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testimonianze, informazioni
22-24 giugno 2002
Presidio
dei disoccupati |
Lunedì,
24 giugno 2002
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Ecco la traduzione di due documenti del partito popolare palestinese,
sulla lotta dei lavoratori disoccupati nella Striscia di Gaza.
Hanno accolto la nostra presenza con grandi applausi e manifestazioni
di gratitudine, per questo so di non sbagliare nel pensare
che un documento di solidarietà da parte italiana sarebbe
graditissimo: qui non c'è nessun internazionale che
condivida le loro lotte.
Questi lavoratori hanno un presidio permanente davanti al
governatorato di Khan Younis, tutti i giorni per un'ora fermano
il traffico sulla strada principale che passa lì davanti.
Oggi non l'hanno fatto in segno di lutto per i sei palestinesi
uccisi dagli elicotteri questa mattina a Rafah, la città
al confine con l'Egitto. Ci hanno invitato a partecipare ai
funerali domani pomeriggio e andremo insieme a loro con i
pullman.
Hanno anche progettato un esproprio proletario della frutta
in vendita al mercato, ma di questo non so dirvi molto di
più.
Maurizio
Segue la traduzione dei documenti.
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Il Partito Popolare della Palestina (PPP) insieme con
i lavoratori della striscia di Gaza.
I lavoratori hanno istituito questo presidio perché
vogliono un aumento del sussidio di disoccupazione e questa
è un'azione utile per i lavoratori.
Noi del PPP vogliamo sostenere ed aiutare questi lavoratori.
I lavoratori sono le prime persone della Palestina ed è
nostro dovere ascoltare le loro richieste, perche lo stato
di Israele non li accetta più per lavorare nel suo
territorio.
Lla prima priorità dell'Intifada è di aiutare
i lavoratori palestinesi. Questi lavoratori che manifestano
qui davanti al governatorato di Khan Younis sono lavoratori
in lotta. Noi del PPP li consideriamo bravi lavoratori che
lottano per i loro diritti e anche per l'Intifada.
Nnoi vogliamo far sapere a tutti i lavoratori del mondo che
lo stato di Israele non ci concede il permesso di andare a
lavorare nel suo territorio.
Il PPP ha chiesto all'ANP di dare alla gente i soldi per comprare
il cibo necessario per vivere, perché lo stato di Israele
sta creando problemi a tutta la popolazione.
Il PPP chiede a tutti i partiti palestinesi e anche alle ONG
di partecipare ad uno sciopero generale e di annunciarlo in
TV e alla radio, perché tutti conoscano i problemi
dei lavoratori.
Partito Popolare Palestinese
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RICHIESTE DEI LAVORATORI
1) chiediamo che il sussidio di disoccupazione sia portato
da 100$ l'anno a 200$ al mese
2) chiediamo di non pagare più né l'acqua né
la luce
3) chiediamo di sostenere l'agricoltura locale
4) chiediamo accesso gratuito allo studio
5) chiediamo alle ONG di aiuare le famiglie dei lavoratori
6) chiediamo di boicottare tutti i prodotti israeliani
7) chiediamo di abolire il prelievo fiscale di 5$ al mese,
ora obbligatorio per tutti i lavoratori
FIRMATO DA TUTTI I LAVORATORI
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Ho
una casa, ma non posso abitarci |
Domenica,
23 giugno 2002
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Ho conosciuto mio marito alla Facoltà di farmacia dell'Università
di Skopje in Macedonia e dopo qualche anno ci siamo sposati,
abbiamo vissuto insieme undici anni poi, insieme, abbiamo
deciso di venire a vivere in Palestina. Per me l'importante
era vivere in pace in casa mia, non importava in quale paese,
era sufficente che uno di noi vivesse nella sua terra.
Quando siamo arrivati a Khan Younis nel 1995, siamo andati
a vivere ad Al Qarara con la famiglia di mio marito, poi abbiamo
aperto una farmacia a Khan Younis, ma dopo qualche tempo abbiamo
constatato che era meglio avere un'altra entrata e così
sono andata a lavorare come farmacista per la Mezza luna rossa
palestinese.
Mi piaceva la vita qui, il mio lavoro era buono e anche il
posto in cui vivevo era un posto tranquillo, immerso nel verde,
con molti alberi. L'unica cosa che non mi piaceva erano i
filari di fichidindia lungo la strada. Tuttavia io sono cristiana
e qui hanno un'altra cultura e un altro modo di vivere e anche
per questo, dopo tre anni, insieme ai due fratelli di mio
marito, un farmacista e un avvocato, con grandi sacrifici
abbiamo costruito la nostra casa nuova a due piani, dove ogni
fratello aveva un appartamento di 170 metri quadrati in cui
vivere con la sua famiglia sulla terra del padre. Questa casa
è a pochi metri dalla strada dei coloni, quando l'abbiamo
costruita non era un posto pericoloso, ma l'inizio dell'Intifada
ha segnato la fine della nostra pacifica esistenza.
Tutto è cominciato la sera del 22 novembre 2000 in
Al Qarara, dove i primi carri armati hanno scortato i bulldozers
nella nostra via. Quando li ho visti arrivare, ho pensato
che finalmente avrebbero spianato quei filari di fichidindia
spinosi, ma invece hanno sradicato i settanta alberi di ulivo
del padre di mio marito. E' stato orribile, sono corsa subito
a casa e dal terrazzo vedevo i bulldozers che si avvicinavano
alla mia casa, mi sembravano macchine strane, enormi, orribili
come mostri. Non avevo mai visto niente del genere e non sapevo
cosa fare, così sono scesa dal terrazzo, il bulldozer
era fermo davanti alla porta di casa e io li pregavo di fermarsi
sperando che provassero un poco di pena per me, ma se ne andarono
solamente quando ebbero distrutto ogni cosa intorno alle case,
la nostra e quella del padre di mio marito.
In seguito venivano tutti i giorni e se vedete quel posto
oggi, non è più verde come prima, è diventato
un deserto, abbandonato e desolato.
Dopo quattro mesi abbatterono tutti i pali della luce, così
avevamo i cavi dell'elettricità che correvano per terra
lungo la strada. Ogni sera venivano con i bulldozer e due
carriarmati di scorta e tagliavano l'acqua e la luce. E noi
di giorno dovevamo riparare i danni da soli.
Hho cercato di parlare con i soldati, come un essere umano,
dicendo loro che non avevo mai pensato che fossero miei nemici,
che se non ci volevano far vivere lì lo dicessero chiaramente,
ma che per favore non distruggessero più nulla. Ii
soldati ascoltavano ma non rispondevano nulla, i i soldati
fanno il loro lavoro, io posso capirlo, ma continuavo a ripetergli
che io non sono palestinese, che sono macedone e anche se
i palestinesi si sarebbero arrabbiati con me, loro non erano
miei nemici, io volevo solo vivere in pace a casa mia.
In seguito, la sera ci toglievano la luce dalla camera da
letto, allora io ero costretta ad andare a dormire sul pavimento
della cucina con le mie due figlie. Poi misero il filo spinato
davanti alla casa e io ero costretta a fare un lunghissimo
giro per riuscire a rientrare in casa dopo il lavoro.
Un anno dopo, quando il ponte sulla strada dei coloni fu terminato,
i soldati vennero con un ordine di evacuazione della casa
e ci dissero che noi eravamo brave persone ma che la nostra
casa era troppo vicina al loro ponte e che dovevamo andarcene
in 48 ore, ma che siccome loro erano democratici, nelle 48
ore potevamo chiamare un avvocato ed appellarci all'alta corte
israeliana.
In seguito a ciò tornavamo ogni tre giorni alla nostra
casa, solo per affermare il nostro diritto alla proprietà
privata. L'ultima volta sono andata verso i soldati che mi
hanno fermata chiedendomi cosa volessi. "Voglio andare
a casa mia, quella è la mia casa". Il soldato
mi chiese se volevo prendere qualcosa ed io risposi che volevo
solo andare a casa mia, allora lui chiamò il
suo comandante che arrivò dopo una mezzoretta con la
sua jeep, e mi disse che siccome io ero una persona per bene
mi avrebbe accompagnato a prendere quello che mi serviva ma
che poi nessuno sarebbe mai più potuto tornare.
A volte mi chiedo come ho fatto a vivere per due anni in queste
condizioni. Ero molto avvilita e pensavo di non essere una
buona madre perché facevo vivere le mie figlie in queste
condizioni e forse avrei dovuto fare qualcosa per portarle
a vivere in un altro posto.
Ho sempre pensato che se riuscivo a vivere in pace in casa
mia con la mia famiglia non importava cio che succedeva fuori.
Ma i soldati non potevano capire questo e non capivano neppure
che io non li odiavo. Ancora oggi è difficile per me
comprendere perché mi hanno obbligata ad abbandonare
la mia casa. Io sono una straniera in questo paese e l'unico
posto dove non mi sentivo straniera era la mia casa.
Oggi le mie figlie hanno sei anni e quindici anni, la più
grande è nata in Macedonia e forse ama la Macedonia
piu della Palestina. Se fossi sola tornerei a casa, a casa,
a casa...ma ho la mia famiglia qui, mia figlia ha iniziato
i suoi studi in lingua araba e per lei sarebbe difficile ricominciare
in un altra lingua.
Io avevo un buon lavoro a Skopje, ma oggi sarebbe difficile
trovarne un altro e cosa potrebbe fare mio marito? Non lo
so. Sarebbe molto difficile ricominciare tutto dall'inizio,
mio marito ama la sua terra e la sua famiglia, qui ha le sue
amicizie e il suo lavoro, in Macedonia la situazione è
difficile e noi non abbiamo soldi. Per tutte queste ragioni
abbiamo deciso di rimanere qui, anche perché mio marito
non potrebbe accettare di vivere mantenuto da me, non resisterebbe
per molto tempo in Macedonia.
Il nonno di mio marito era di Jaffa e fu sfollato nel 1949
quando vennero ad abitare nella Striscia di Gaza, poi il padre
di mio marito si sposò e comprò questo terreno
ad Al Qarara vicino alla strada dei coloni, infine i suoi
figli hanno lavorato duramente per costruire questa nostra
casa, ma i soldati ci hanno distrutto la vita senza alcuna
ragione, senza che noi facessimo loro niente.
Oggi viviamo tutti insieme in un appartamento a Khan Younis,
ma io mi sento sempre sotto pressione perché il loro
modo di vivere è troppo diverso dal mio e sono stanca,
vorrei stare un po' da sola.
Ho una casa ma non posso abitarci.
Maurizio
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Al
Mawassi |
Sabato,
22 giugno 2002
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Questa mattina quattro volontari dell'Operazione Colomba e
dei Berretti Bianchi stanno cercando di entrare nell'area
di Al Mawassi.
L'area di Al Mawassi si estende nella fascia costiera nelle
municipalità di Khan Younis e Rafah, nella parte meridionale
della striscia di Gaza.
La zona di Al Mawassi è considerata "zona gialla"
dopo gli accordi di Oslo, cioè sotto completa amministrazione
civile e militare israeliana. Le ottomila persone palestinesi
che vi abitano sono sottoposte a numerose restrizioni da parte
delle autorità israeliane. Il coprifuoco viene imposto
tutte le notti, è vietato ai palestinesi costruire
nuove abitazioni o strutture pubbliche. La diretta vicinanza
con gli insediamenti e la massiccia presenza di militari mette
la popolazione civile in una continua situazione di pericolo,
tensione e paura.
Nell'area non sono presenti strutture sanitarie e per i palestinesi
che vi abitano è molto difficile entrare e uscire da
essa. Vi sono casi di persone alle quali, pur essendo residenti
nell'area, viene negata l'entrata e, spesso, sono costrette
a bivaccare nelle vicinanze del check point nell'area di Tufah,
considerata molto pericolosa a causa dei continui scontri
tra l'esercito d'occupazione israeliano e le forze palestinesi.
La situazione economica ad Al Mawasi è disastrosa per
la difficolta, da parte dei contadini, di coltivare la loro
terra e di trasportare fuori i prodotti. Anche la pesca risente
di queste restrizioni, i due attracchi per pescherecci giacciono
inutilizzati ormai da quasi due anni. L'accesso per i palestinesi
non residenti è vietato e anche gli stranieri sono
costretti a richiedere un particolare permesso presso le autorità
militari israeliane.
L'area di Al Mawasi è tra le più fertili e ricche
di risorse idriche della striscia di Gaza e da circa vent'anni
in parte occupata da insediamenti israeliani. Le autorità
israeliane giustificano tutte le restrizioni verso la popolazione
civile palestinese con il pretesto della sicurezza dei tremila
coloni israeliani, costringendo così gli ottomila palestinesi,
residenti nell'area, in una situazione che ricorda molto i
ghetti ebraici della prima metà del secolo scorso.
Miloon Kothari, Relatore Speciale delle Nazioni Unite sul
Diritto alla casa, afferma, nel suo recente rapporto, che
Israele giustifica questi insediamenti come necessari a causa
del "naturale" incremento demografico. Ma, mentre
il numero dei coloni cresce del 12% all'anno, la popolazione
israeliana è aumentata appena del 2% all'anno. "Israele
ha utilizzato la crisi attuale per consolidare l'occupazione
dei territori palestinesi", ha riferito Kothari. "La
costruzione di nuovi insediamenti israeliani è incendiaria
e provocatoria e i coloni sono liberi di esercitare violenze
e di occupare le terre. Israele ha costruito più di
100 colonie (case per circa 200.000 Israeliani) sulla terra
occupata durante la Guerra dei Sei giorni e continua a costruirne."
Condividiamo le affermazioni di Miloon Kothari e per questo
siamo decisi ad entrare nell'area di Al Mawasi, per poter
testimoniare la situazione in cui la gente vive.
Fabrizio e Barbara
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