parte solo a pieno carico), dopo poco arrivano due ragazzi che
fanno scattare il numero "legale" per la partenza. Uno
di questi parla inglese e sarà il mio angelo protettore
(qui ne trovi sempre qualcuno).
Fino al chekpoint di Zatt-Hera tutto ok, qui cominciano le dolenti
note: bisogna scendere dal service perché non è
abilitato a passare di qui con passeggeri a bordo. E così
i ragazzi, due donne coi bimbi, una vecchia matrona e gli altri
scendiamo sotto la pioggia e aspettiamo il controllo dei documenti,
ci facciamo un duecento metri a piedi e -sorpresa!- ritroviamo
il nostro service, passato non si sa dove.
Pochi chilometri e si riscende ,questa volta la strada è
interrotta da un gran cumulo di detriti amorevolmente posti dagli
israeliani per far fare una bella passeggiata di un paio di chilometri,
nel fango, a vecchi, donne e bambini (ci sono anche dei folkloristici
carretti trainati da asini per il trasporto di questi ultimi.
Dopo la sgambata, sorpresa! Un altro ceckpoint, una lunga fila
di uomini che aspetta sotto la pioggia, le donne, cavallerescamente,
bengono fatte passare. Tre soldati israeliani, come angeli del
giudizio, controllano minuziosamente i documenti e spesso qualcuno
viene rimandato indietro in malo modo.
Io chiedo al mio angelo: "E questi dove vanno ora?"
Lui mi strizza l'occhio e mi fa cenno col mento verso la montagna
che ci sovrasta.
Passa il mio angelo ed è il mio turno, faccio per avvicinarmi
col mio passaporto cremisi brandito come un potente talismano,
ma il soldato mi fa arretrare. Arriva una jeep con un ufficiale,
i due confabulano un poco e poi il soldato allontana tutti dicendo
che non si passa, solo quelli con la ricetta per ricovero in ospedale.
Io rimango lì interdetto col mio passaporto in mano e lui
mi fa "I chek you in a minut".
Di minuti ne passan dieci ed io ho il tempo di pensare che se
esterno la mia indignazione lo faccio incazzare e faccio peggio
per i poveri cristi che vengono dopo di me (nel frattempo nuovi
venuti hanno ingrossato la fila e intanto continua a piovere).
Così faccio buon viso a cattivo gioco e dopo un poco di
domande, il mio naso rosso da clown, prontamente estratto, li
convince che non sono un pericoloso terrorista. "Have a nice
day!" mi augurano, perfino..
Raggiungo il mio angelo e pigliamo un service che dopo pochi chilometri
si ferma per il solito sbarramento. Proseguiamo a piedi e vediamo
scendere dal monte quelli che, rifiutati al chekpoint, si sono
fatti una bella camminata su per le montagne per aggirarlo.
Di lì a poco incontriamo due vecchi che ci dicono che più
avanti c'è un altro posto di blocco. Il mio angelo abbandona
la strada e ci inerpichiamo su per un greppo che ci porta dopo
un quarto d'ora su una strada. Qui l'angelo mi mette fretta: "Quickly!"
Potrebbero arrivare i soldati e per lui sarebbe un bel guaio e
così, gambe in spalla, superiamo un gruppo di donne con
gli immancabili bambini appresso.
Dopo una bella marcia forzata di un venti minuti, che mette a
dura prova i miei polmoni, arriviamo dove transitano dei taxi
e, finalmente, arriviamo nel centro di Nablus. Scambio di indirizzi
di posta elettronica col mio angelo e ultima passeggiata per raggiungere
il Medical Center dove mi aspettano.
Per Hassan, professore in una scuola di un villaggio vicino, tutto
questo è la "quotidianità".
Io sto bene, statemi bene!
Grampied
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